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A Franco Cordero, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Emanuele Severino, Massimo Cacciari .... Una domanda

sabato 3 ottobre 2009
STIMATISSIMI GIURISTI E PROFF.
Franco Cordero,
Stefano Rodotà,
Gustavo Zagrebelsky,
Umberto Eco,
Gianni Vattimo,
Emanuele Severino,
Massimo Cacciari ....
I nostri Padri e le nostre Madri Costituenti dicevano: Se un cittadino-sovrano, una cittadina-sovrana, "pecora si fa, il lupo se la (...)

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> MORALITA’ COSTITUZIONALE PERDUTA ED "ELOGIO DEL MORALISMO". Un saggio raccoglie una serie di interventi di Stefano Rodotà (di Benedetta Tobagi - Per difendersi dal cinismo è bello fare la morale)

sabato 19 novembre 2011

Un saggio raccoglie una serie di interventi di Stefano Rodotà dedicati a questo tema

Per difendersi dal cinismo è bello fare la morale

La degenerazione dei comportamenti induce l’autore a rimpiangere il vecchio valore della ‘rispettabilità ’ di Benedetta Tobagi (la Repubblica, 18.11.2011)

Non si arrende, Stefano Rodotà, e invita tutti a fare altrettanto: il volume Elogio del moralismo (Laterza), una selezione ragionata di articoli e contributi dal 1991 a oggi, è l’orgogliosa risposta di un "vecchio, incallito, mai pentito moralista" alla lunga stagione in cui una martellante campagna mediatica della destra ha ridotto questa parola a insulto e indicatore di invidia o impotenza politica. Nel solco ideale di Berlinguer, Rodotà ripulisce il termine dalle recenti incrostazioni, per restituirgli la scintillante durezza delle origini. Puro e pratico insieme, il moralista "attivo" non è un ingenuo né un’anima bella, ma neppure si arrende al machiavellismo di bassa lega, né alle versioni deteriori della "razionalità del reale" hegeliana. Continuamente teso verso la realtà, presente e responsabile, è attento ai fatti, tallona gli "immorali", denuncia gli scandali e propone alternative.

L’orizzonte di riferimento di Rodotà è una "moralità costituzionale", l’insieme di principi e "virtù repubblicane" iscritti nella Carta come deterrente in primo luogo dei "mostruosi connubi" tra affari e politica. La sezione più interessante è infatti quella che riunisce analisi e riflessioni sulla crisi di Tangentopoli, dalle origini (che poté seguire da vicino come deputato) fino alle riflessioni sulla nuova corruzione del 2011. Rodotà si sofferma sul meccanismo perverso, maturato nel corso della storia repubblicana, per cui il ceto politico (quand’era ancora forte dell’immunità) ha affidato ai giudici il compito di "decisori finali", sbarazzandosi del pesante onere di sanzionare i comportamenti che, seppure privi di rilevanza penale, devono essere stigmatizzati perché sono sbagliati e dannosi, e azzerando così i propri vincoli di moralità e responsabilità. La "giurisdizionalizzazione" e la parallela deresponsabilizzazione della politica hanno privato l’Italia dei normali meccanismi autocorrettivi del sistema che altrove (Francia, Germania, Regno Unito, Usa) supportano e affiancano l’azione della magistratura. Ma non tutto può passare per i tribunali: il moralismo deve tornare a svolgere la sua salutare funzione pubblica.

Il libro dichiara l’ambizione di rafforzare gli anticorpi democratici contro ritornelli micidiali come "non si può cedere al moralismo", "tanto lo fanno tutti" e "non è penalmente rilevante". Leggendo, ripercorriamo l’impegno di Rodotà come giurista, uomo politico, intellettuale, editorialista, contro "gli inaccettabili silenzi di una cultura alla quale non si chiede di essere militante, bensì di essere parte di una difficile discussione pubblica". Il "moralista" usa le armi della persuasione, argomentazioni chiare e rigorose ed esempi storici per portare avanti una pedagogia democratica. La "moralità delle regole" è la chiave di volta: senza di esse, l’interazione diventa quasi impossibile. Chi si siederebbe al tavolo con un baro o uno chef avvelenatore? Ritroviamo l’ex presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali spiegare passo passo perché la privacy dell’uomo politico, quando la sua condotta privata interferisce col ruolo pubblico che riveste, non può prevalere sul diritto dei cittadini di vigilare sull’esercizio concreto del potere e su chi li governa. Ritroviamo il giurista che aiuta i non addetti ai lavori a intendere la pericolosità oggettiva del processo di "decostituzionalizzazione" in atto da anni o interviene sul tema spinoso del testamento biologico.

La degenerazione progressiva dei comportamenti induce lui (e molti altri) a rimpiangere paradossalmente il vecchio valore della "rispettabilità": per quanto detestabile fosse l’ipocrisia che l’accompagnava, era comunque preferibile alla versione perversa della "trasparenza", intesa come esibizione (con avallo implicito o esplicito) dell’illegalità o della violazione di valori e principi della moralità costituzionale. Condotte che danno il cattivo esempio ed erodono la legittimazione sociale del ceto politico. Contro l’acquiescenza nei confronti del ricorso sistematico alla menzogna, memore degli scritti di Arendt, che mettevano bene a fuoco come essa sia in certa misura connaturata alla politica, ricorre a un argomento "realista": essa ha effetti distruttivi sullo spazio della politica, perché corrode la fiducia dei cittadini "in tempi in cui la produzione di fiducia è indispensabile" per garantire la coesione sociale così come per favorire la stabilità del sistema finanziario.

La sensibilità del laicissimo Rodotà converge con quella evangelica: lo scandalo, come da etimo, skandalon, è una pietra d’inciampo, che ostruisce il cammino e il funzionamento regolare del corpo politico e sociale. Sconcerta riscoprire l’attualità di alcuni vecchi scritti, ma questo dato, avverte il professore, non deve diventare il pretesto per accasciarsi nello sterile fatalismo di quanti considerano la corruzione un dato antropologico a cui arrendersi impotenti. Cresce nei cittadini la fame di "moralismo" per temprare gli eccessi di cinismo e uscire dalla "logica del supermercato". Rodotà esorta a collocarsi in una prospettiva temporale più lunga, raccogliendo la sfida di un lavoro lento e faticoso. Non vi è azione morale senza la consapevolezza e la tentazione del male. L’esistenza, ineliminabile, del negativo è il dato da cui parte l’azione degli uomini di buona volontà: cosciente di essere sempre insufficiente, ma, proprio per questo, sempre necessaria.


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