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MARTIN LUTERO RITORNA A ROMA. Al padre della Riforma protestante, che visitò Roma nel 1510, la capitale dedica due giornate e forse pure una strada... Una nota di Roberto Monforte

venerdì 8 ottobre 2010
Martin Lutero, che gettò le basi della laicità
Al padre della Riforma protestante, che visitò Roma nel 1510, la capitale dedica due giornate e forse pure una strada...
di Roberto Monteforte (l’Unità, 08.10.2010)
Celebrare Martin Lutero a Roma, nella città del Papa, la capitale della (...)

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> MARTIN LUTERO RITORNA A ROMA. --- VAI, METTITI IN VIAGGIO. Intervista a paolo Ricca, pastore e teologo valdese (di Michele Colafato, Gianni Saporetti - "Una Città", 2017).

lunedì 14 giugno 2021

      • CONTINUAZIONE E FINE (DEL POST PRECEDENTE).

Intervista a Paolo Ricca

VAI, METTITI IN VIAGGIO

Realizzata da Michele Colafato, Gianni Saporetti (Una Città n° 244 / 2017 novembre)

Già il Concilio aveva fatto sue alcune idee-forza luterane: il valore della parola di Dio, le due mense, word und sacrament, poi il laico che è sacerdote e la collegialità dei vescovi; il depotenziamento di un primato del papato, che non trova alcun fondamento nelle scritture e che resta l’ostacolo maggiore all’incontro fra le chiese cristiane; il rapporto con la politica che divise le chiese riformate, causando, con l’avallo di Lutero, la tragica repressione dell’anabattismo. Intervista aPaolo Ricca è pastore e teologo valdese. Ha insegnato dal 1976 al 2002 Storia della Chiesa alla Facoltà valdese di teologia.

      • [...]

Il rapporto con la politica ha tormentato anche il mondo della Riforma?

Sì, parliamo dell’anabattismo, di cui i battisti sono gli eredi, non diretti, ma spirituali sì. L’anabattismo, o Riforma radicale, come viene anche chiamato dagli studiosi, pur essendo nato dalla Riforma, con la predicazione di Zwingli a Zurigo, diventa il nemico numero uno della Riforma di Lutero e Calvino, quella detta "magisteriale” perché si è appoggiata al magistrato, cioè al potere politico. Questo è un punto fondamentale del dissidio che porterà a una vera tragedia. La Riforma fu un fenomeno di chiesa, nato nella chiesa e per la chiesa, da esigenze religiose, unicamente religiose, però la sua affermazione dipese dal fatto che venne adottata, per scelta dell’autorità politica, in staterelli che componevano l’impero cristiano di Carlo V, in Germania e anche in Svizzera. Un certo numero di principi e di consigli cittadini nelle città libere, che erano città relativamente democratiche, scelsero questo tipo di cristianesimo, e non si può negare che questo favorì fortemente la sua diffusione, al pari di un grande lavoro di predicazione e di insegnamento. Così, del resto, è stato per la Church of England, la chiesa anglicana: quel tipo di cristianesimo diventa il cristianesimo dell’Inghilterra, o della Scozia. Ma questo è possibile soltanto con l’intervento dell’autorità politica.Ecco, questo è uno dei due punti chiave della critica dell’anabattismo. L’altro è il battesimo dei bambini che loro consideravano non biblico, perché non attestato nella Sacra scrittura dove i battesimi raccontati, a cominciare da quello di Gesù, sono tutti battesimi di credenti, di gente adulta, che decidono consapevolmente di chiederlo. Quindi "Riforma radicale” perché accusavano Lutero di non esserlo abbastanza: "Tu dici che la Bibbia deve essere la prima regola, però ti contraddici facendo valere la tradizione contro la Bibbia”.
-  L’altra critica riguardava appunto il ruolo dello stato nella questione della gestione religiosa. Gli anabattisti dicevano: lo stato non c’entra, la chiesa è una cosa autonoma che non deve essere appoggiata, se il principe vuole frequentare la chiesa va bene, ma non deve mettere il suo potere politico al servizio della causa religiosa, perché questa deve andare avanti con le proprie forze, la forza della fede, della convinzione religiosa. La grande parola degli anabattisti era absond, separazione, la "chiesa separata”. Mentre prima nel corpus cristiano era mescolata con le strutture della società, adesso ci voleva la separazione. E questo portava gli anabattisti a rifiutare qualunque lavoro della polis, della città, a cominciare da quello del magistrato. Loro dicevano: "Se io divento magistrato e la legge prevede la condanna a morte per tutta una serie di reati -e a quel tempo, era così, non ci pensavano due volte!- allora io dovrò applicare la legge e quindi condannare a morte una persona. Questo è contro la mia coscienza cristiana, non lo posso fare, quindi rinuncio a fare il magistrato”. Ecco, qui c’è un punto fondamentale. Qual era l’obiezione di Lutero? Per Lutero la conseguenza di questo absonderung era gravissima. E arriva a dire, con un paradosso, che è più importante la salvezza della città che la salvezza della tua anima. Lutero in questo è più moderno: uno degli aspetti della vocazione cristiana è proprio quello di servire la città, cioè tutti, e non soltanto la propria santità. Quindi c’era un conflitto che tutto sommato riguardava problemi veri, era un conflitto sano, su posizioni diverse, anche opposte, entrambe molto serie. La tragedia qual è stata? Che mentre Lutero in un primo tempo aveva detto che bruciare gli eretici era contro lo Spirito santo -questa è una delle 41 proposizioni in base alle quali era stato scomunicato e che gli si chiedeva di ritrattare- a un certo punto, visto il dilagare dell’anabattismo, che era un movimento di martiri, un movimento popolare che si stava diffondendo a macchia d’olio, invocò il soccorso del potere politico per reprimerlo. E così fu e l’anabattismo fu praticamente annientato.
-  Tutti i teologi anabattisti, e ce n’erano, anche se il movimento era sostanzialmente popolare, furono giustiziati (ho scritto delle pagine su questo perché in Italia nessuno ne sa nulla). Chi bruciato, chi impiccato, chi affogato. Tutti, tranne uno che morì nel suo letto. Quindi sì, Lutero rinnegò la sua posizione, anche se lui non chiese mai la morte, quello mai, però chiedeva l’espulsione, che voleva dire perdere la casa, il lavoro, dover andar via senza sapere dove. Era comunque una tragedia.

