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IL PROBLEMA MOSE’ E LA BANALITA’ DEL MALE: FREUD NELLA SCIA DI KANT (MA NON DEL TUTTO). Un’ipotesi di ricerca - di Federico La Sala

sabato 10 luglio 2010
“Fino a quando zoppicheremo con i due piedi?” (Elia. 1 Re: 18.21).
"L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità" (I. Kant - definito da Holderlin, il "Mosè della nazione tedesca").
Per leggere l’art., cliccare sui titoli->
1. SIGMUND FREUD E LA LEGGE DELL’"UNO", DEL "PADRE (...)

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> IL PROBLEMA MOSE’ E LA BANALITA’ DEL MALE --- Il mistero dell’esistenza e la vita segreta (e dolorosa) di Freud: un poema di Rino Mele.

martedì 12 aprile 2016

La vita segreta (e dolorosa) di Freud

di Franco Manzoni (Corriere della Sera, 12.04.2016)

Freud sta morendo, divorato da un carcinoma alla bocca. Da tempo gli hanno asportato la mascella. La paura di nuove sofferenze lo attanaglia, terribili contrazioni ai muscoli della faccia gli impediscono di bere e mangiare. Ha ottant’anni, da più di quindici lotta contro la malattia. Un supplizio che lo condurrà all’idea di anticipare la fine del dolore con un piccolo aiuto. Sullo sfondo sta la grande Storia nel gioco delle coincidenze, che per somiglianza Rino Mele utilizza nel poema Un grano di morfina per Freud (Manni).

A seguito del patto Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939), il resto dell’Europa permette che la Polonia venga sbranata come un agnello sacrificale. Le date, in rapida scansione, uniscono dramma collettivo e individuale: il primo settembre Hitler invade la Polonia, Stalin il 17, Freud muore il 23. Il fondatore della psicanalisi aveva conosciuto la durezza dell’ Anschluss nel 1938: la sua casa di Vienna invasa dalle SA, l’ebreo Freud costretto ad aprire la cassaforte.

Mele canta con rabbia la Polonia divisa dal fiume Bug, teatro di avvenimenti terribili, presagio di ciò che si preparava per milioni di ebrei polacchi. E non c’era scampo: le guardie sovietiche sparavano su chiunque cercasse di lasciare la Polonia nazista.

L’autore, nato a Sant’Arsenio (Salerno) nel 1938, tenta di immaginare i pensieri di Freud, usando testimonianze e documenti. In un’aspra prosa poetica alterna sogni e vita vissuta. L’attaccamento incestuoso per la madre, vista nuda da piccolo. La severità del padre, che però perde la stima del ragazzo: confessa di non essere riuscito a reagire contro un gentile, che gli aveva tolto il berretto in mezzo alla strada.

Gillo Dorfles scrive nell’introduzione al poema: «...la lunga trama dei versi di Mele esprime, accanto ai dati più dolorosi di Freud, quella che è stata la sua vita segreta, attraverso quelle parole che attingono dal profondo dell’inconscio la loro forza espressiva, svelandone il lato più occulto e misterioso». Esausto e sofferente, il cancro che gli sgretola la guancia, Freud non riesce ad addormentarsi. La tortura non ha più senso la notte del 23 settembre 1939. Gli è sufficiente un grano di morfina per raggiungere il tranquillo sonno del silenzio .


Il mistero dell’esistenza attraverso la lettura di Freud

Il docente salernitano riflette sull’animo umano nell’ultima raccolta di poesie *

di ALFONSO CONTE (La Città di Salerno, 05 aprile 2016)

Perché. l’uomo aggiunge dolore a dolore, somma alle sofferenze già riservate dalla natura altre volontarie ed inutili? Ad invitare a riflettere su tali interrogativi è Rino Mele nella sua ultima raccolta di poesie, “Un grano di morfina per Freud”, Introduzione di Gillo Dorfles (editore Manni, di Lecce, pp. 94), compresa nella Collana “Pretesti” curata da Anna Grazia D’Oria.

In tempi di dittatura del presente, di rifiuto a ricordare ma anche a progettare, di certo tale pubblicazione rappresenta un’operazione coraggiosa e controcorrente, che non va furbamente ad intercettare gli umori del pubblico di massa, ma quasi costringe a non sfuggire alla drammatica realtà della nostra condizione umana, a seguire il poeta nel suo tentativo di penetrare il mistero dell’esistenza.

