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ACCIAROLI (SALERNO). Pollica, ucciso in un agguato il sindaco Angelo Vassallo. Il sostituto procuratore di Vallo della Lucania: "Hanno ucciso una speranza per il Cilento".

lunedì 6 settembre 2010
SALERNITANO
Pollica, ucciso il sindaco Vassallo
Crivellato di colpi sotto casa
Le indagini puntano sulla pista camorristica. Raggiunto da almeno 9 proiettili. La famiglia è impegnata nella ristorazione. Era stato rieletto pochi mesi fa in una lista civica. Il pm Greco: "Un simbolo di legalità" (...)

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> ACCIAROLI (SALERNO). Pollica, ucciso in un agguato il sindaco Angelo Vassallo. --- VENEZIA: CORDOGLIO ALLA MOSTRA DEL CINEMA. Il Lido ricorda il sindaco ucciso. «Noi credevamo», il film girato a Pollica. Angelo Vassallo avrebbe dovuto essere a Venezia (di Stefania Ulivi).

martedì 7 settembre 2010

CORDOGLIO ALLA MOSTRA DEL CINEMA

-  «Noi credevamo», il film girato a Pollica
-  Il Lido ricorda il sindaco ucciso

-   Angelo Vassallo avrebbe dovuto essere a Venezia
-  Il regista Martone: sono vicino agli abitanti del Cilento

Dal nostro inviato Stefania Ulivi *

VENEZIA - Se qualcuno è davvero convinto che interrogarsi sui lati oscuri della storia del nostro paese sia un’attività poco patriottica, la giornata del 7 settembre dovrebbe risultare ferocemente istruttiva. Era atteso al Lido come uno dei partecipanti della «spedizione» di Mario Martone, per presentare «Noi credevamo», terzo film italiano in concorso: ma Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica dove il film è, in parte, ambientato è stato assassinato.

IL CORDOGLIO - Come i protagonisti del film di Martone anche Vassallo credeva a un altro sud. Inevitabile cha la presentazione della monumentale pellicola (durata 3 ore e mezza) sia segnata da un dolore, che per il regista è anche personale. «Lo conoscevo da tanti anni, ha dato una grande mano al film. Mi sento molto vicino agli abitanti del Cilento, terra che amo molto e che volevo portare alla ribalta. E’ un sud che finora non era ancora toccato da questo tipo di violenza e questo ci fa paura, ci deve chiamare tutti a una reazione». Al cordoglio di Martone e dei suoi si unisce la Biennale.

LA PELLICOLA - L’idea del film - robusto affresco in quattro atti del nostro risorgimento - al regista è venuta proprio dalle sue frequentazioni in Cilento. Nonché dall’incontro con il romanzo di Anna Banti a cui ha preso in prestito il titolo e alcune battute, come quella che il cospiratore Domenico pronuncia lasciando un Parlamento vuoto, a unificazione compiuta: «Italia, gretta superba e assassina». La Banti, precisa Martone, le riferiva ai fatti dell’Aspromonte. «Ma quell’Italia si è riproposta più volte nel corso della storia. C’è un perenne conflitto tra un’anima democratica che spinge in avanti e una autoritaria che vuole soffocare quella spinta. Non è uno scontro tra destra e sinistra, ma tra due anime antropologiche del paese. Sopravvive la tendenza a affidarsi a un potere che si suppone forte e che ha prodotto tantissime tragedie». Il filo della storia lo tiene il personaggio di Domenico, giovane patriota che passa nell’arco di mezzo secolo dalla speranza alla disillusione. «La chiave del mio personaggio - aggiunge Luigi Lo Cascio - che interpreto da adulto, è la disillusione, la consapevolezza che il grande sogno dell’unificazione è stato realizzato con patimenti e torture e il rammarico che si poteva fare meglio. E’ mancata la cosa fondamentale: l’ideale, l’ansia di giustizia e di rinascimento sociale». Ideali che, ricorda, Martone, erano quelli della Repubblica romana, il momento in cui, si dice nel film, «L’Italia doveva iniziare, e invece è finita».

L’OTTOCENTO - E’ l’unica presa di posizione ideologica della pellicola. Martone e De Cataldo, che con lui lo ha sceneggiato, dicono di essersi voluti sottrarre alle due retoriche sul Risorgimento. La retorica degli eroi giovani belli illuminati («Le grandi figure, Cavour Mazzini e Garibaldi, si sono combattuti tra loro») e la retorica leghista e neoborbonica dell’unificazione come truffa contro gli italiani («Vogliamo credere che adoravamo gli austriaci, il Papa, i Borboni?»). L’intenzione, dice il regista era «accendere la luce su momenti bui della storia, restituendo un Ottocento diverso da quello narrato magistralmente da Visconti, non ricostruito, ma scavato nel presente». E, infatti, a tratti, il presente irrompe: il carcere dove il rivoluzionario Orsini viene ghigliottinato è il carcere di massima sicurezza di Saluzzo, dove sono stati incarcerati dei brigatisti. Si vede lo scheletro di un palazzo non finito, «immagine familiare sulle nostre coste». Ma ci sono anche i personaggi storici, il Giuseppe Mazzini di Toni Servillo. E il Francesco Crispi di Luca Zingaretti: «Ho cercato di restituire Crispi aderendo a una sensazione di ambiguità, anzi più di liquidità. E ho scoperto un periodo storico che ho studiato come tanti italiani poco e male. Ci ho ritrovato un’energia che sento ancora viva e le riposte a tanti problemi che originano da lì”» E poi c’è una donna, Cristina di Belgioioso (interpretata da Francesca Inaudi e Anna Bonaiuto). «Meriterebbe un film a sé» dice Martone. «Aveva idee politiche molto nette, in contrasto sia con la visione di Cavour che con quella di Mazzini. Una visione che avrebbe potuto dare frutti diversi da quelli che vediamo oggi».

* Corriere della Sera, 07 settembre 2010


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