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Al di là dello specchio...

LEGGERE NELLA MENTE DEGLI ALTRI. Le cose non sono così semplici. Ammonendo il suo interlocutore Sherlock Holmes affermava: «I risultati migliori, ispettore, li avrà mettendosi sempre nei panni dell’altro, pensando a ciò che avrebbe fatto se fosse stato in lui. Occorre un po’ di fantasia, ma ne vale la pena» - a cura di pfls.

mercoledì 21 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nelle Affinità elettive Goethe immagina gli effetti che avrebbe sulle relazioni sociali il potere osservare, attraverso una finestrella posta sulla fronte delle persone, i loro pensieri. La vita ordinaria sarebbe molto diversa da quella a cui siamo abituati, anche se non necessariamente migliore. Molte relazioni interpersonali, come quelle informate dalla competitività, sono possibili proprio grazie al fatto che le intenzioni altrui sono parzialmente opache. Inoltre, certe volte la (...)

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> LEGGERE NELLA MENTE DEGLI ALTRI. -- MILANO. Una App per imparare a mettersi nei panni degli altri. Nasce la prima Fondazione Empatia

martedì 11 luglio 2017

METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI - LEGGERE NELLA MENTE DEGLI ALTRI... Il "Narcisismo" e l’uso lucidissimo come arma politica dell’"antinomia del mentitore"

      • George Lakoff, Pensiero politico e scienza della mente (traduzione di G. Barile, pp. 339, euro 26,00, Bruno Mondadori).


Milano, una App per imparare a mettersi nei panni degli altri: nasce la prima Fondazione Empatia

Vedere il mondo con gli occhi di un bambino, di un migrante, di un cieco, di un pdisabile o di chi è vittima di bullismo. Dall’etimologia della parola, sentire-dentro, nasce il progetto per imparare a comprendere lo stato d’animo degli altri. Presto iniziative, eventi e un film d’animazione di Bruno Bozzetto

di ZITA DAZZI (la Repubblica/Milano, 06 luglio 2017)

Mettersi nei panni di un rifugiato, di una persona che soffre un disagio psichico, una disabilità. Provare a vedere il mondo con gli occhi di un bambino, di un migrante, di un cieco, di chi subisce atti di bullismo. E’ la sfida che si pone la nuova Fondazione Empatia Milano, presentata a Milano, a Palazzo Marino, partner dell’iniziativa che nasce da un’idea di Giannatonio Mezzetti. L’ex dirigente d’azienda, già promotore del format danese "Biblioteca Vivente" sui temi della salute mentale, aveva portato in luoghi prestigiosi come il Museo del ’900, persone che raccontavano la loro storia, come libri parlanti, con l’obiettivo di diffondere le esperienze personali. Iniziative fatte in collaborazione con ABCittà e Coop lotta contro l’Emarginazione. Se negli ultimi anni la parola più di tendenza è stata "resilienza", ora è il momento dell’"empatia", una parola che significa sentire-dentro. Empatia è infatti la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, che si tratti di gioia o di dolore. Sentire l’altrui dentro di sé, mettersi nei panni dell’altro.

Accanto all’assessore Pierfrancesco Majorino, in sala Brigida, alcuni dei molti promotori e testimonial di questa iniziativa, unica in Italia, che ha invece precedenti illustri all’estero: a Londra esiste il primo Empathy Museum europeo e ad esso si ispira la Fem di Milano. Fra i testimonial, il grande disegnatore e padre della scuola di animazione italiana, Bruno Bozzetto, che con il suo studio realizzerà un film sull’idea dell’empatia e sulle iniziative milanesi per fare sì che questa pratica si diffonda.

Intorno a questa idea, che abbraccia tutti i campi del privato e del sociale, si svilupperà l’attività di FEM, che ha nel suo comitato etico una fiosofa come Laura Boella, un criminologo come Adolfo Ceretti, lo psicoanalista Francesco Comelli, Marina Pugliese, storica dell’arte che dopo aver diretto il museo del ’900 ora vive e insegna negli Usa. "Con questo progetto facciamo una grande scommessa - ha detto l’assessore Majorino - Viviamo ogni giorno il corpo a corpo tra precarietà e risposte al bisogno e questo ci pone domande nuove. Questa Fondazione è una opportunità per farcela. Dalle biografie di chi compone il comitato etico si comprende quale sia l’orientamento e quale la forza di questo progetto che unisce ciò che è già vicendevolmente partecipato, ovvero cultura e pratica sociale, arte e bellezza come cura e restituzione nel sociale. La fragilità non è da eliminare ma da includere e far propria".

A spiegare l’assunto da cui nasce questa idea - che avrà presto anche una App e un Kit per l’empatia, è la sociologa Petra Mezzetti: "In società plurali, dove l’alterità fa sempre più paura e molti si difendono alzando barriere o frequentando solo gruppi omogenei, sollecitare la capacità di creare empatia attraverso esperienze culturali innovative - e anche spiazzanti - può diventare un’occasione per "forzare il blocco", incoraggiare l’incontro e il dialogo con nuove realtà, promuovere processi partecipativi, creare un circolo virtuoso di conoscenza, apertura, e quindi di inclusione".

