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DIO NON E’ "VALORE" (Benedetto XVI, "Deus caritas est")!!! E il grande fratello non è ... il Padre Nostro ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8)!!!!!!

PER L’ITALIA, "DUE SOLI". Per una nuova laicità, un nuovo cristianesimo!!! Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!! Dante "cantò" non i "mosaici" dei "faraoni", ma diede conto e testimonianza della Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri". L’Amore che muove il Sole e le altre stelle ... e la fine del cattolicesimo costantiniano!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
giovedì 16 agosto 2012 di Federico La Sala
[...] Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ... e della montagna è ben-altro!!!
La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” (...)

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> Dante non "cantò i mosaici" dei "faraoni", ma soprattutto .... la fine del cattolicesimo costantiniano!!! - "Dante e un’etica per il nuovo millennio". Il bene è una modesta proposta (di Paolo Morelli).

sabato 17 marzo 2018

Il bene è una modesta proposta

di Paolo Morelli (nazione indiana, 17.03.2018)

      • Filippo La Porta, Il bene e gli altri (Dante e un’etica per il nuovo millennio), Bompiani

“A un certo punto, nell’educazione di mio figlio, ho cominciato a sostituire i concetti di buono e cattivo con quelli di reale e irreale, per quanto ciò possa sembrare arbitrario”. Nei suoi ultimi libri Filippo La Porta pare prendere il via da considerazioni di carattere pedagogico assai personale. Ma se nel precedente, Indaffarati, l’indagine riguardava la gioventù odierna e i suoi problemi d’adattamento, qui il critico letterario torna alla grande letteratura e alle sue possibilità di interpretazione ed integrazione nel vissuto quotidiano. Sarà per questo intento iniziale forse, educatore ed autobiografico che la lettura di quello che è pur sempre un saggio dantesco si presenta confortevole, amicale, familiare, con tutta evidenza cosa assai rara.

La Commedia di Dante, dispiegata e spaginata quasi fosse un esercizio spirituale, cioè a dire una pratica personale destinata ad operare un mutamento di visione. Terreno impervio, vista da stratificazione quasi millenaria di pensose riletture e studi accademici sul poema, quella di guardare oggi al viaggio avventuroso nell’oltretomba come un percorso morale di perfezione, un rivolgimento, e alla portata di tutti. Lui il Sommo, così avverso alla modernità riletto come classico contemporaneo, non aggiungendo quindi l’ennesima dose di filologia dantesca bensì alla scoperta di un Dante etico che “possa aiutarci a ridefinire un’etica per il terzo millennio”. E con un suo mentore anche in questo caso, magari più di uno, ma certamente centrale appare la figura di Simone Weil e la sua affermazione che “è bene ciò che dà maggiore realtà agli esseri e alle cose, male ciò che gliela toglie”.

Ed è con la forza delle analogie e la disinvoltura di un appassionato e continuo processo d’induzione che l’autore si avvicina, pure lui “con esitante umiltà”, si appresta a smuovere il monumento per una buona causa, costeggiando o corteggiando l’arbitrario per scrollarsi di dosso il noto, il risaputo, per riaprirlo convinto, almeno pragmaticamente, del primato della morale sulla metafisica e l’idea di grandezza che inevitabilmente essa porta in sé.

Dalla lettura attenta del poema quindi si può ricavare un’idea di bene “come riconoscimento della realtà (...), del carattere inesauribile e diversificato del mondo”, mentre il male, qui sempre minuscolo, è “sottrazione di realtà” per se e per gli altri, è chiusura. È bene (e aggiungerei io, utile) accettare l’insensatezza, la carenza, la reale e realistica nostra debolezza di fronte all’esistere, il male morale nasce invece da una cattiva immaginazione, dall’illusione di una stabilità. Amare qualcuno è dargli realtà, scrive La Porta, e lo ripete nel libro quasi con effetto psicagogico, vale a dire lasciare essere l’altro quello che è, senza volerlo per forza cambiare, ritirarsi quando serve per far esistere l’altro giacché solo “ci si salva lasciando che il mondo esista”. Il corollario di questa intuizione weiliana con cui leggere la Commedia è che una mente sana è una mente non distratta, causa ed effetto al contempo di una speciale qualità di attenzione non solo per gli altri ma per se stessi, traverso la quale è possibile riconoscere che tutti gli eventi e le cose al mondo, noi compresi, sono invariabilmente collegati, intrecciati da nessi cangianti, e ciò che li collega può addirittura definirsi il ‘sacro’.

Quindi il fine della ricerca dantesca, e della nostra parimenti potrebbe essere la visione delle cose come sono, ma il mezzo, lo strumento non può che essere l’attenzione, una speciale qualità d’attenzione come atto intellettivo originario da cui scaturisce, quasi per forza, l’effetto di un amor proprio meno lòico (lo è il diavolo), calcolatore e più laico, cioè forte abbastanza da avere il senso del limite, da poter esercitare la mitezza, quella mitezza così spesso scambiata per debolezza.

Ma poi sul libro aleggia anche, a mio parere, l’urgenza, l’esigenza di una critica letteraria risvegliata dal pensiero etico. Il pensiero pigro, esausto, nichilista o post-moderno che dir si voglia della nostra attualità accetta che non vi sia alcuna verità intrinseca nell’opera d’arte, e che la valutazione si possa quindi limitare al gusto personale, più o meno ammantato da chiacchiere e distintivo. In realtà, e se vogliamo sognare una rifondazione di una necessità quotidiana, di una efficacia autentica, la verità di un’opera d’arte dovrà trovarsi nella maggiore approssimazione del bello al bene, nella kalokagathìa per dirla alla greca.

E questa non è solo una modesta proposta.


Nota:

LA LEZIONE DI DANTE, OGGI. CONOSCERE SE STESSI E CHIARIRSI LE IDEE, PER CARITÀ ...

      • (...) a mio parere, l’urgenza, l’esigenza di una critica letteraria risvegliata dal pensiero etico (...)In realtà, e se vogliamo sognare una rifondazione di una necessità quotidiana, di una efficacia autentica, la verità di un’opera d’arte dovrà trovarsi nella maggiore approssimazione del bello al bene, nella kalokagathìa per dirla alla greca. E questa non è solo una modesta proposta"(Paolo Morelli).

Dante non "cantò i mosaici" dei "faraoni", ma soprattutto la Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri". L’Amore che muove il Sole e le altre stelle ... e la fine del cattolicesimo costantiniano!!!

Per ben agire e ben comunicare (anche solo con se stessi o con stesse!), come insegna Dante, ci vogliono TRE SOLI (la cosiddetta - impropriamente - teoria dei "due soli")!!!

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA".

Federico La Sala


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