Sassi poetici e lo sbarco sulla luna
di Jovanotti *
Si avvicina l’anniversario dello sbarco sulla luna. 40 anni. Qui in Usa non sembrano particolarmente caldi su questa ricorrenza. Io forse lo sono in modo esagerato perché quella notte davanti alla tv con Tito Stagno è il mio primo ricordo in assoluto. Di solito un bimbo ricorda una scena vaga, una stanza, una scarpa, la fantasia di un tessuto, una spiaggia con un secchiello, un riflesso di sole mentre sta prendendo la pappa, invece il mio primo ricordo è quello: gli astronauti che toccano e Tito Stagno che dice «ha toccato, ha toccato». Forse qui non la sentono così forte perché in fondo è stato un fallimento: la luna è un sasso freddo.
Di un sasso freddo gli americani non sanno cosa farsene. A me invece piace proprio perché è un sasso freddo, mi piace pensare che l’umanità si è fatta un gran mazzo per arrivarci e poi lassù non c’è niente di interessante da fare o da prendere. Questa è la più grande lezione che ci ha offerto la pallida luna, la graziosa luna, il sasso desertico che ci gira intorno. Perché il viaggio è tutto, lo spazio che ci divide dalla luna è il vero tesoro, è la sua luce riflessa il vero sole della nostra anima, del nostro desiderio più profondo, lo specchio del nostro limite infinito.
La luna ha conservato il suo carisma rispendendo a casa gli astronauti con un sacchetto di sassi e nulla più. Sassi poetici. Per questo andrebbe festeggiato in grande stile l’anniversario, sarebbe la vera festa dell’essere umano. Io sono di quella generazione che quando si era bambini si pensava «voglio fare l’astronauta», adesso che sono diventato più o meno adulto lo penso più o meno ancora.
* l’Unità, 18 luglio 2009