Bruno Bozzetto, - fondatore, nel 1960, della casa di produzione Studio Bozzetto&Co - aggiunge: "Siamo contenti di poter dare il nostro contributo al progetto FEM. L’animazione è un linguaggio che si presta ad un numero infinito di soluzioni narrative, poterla utilizzare per comunicare un concetto molto ampio e complesso come l’Empatia ci è subito sembrata una sfida interessante". La Fondazione sta attivando strumenti di fundraising e di crowdfunding, in attesa di trovare finanziamenti pubblici. I partner sono la Pinacoteca di Brera (comprendente la Mediateca di Santa Teresa), le Gallerie d’Italia e prossimamente altri di cui verrà data presto comunicazione.

Con loro FEM realizzerà percorsi "empatici", iniziative, eventi. La Mediateca di Santa Teresa, in particolare, sarà punto di riferimento per le attività della Fondazione. Qui nascerà un archivio permanente di materiali multimediali utili a ricostruire storie e profili di persone portatrici di diversità e di sfide culturali. Da ottobre, ci saranno diversi eventi pubblici, per invitare i milanesi a mettersi anche fisicamente "nelle scarpe degli altri" condividendo emozioni e problemi.


Empatia

Elogio del co-sentire di Max Scheler: arriva dagli Anni 20 una proposta di salvezza

Che in noi risuonino le gioie e i dolori altrui

“Una lucida analisi del filosofo tedesco: una nuova convivenza basata sul rispetto della reciproca diversità”

di Ermanno Bencivenga (La Stampa/Tuttolibri, 05.03.2011)

La simpatia o empatia è di moda. Mentre si allarga la meritata fama del gruppo di ricercatori italiani che hanno scoperto e studiano quei neuroni specchio che ne costituiscono il fondamento biologico, Jeremy Rifkin, in un libro edito quest’anno in Italia da Mondadori ( Civiltà dell’empatia ), trova in essa una speranza di salvezza tanto promettente e perentoria quanto, qualche anno fa, era per lui l’idrogeno. Ma la popolarità è spesso di ostacolo a un’analisi dettagliata e profonda; giunge quindi a proposito la nuova traduzione di un classico testo sull’argomento, Essenza e forme della simpatia , di Max Scheler (nella sua seconda edizione originariamente pubblicata nel 1923), curata con rigore linguistico e storico da Laura Boella.

Il pregio principale del lavoro di Scheler consiste nella precisa tassonomia da esso offerta di una costellazione di fenomeni certo collegati ma decisamente distinti, che il discorso comune e anche quello filosofico tendono a confondere tra loro. A un estremo di tale spettro troviamo il «ri-sentire» e il «rivivere», caratteristici «dello storico di valore, del romanziere, dell’artista drammatico»: in essi «cogliamo effettivamente la qualità del sentimento altrui senza che questo venga trasferito a noi o che un sentimento reale e uguale venga prodotto in noi». Questo rivivere è qualcosa di più di un semplice giudizio intellettuale, ma si situa ancora «nella sfera del comportamento conoscente» e non comporta alcuna partecipazione al sentire dell’altro.

Dimostrano maggiore partecipazione il contagio affettivo, come nel caso dell’«allegria in una locanda o a una festa», e le varie modalità dell’«unipatia (o identificazione) del proprio io individuale con un altro», un’accentuazione o «per così dire un caso limite del contagio»: il rapporto di una tribù primitiva con il suo totem, gli antichi misteri religiosi, la suggestione ipnotica, vari comportamenti infantili e schizofrenici, l’atto sessuale compiuto per amore in cui «entrambe le parti intendono tuffarsi in un’unica corrente di vita che non contiene più in sé nessuno degli io individuali separatamente».

Il genuino «co-sentire» ( Mitgefühl ) è al di là di questa fusione: mantiene l’altro come altro, come diverso da sé, e ne prova i sentimenti come suoi, senza identificarvisi. In questo modo, apre la strada all’amore, il cui «senso più profondo non è affatto di prendere e trattare l’altro come se fosse identico al proprio io», e lo riscatta dall’istinto: «È amore materno solo quello che supera questa tendenza [istintiva a riprendersi indietro il bambino] e mira al bambino come a un essere autonomo che lentamente dall’oscurità dell’organico sale a un livello di coscienza più alto».

Chiudendo genialmente il suo discorso in un circolo (o una spirale?), Scheler annuncia che solo il co-sentire, il quale è «sempre fondato su un amore e senza amore cessa», è fonte di vera conoscenza, cioè di una comprensione specifica e particolare di ogni individuo: «Quanto più profondamente penetriamo un uomo, attraverso una conoscenza comprendente guidata dall’amore della persona, tanto più questi diventa per noi non intercambiabile, individuale, unico, insostituibile e non rimpiazzabile». La presunta sfera conoscitiva menzionata sopra, figlia del disinteresse e della neutralità, si rivela così non in grado di adempiere alla sua promessa.

Sono solo scampoli di un’indagine ampia e lucida, vigorosa e originale; ma bastano per illustrare come quella che si considera una soluzione possa non essere altro che il nome di un mistero. Dobbiamo dunque cercare le basi di una nuova convivenza, si dice, non nell’interesse personale, nella fede o nella ragione ma nell’empatia. Che cosa vuol dire? In una semplice capacità di drammatizzare l’esperienza altrui? In un’unione mistica con la specie (del genere che Hegel, poco benevolmente, avrebbe chiamato una notte nera in cui tutte le vacche sono nere)? O facendo attenzione gli uni agli altri, mantenendo e rispettando la nostra reciproca diversità e insieme sentendo risuonare il nostro corpo e la nostra anima della gioia e del dolore dei nostri simili? Scheler, quantomeno, ci dà un vocabolario in cui cominciare a porci queste domande.


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