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COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.

mercoledì 17 aprile 2024
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> MILANO 2012. L’arcivescovo Angelo Scola celebra il ’suo’ imperatore Costantino. --- Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America (di Massimo Faggioli)

venerdì 7 dicembre 2012

Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America

di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 7 dicembre 2012)

Il cardinale di Milano, Angelo Scola, è il più ascoltato tra i vescovi italiani, e per buone ragioni: ciellino intelligente, ha scritto cose di valore e non cortigiane sulla teologia di Giovanni Paolo II, e i suoi discorsi sono raramente di circostanza, anche quando le circostanze lo permetterebbero.

Il discorso tenuto a Milano di fronte al sindaco Pisapia per la festa di sant’Ambrogio ha toccato un nervo scoperto della chiesa cattolica, quello dei rapporti tra la dimensione secolare e laica dello Stato moderno in Occidente e la pretesa del cattolicesimo di farsi interprete di una “sana laicità” che per certi cattolici non è mai abbastanza sana. Si sbaglierebbe però a bollare il discorso del cardinale Scola come il manifesto di un cattolicesimo talebanizzante. C’è una parte originale del discorso che descrive il rapporto tra visioni della vita in Occidente non come una coesistenza tra religioni diverse, ma come un confronto-scontro “tra cultura secolarista e fenomeno religioso”, e che ricorda come l’attacco alla libertà religiosa sia, in alcune aree del mondo contemporaneo, uno dei segni dei tempi.

Ma la parte più discutibile del discorso, non solo dal punto di vista politico ma anche storico, è quella che attiene all’uso della parola stessa “laicità”: nel suo discorso il cardinale la usa una volta sola per associarla all’imperatore Costantino (del cui celebre “editto di Milano” del 313 stanno per iniziare le celebrazioni), facendo dell’imperatore Costantino un assai improbabile eroe della libertà religiosa. Nel resto del discorso Scola parla di laicitè alla francese, e significativamente non articola la differenza sostanziale che esiste tra il concetto medievale di libertas Ecclesiae come “libertà della chiesa” da una parte e l’idea di “libertà religiosa” definita dal concilio Vaticano II meno di cinquant’anni fa, nel 1965.

Questo silenzio deriva da una delle malattie del cattolicesimo contemporaneo, un neo-americanismo che è l’altra faccia dello spauracchio della Rivoluzione francese - il fantasma che agita la chiesa di Roma quando essa viene messa di fronte ad una società in evoluzione: alle rivoluzioni democratiche di metà ottocento in Europa come alla questione dello schiavismo e della segregazione razziale in America tra nel secolo che va tra il 1860 e i “sixties”.

Se l’attacco di Scola alla laicitè alla francese non significa necessariamente un auspicio al ritorno allo Stato confessionale, tuttavia prefigura uno Stato che rimanga aconfessionale ma nel quadro di un nuova idea di libertà religiosa, di una “laicità positiva” non neutrale di fronte al fatto religioso. Il modello è chiaramente quello statunitense.

Il neo-americanismo di Scola è trasparente anche dall’accenno nel discorso del cardinale alla “ferita alla libertà religiosa di cui parla la Conferenza episcopale degli Stati Uniti a proposito della riforma sanitaria di Obama”: è un americanismo tipico dei leader del cattolicesimo contemporaneo, chierici e laici, ed è un segnale interessante, specialmente se si tiene conto del retaggio anti-americano che faceva parte del pedigree dell’intellettuale cattolico europeo novecentesco. Ora siamo arrivati all’estremo opposto. Il problema è la validità di quel modello americano invocato ora da Scola, ma più volte lodato anche da papa Benedetto XVI.

I volonterosi americanisti italiani non sanno che è in crisi anche il modello americano, proposto come soluzione al male europeo del laicismo: gli Stati Uniti vivono di una “religione civile” che esige continui sacrifici (culturali e non solo) sconosciuti all’immaginario politico-religioso europeo. Nello spazio pubblico americano la presenza della religione è tutt’altro che pacificamente accettata. Se si mettessero insieme tutti gli ex cattolici statunitensi, sarebbero la seconda chiesa d’America (dopo la chiesa cattolica).

L’America di cui parlano questi neo-americanisti è un’America che è più vicina a quella di Tocqueville di quasi due secoli fa, che a quella di inizio secolo XXI: anche perchè venerare Tocqueville è meno faticoso che leggere le mille pagine de L’età secolare, opus magnum di Charles Taylor, studioso canadese che negli ultimi anni ha ridefinito il dibattito sulla laicità in Nordamerica.

Ma il problema non è solo di cultura dei cattolici. Anche la letteratura italiana recente di parte neoliberale e neo-conservatrice sul tema di una “nuova laicità non laicista” sembra illudersi, tramite il ricorso ad un sistema di tipo americano, di proteggere una chiesa “established” (nazionale) come quella cattolica in Italia e di aprire lo scenario giuridico-costituzionale ad una maggiore presenza delle religioni nello spazio pubblico senza tenere conto dei costi di questo in termini di coesione giuridica e sociale: ma sembra dimenticare la fondamentale mancanza, in Europa, di una cultura nazionale omologatrice come quella statunitense, capace di assorbire e inghiottire le diversità religiose e di americanizzare ogni presenza religiosa sul territorio americano.

La “cura americana” proposta da alcuni vescovi e cardinali, così come da alcuni cattolici neo-liberali (presenti anche nelle file del Partito Democratico in Italia) potrebbe essere esiziale per il delicato sistema europeo: a meno che questo sistema europeo “post-laico neo-americano” che essi immaginano non significhi una libertà religiosa con alcune religioni orwellianamente più libere di altre.


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