Torniamo all’attualità. Mi pare che tu abbia scritto che al di là degli articoli di fede, la novità più significativa della Riforma sia stata quella di un rilancio della predicazione. E della conoscenza del Vangelo. E scrivendo questo mi pare che tu riconoscessi che il punto principale poi è il rapporto con il mondo, con le persone, con gli uomini, più o meno cristiani, più o meno cattolici o più o meno quello che sono. Secondo te, adesso, al giorno d’oggi, le chiese cristiane che cosa possono portare al mondo? Qui, per esempio, mi torna in mente Bonhoeffer, che diceva, se non sbaglio, che bisogna far finta che la religione non ci sia. E che non bisogna dare per scontato nulla, nel momento in cui ci si apre al mondo.

Sì, tutto quello che abbiamo detto finora in fin dei conti riguarda solo i cristiani. Sono problemi che per quanto abbiano una loro suggestione, riguardano pur sempre la "cucina interna”, mentre il vero problema è il mondo, è l’evangelizzazione, il messaggio al mondo. E qui le cose da affrontare diventano ben più gravi. Il vero nodo è il rapporto con la secolarizzazione. Dunque, ci sono due temi. Uno, quello che tu evochi, è la centralità del messaggio. È vero che la Riforma ha un poco spostato il baricentro della fede dal sacramento alla parola, alla predicazione, all’annuncio. Questo è importante perché effettivamente la rivelazione di Dio, se vogliamo dire così, cioè il suo apparire nella storia degli uomini, è un apparire attraverso un logos, una parola, un messaggio. Un messaggio che si iscrive nella storia del popolo di Israele attraverso l’esodo, l’uscita cioè, da dove sei per incamminarti verso una meta, che poi non raggiungi mai. Perché questo è de facto: la terra promessa è la terra sempre promessa e mai raggiunta.

Dove Mosè non entra mai.

