La rivincita dell’égalité
Dalla Francia, il politologo riformista Rosanvallon rilancia un valore rimosso negli anni del neoliberismo trionfante. Anche a sinistra
di Massimiliano Panarari (La Stampa, 24.01.2012)
In tanti l’hanno cercata, nessun l’ha trovata. Stiamo parlando dell’uguaglianza, uno dei valori fondamentali (anzi, quello costitutivo, per Norberto Bobbio) del progressismo, sbrigativamente liquidato da Reagan e dalla Thatcher, e uscito alquanto ammaccato da questi nostri decenni di neoliberalismo trionfante. Persino all’interno della sua famiglia politica di pertinenza, che, data per persa la battaglia, ha preferito dedicarsi alla governance dell’esistente, limitandosi a smussare le punte più ferine degli spiriti animali dell’indomabile turbocapitalismo. O si è invaghita delle teorie normative della giustizia di filosofi politici come John Rawls e Amartya Sen, le quali, immerse nei «veli di ignoranza» e nei modelli astratti di approccio alle scelte pubbliche, tra l’eguaglianza e l’equità prediligono di gran lunga la seconda.
Ecco perché in Francia - il Paese per antonomasia del pensiero politico ugualitario è stata salutata alla stregua di un vero e proprio avvenimento la pubblicazione di La société des égaux (Seuil, pp. 428, 22,50), l’ultimo libro di Pierre Rosanvallon, uno dei più noti intellettuali d’Oltralpe, che rimette al centro proprio l’ égalité, questo grande rimosso della riflessione recente della sinistra. Già animatore della cosiddetta deuxième gauche anticomunista e antitotalitaria, storico politico celeberrimo, professore al Collège de France, Rosanvallon è stato uno dei padri spirituali del social-liberalismo e il protagonista di una serie di scontri furibondi con gli esponenti della sinistra radicale (in primis Pierre Bourdieu) che abbonda in terra transalpina. Ora ci consegna questa terza parte della sua monumentale trilogia sulla democrazia (di cui sono già apparsi La contre-démocratie eLa légitimité démocratique ), una impressionante e poderosa genealogia culturale che scandaglia le nozioni e le visioni di uguaglianza lungo il XIX e il XX secolo, impegnandosi anche a sfatare quelli che, nel frattempo, sono diventati spesso dei (falsi) luoghi comuni.
All’epoca della Rivoluzione del 1789 - la scena originaria, l’inizio di tutto per la politica francese contemporanea uguaglianza e libertà costituivano due sorelle inseparabili, da pensare rigorosamente insieme. Col passare del tempo, quanto più si rivelava vittoriosa la «democrazia-regime», sottolinea lo studioso, tanto più si indeboliva la «democrazia-società», mentre l’uragano della globalizzazione finanziaria minacciava duramente la coesione sociale delle nazioni occidentali e ne metteva irreversibilmente in crisi il Welfare State (o, come lo chiamano a Parigi, l’ État-providence ). Nel frattempo, dilagava una delle patologie della democrazia-regime, il populismo, e si diffondevano ondate di indignazione, inadatte però ad approdare a riforme politiche concrete.
È dunque arrivato il tempo, sotto l’incalzare dei guasti sociali e umani, ma anche economici, prodotti dalla dottrina neoliberista, di lanciare un progetto di democrazia integrale, in grado di coniugare insieme le idealità, a lungo contrapposte, di democrazia e socialismo. Uno choc: Rosanvallon è diventato un rivoluzionario? No, rimane il riformista di sempre, serio e rigoroso (sebbene molto più preoccupato), in una nazione come la Francia nella quale questa parola, a sinistra, ha coinciso a lungo con una sorta di epiteto ingiurioso. E, infatti, lo studioso continua a rifuggire da qualsivoglia politica identitaria (caratteristica del comunitarismo anglosassone), come dall’idea (cara a certa sociologia americana) che l’omogeneità (sociale e addirittura etnica) sia l’indispensabile premessa per sistemi egualitari. Nessun livellamento, ma la sfida di pensare, contemporaneamente, uguaglianza, singolarità e differenza (che il neoliberismo restringe e confina alla sfera esclusiva del consumo). Per riuscirci occorre tornare a un’idea di «uguaglianza-relazione» capace di produrre nuovamente legame sociale, e non soltanto un almanacco (troppo virtuale) di diritti.
Perché una società funzioni, sostiene lo studioso, tutti i suoi componenti devono condividere ed essere educati a tale idea egualitaria, come avevano ben chiaro i leader delle grandi rivoluzioni liberali, francese e americana, che ruotavano dichiaratamente intorno a tre declinazioni dell’idea di uguaglianza: la somiglianza (uguaglianza-equivalenza), l’indipendenza (uguaglianza-autonomia) e la cittadinanza (uguaglianza-partecipazione). Dalla loro confluenza scaturiva, giustappunto, quell’idea di eguaglianza-relazione che alimentava una visione di bene comune e portava con sé le nozioni benefiche di temperanza e misura, che dobbiamo riscoprire ora. Come pure quelle di frugalità e sobrietà, naturalmente nell’accezione di Adam Smith e non in quella del teorico della decrescita Serge Latouche (di cui sta uscendo da Bollati Boringhieri l’ultimo libro, Per un’abbondanza frugale ). Da qui devono dunque ripartire le democrazie liberali, «facendo società», in primis attraverso una nuova politica urbana che riduca i ghetti metropolitani e le barriere sociali tra quartieri.
La ricetta rosanvalloniana prevede anche dosi massicce di «reciprocità» (con un servizio civile a favore della collettività) e di condivisione, a partire da quella del sapere: scuola e educazione rappresentano gli strumenti che devono permettere agli individui di liberarsi da tutto ciò che limita i loro orizzonti. Et voilà il senso della società degli eguali, che rappresenta il luogo politico nel quale i cittadini possono, al tempo stesso, essere eguali e diversi, simili e singoli, dediti a costruire percorsi collettivi, senza tuttavia rinunciare mai alla loro irriducibile individualità. Per questo occorre una sinistra che archivi definitivamente la versione di «partito della spesa, del fisco e della redistribuzione» per trasformarsi in soggetto portatore di una concezione allargata dell’uguaglianza.
Insomma, nessuna paura, Rosanvallon non si è convertito in un teorico postmoderno del «comune» à la Toni Negri, ma resta un saldo social-liberale (o liberalsocialista come diremmo noi). Proprio da quei lidi politico-culturali, infatti, proviene ancora una volta - come già ai tempi di Gobetti - una delle più convincenti perorazioni sulla necessità di un ritorno alla nozione di eguaglianza: da Stéphane Hessel (di cui, per i tipi di Add, è appena uscito Danza con il secolo) allo scomparso Tony Judt, sono proprio i liberali di sinistra a raccontarci quanto Guasto è il mondo (come Laterza ha intitolato un bel libro dello storico inglese), a causa delle teorie dei ChicagoBoys.
Tutte letture da meditare attentamente - a partire da quella di Rosanvallon, accademico di Francia (e dunque anch’egli, decisamente, un professore doc) per quel pezzo di sinistra italiana che si trova a disagio con talune scelte del governo dei professori, ma non vuole tornare a inseguire improbabili utopie.