Non è un caso, pertanto, che protagonista dell’opera sia proprio Sigmund Freud, il Freud che dedica la sua vita a scandagliare l’animo umano, a ricostruire le cause inconsce dei sensi di colpa, a tentare di capire il male di vivere.

Al medico viennese padre della psicoanalisi Rino Mele aveva già dedicato in passato due poesie, “Una città sconosciuta” ed “Il padre di Freud”, riproposte anche in quest’ultimo libro insieme ad un esauriente corredo di note e, soprattutto, al poemetto inedito “La guerra dai due lati del fiume Bug”, nel quale la trasfigurazione poetica riguarda particolarmente il periodo che va dalla primavera del 1938 al 23 settembre 1939, data della sua morte.

L’ultimo Freud non è solo il grande scienziato, è soprattutto l’uomo ormai anziano, ultraottantenne, devastato da un tumore alla mandibola che l’ha costretto ad interventi chirurgici e protesi scarsamente risolutivi, reduce dal cercare risposte, inutilmente, nella fede religiosa ignorata durante tutta la vita. Una fede che, invece di dare sollievo, genera altre nevrosi, rimanda ad un Dio, quello di Mosé e degli ebrei, “contro cui / si poteva solo peccare / trasformando il continuo errare in un interminabile senso / di colpa”. Il “vecchio Freud” di Mele è ogni uomo all’approssimarsi della morte, la “barba sporca di muco”, la saliva che “bagna l’angolo del labbro, quel tremore / delle mani, il sudicio tra le dita, il cispo negli occhi, / l’umore attonito dello sguardo”.

Ma è anche l’uomo, forse più di ogni altro, che, nell’accingersi a sedere alla “tavola vuota”, avverte il peso della sofferenza interiore, perversa ed inestricabile, che precede e supera quella fisica. Di più, il vecchio Freud vive nei suoi ultimi giorni di vita l’inizio della seconda guerra mondiale, il ripetersi, a poco più di vent’anni dalla prima, di un’ancor più esaltata esplosione di violenza. Le due sponde del fiume Bug diventate improvvisamente confine, una linea di separazione tracciata da Hitler e Stalin al centro della Polonia e della civile Europa, iniziano a generare lutto, che “servirà a costruire - l’anno / dopo - una città capovolta, Auschwitz, / i morti in irriconoscibili divise”. È il dolore provocato dagli uomini, ancor più insensato, che va ad aggiungersi ad altro dolore, mentre Freud assiste lucidamente impotente alla devastazione, al disfacimento, all’imminente fine del suo corpo e, insieme, di quello dell’Europa.

La stretta relazione tra poesia e storia nella scrittura di Rino Mele non è recente, poiché già Federico II, Giordano Bruno, Galeazzo Ciano alla vigilia della fucilazione, Aldo Moro rapito ed assassinato, fino agli oltre centocinquanta tra terroristi ed ostaggi morti in seguito all’irruzione prima dei nazionalisti ceceni e poi delle forze speciali russe nel teatro Na Dubrovka di Mosca nell’ottobre 2002, sono entrati nella scena voluta e disegnata dal poeta salernitano. Usciti dalla storia solo apparentemente, essi rivivono ancor più reali, rappresentati fedelmente attraverso le loro vicende biografiche, affinché possa approssimarsi quanto più possibile la comprensione del loro dramma, che è sempre non solo loro, ma anche, sia pure in forme e contesti diversi, di ciascun uomo (“nella giusta interpretazione della Realtà e della Storia risiede l’autentica Poesia”, come ricorda Thomas Carlyle).

Una Storia, quella di Mele, che non è mai svelamento progressivo di un disegno divino o di una più laica razionalità, piuttosto il girare vano nel tempo, un cerchio che si restringe ed allarga fino a diventare voragine, penetrato e raccontato attraverso parole di straordinaria potenza, perché nude e vere, incarnate nella realtà dalla quale non si intende fuggire neanche per un attimo.

*

Il libro “Un grano di morfina per Freud”, viene presentato oggi alle 18 alla libreria Feltrinelli di Salerno (al Corso Vittorio Emanuele). Letture di Pasquale De Cristofaro. Con la sua viola, Michele Coppola suona Mahler e Mozart (che Freud -capitolo 5 dell’Interpretazione - rievoca nell’analisi di un suo sogno: “Canticchio qualcosa che riconosco come l’aria delle “Nozze di Figaro”).


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