Mosè non entra mai, Israele entra ma poi esce, viene cacciato. E si accorge che la terra non è quella, che la terra promessa, come dice Paolo, è il cielo, tra virgolette. Dunque, allora, c’è l’esodo. Questo è fondamentale: tu ti muovi da dove sei, non puoi restare lì. Anche Abramo, lui stava benissimo, era a posto, aveva il suo clan, le sue cose, le sue divinità, aveva tutto: "No, parti!”. Dio è colui che ti fa partire, che non ti lascia dove sei, che ti mette in viaggio. È l’ebreo errante. Però è un cammino non assurdo, non insensato, è anche regolato, c’è una legge, ma c’è comunque una parola che ti chiama, che ti spinge. E questo oggi resta attualissimo perché l’uomo è tale attraverso la parola. In fondo, il fatto che ci sia la guerra è la sconfitta dell’umano. Perché all’uomo dovrebbe bastare la parola. Il fatto che io debba usare la violenza per avere ragione su di te, oltre che un delitto, è la mia sconfitta. Quindi questo che dicevi del messaggio, del fatto che tutto si gioca sulla parola, che la nostra esistenza si gioca così, è una cosa importantissima, costitutiva, indipendentemente adesso dal contenuto della parola.
-  Che cosa porti al mondo? Una parola. Una parola! Non ho altro. Perché credo che nella parola ci sia tutto. O comunque l’essenziale. E che cos’è questa parola? Allora, in un’ottica cristiana la parola è Gesù, la sua vita, la sua storia, la sua morte, la risurrezione. Questa è la parola. Dove mi porta questa parola? Mi porta a due punti cruciali: il primo è che in Gesù l’uomo, l’umanità e la divinità si incontrano e confondono. Ecco. Quindi è una finestra sul mistero di Dio. Tu puoi dire che non vuoi guardare, va bene, non guardare, ma io ti dico che è una finestra da dove puoi vedere qualcosa, Dio come amore, Dio come libertà, eccetera. E due, il modello umano, cioè l’umanità di Ge­­­­­­­sù, come umanità possibile. Tu non credi in Dio? Va bene, però l’uomo è una realtà; Dio è una favola? Va bene, ma l’uomo non è una favola. Cosa vuol dire uomo, che cosa è umano, che cosa è disumano, che cosa è l’antiuomo: io ti dico che qui c’è uno specchio, dove tu puoi vedere che cosa può significare umanità. Ecco, credo che questo sia un discorso non settario, non apologetico, non prepotente. Un discorso che si può fare e che val la pena fare, io credo; non è un lusso, perché moriamo di disumanità.
-  Bonhoeffer ha intuito in profondità, in tempi non sospetti, quando nessuno ci pensava, il carattere a-religioso del mondo prossimo venturo, cioè il nostro, e allora ha suggerito di reinterpretare i concetti biblici in termini laici. Lui purtroppo non l’ha potuto fare perché è stato ucciso. Sarebbe un po’ il nostro compito. Un compito arduo, perché non si può, credo io, in tutta umiltà, non si può tradurre tutto in termini laici. Per dire, il Padre nostro è una preghiera sostanzialmente laica, perché parla del perdono, del pane quotidiano, della libertà dal male, che sono temi laici, però c’è anche il nome di Dio, da santificare, "venga il tuo regno”; sono metafore finché vuoi però è linguaggio religioso. Quindi ci sono dei limiti. Però l’importanza di Bonhoeffer è che lui ci aiuta a sentirci più liberi e a non ingabbiare Dio nella religione e a capire che c’è una laicità di Dio. E allora da lì si può lavorare, si può andare avanti. Ecco, io penso che tutto questo non sia un lusso per anime troppo raffinate, penso che sia pane, proprio pane quotidiano. Pensiamo alla sofferenza dell’Europa, che è così evidente che non sa prendere una decisione praticamente su nulla. Quando tu non sai decidere è perché non hai una visione. Quella che avevi l’hai persa. E non voglio certo dire che quella dell’Europa colonialista, imperialista, fosse quella giusta, voglio dire che l’uomo ha, deve avere, una dimensione profonda. L’appiattimento della coscienza non aiuta.

(a cura di Michele Colafato e Gianni Saporetti)


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