IDEE.
Nel suo nuovo libro il filosofo Robert Spaemann affronta una delle questioni scottanti della nostra epoca: in chi credere
Dio, una parola che sfida i secoli
Fu san Paolo a stipulare per primo un contratto di assicurazione come credente quando disse: «Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede»
«Il cristianesimo chiede alla ragione di non omettere la domanda su Dio. Ma sa anche che la verità si rivelerà solo alla fine dei tempi»
di ROBERT SPAEMANN (Avvenire, 30.10.2008)
Delle cose degli uomini si può parlare in due modi: da una prospettiva interna e da una esterna. Pensiamo per esempio ad una giovane coppia che stipula una polizza per un’assicurazione sulla vita. Di che cosa si tratti, in questo caso, è ovvio: i due vogliono, in vecchiaia, poter riscuotere una certa somma e proteggersi così dal rischio di finire in povertà. Se aveva senso stipulare tale polizza, si vedrà soltanto nel momento in cui l’evento assicurato avrà luogo e la somma verrà versata. Per il momento, i due giovani devono fidarsi della solidità della società assicuratrice e pensare che la liquidità sarà sufficiente. Questa polizza, però, ha anche un profilo esterno, che non dipende dal fatto che questa fiducia sia giustificata o meno. Il comportamento della coppia può essere oggetto di ricerche di natura sociologica e psicologica.
Si può analizzare quante giovani coppie stipulano un’assicurazione di questo genere, e in base a quali fattori. Ci si può chiedere quali effetti abbia una polizza del genere sullo stile di vita delle persone, sul loro sentimento della vita, sul loro comportamento da consumatori, sulla stabilità della loro relazione, sulla loro disponibilità a correre rischi, nonché sulla loro disponibilità a mettere al mondo dei figli. La prospettiva esterna assicura alcune conoscenze, ma sussiste a partire dalla prospettiva interna. Se la coppia fosse convinta che l’assicurazione non è in grado di onorare il contratto nel caso si verifichi l’evento assicurato, non lo stipulerebbe, e tutti gli altri aspetti non avrebbero alcun fondamento.
In questo senso l’apostolo Paolo scrive ai Corinzi: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana [...] la nostra fede» (cfr. 1 Cor 15,14). Infatti, la religione cristiana, avendo un profilo interno e uno esterno, si trova nella stessa situazione di tutte le cose degli uomini. Il suo profilo interno è costituito dalla fede nella realtà di Dio e dalla speranza della vita eterna presso Dio. Ma finché è fede che vive in questo mondo, essa adempie, allo stesso tempo, varie funzioni sociali e psicologiche: ha delle ripercussioni sullo stile di vita degli uomini e sul loro stato d’animo.
Non può, però, essere definita a partire da questi effetti. Sta o cade insieme al suo contenuto cognitivo. «Questa è la vita eterna», dice Gesù nel Vangelo di Giovanni, «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » ( Gv 17,3). E anche la frase spesso citata della prima lettera a Timoteo, «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati...», senza la seconda parte, che dice: «... e arrivino alla conoscenza della verità » ( 1Tim 2,4), non è completa, anzi, trae in inganno.
Il mondo è pluralistico, e lo è sempre stato. In un mondo pluralistico, però, prospettiva interna ed esterna sono inevitabilmente in concorrenza l’una con l’altra. Chi vede delle persone ballare, ma non sente la musica, non capisce i movimenti che osserva. E così, chi non condivide la fede cristiana sarà incline a spiegarla attraverso qualcosa di diverso dalla verità del suo oggetto. E, in ultima analisi, non comprenderà il fedele.
Chi vive nella prospettiva interna si attiene alle parole di san Paolo: «L’uomo spirituale giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno» ( 1Cor 2,15). Chi, però, è incapace di calarsi nella prospettiva esterna, in base alla quale la religione cristiana è una concezione del mondo tra altre, diventa un settario o un fanatico che si chiude nei confronti dell’universalità della ragione. La fede cristiana postula la medesima universalità della ragione. Anzi, pretende dalla ragione che non resti indietro rispetto al suo concetto, e constata che resta indietro se omette la domanda su Dio. Ma sa anche che il giudizio dell’“uomo spirituale”, come verità universale, integrante qualsiasi prospettiva esterna, si rivelerà soltanto alla fine dei tempi.
Intanto, corrisponde alla verità delle cose parlare la lingua di tutte e due le prospettive, a seconda delle circostanze nelle quali ci troviamo e delle persone con le quali parliamo. I testi qui raccolti fanno questo. Ci sono riflessioni “dall’esterno”, appartenenti piuttosto alla religione come disciplina scientifica, ma anche conferenze, nelle quali Gesù è chiamato “il Signore”, che sono rivolte ai fratelli cristiani che sanno di chi si parla. E infine ci sono testi nei quali l’autore, sulla base di un discorso razionale di per sé aperto a tutti gli uomini, riflettendo su Dio si rivolge ad ascoltatori o lettori pronti a una riflessione del genere.
Infatti egli crede, contrariamente al grande Pascal, che il Dio dei filosofi non sia altro che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come anche che la stella del mattino non sia altro che la stella della sera. D’accordo con Platone, l’autore crede che sia un uomo davvero misero chi non è disposto a riflettere in profondità su ciò che, se fosse vero, sarebbe la cosa più importante, anzi, l’unica cosa che conta veramente (Platone, Fedone 85b). È sempre Platone che fa dire a un interlocutore di Socrate che bisogna «prendere la migliore e la più inconfutabile delle opinioni umane su questo argomento cercando di navigare su di essa come su una tavola di legno, attraverso la vita, finché non si possa viaggiare più sicuri e con meno pericoli su un veicolo più solido o su un Logos divino» ( Fedone 86a).
Il veicolo più solido sembra essere la filosofia. La fede che il Logos divino si è fatto carne per far sì che si possa viaggiare su di lui, secondo Sant’Agostino è l’unica cosa che distingue “i nostri” dai Platonici. Platone stesso non è chiamato in causa da questa distinzione in quanto, ai suoi tempi, l’avvenimento non era ancora accaduto.
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IL LIBRO
Le convinzioni della fede messe alla prova
Il nuovo libro del filosofo tedesco Robert Spaemann (nella foto), «La diceria immortale», che esce oggi per le edizioni Cantagalli (pagine 200, euro 20) è una indagine su ciò che deve spingere a credere in Dio: non per un qualche interesse o per diventare più buoni, dice Spaemann, ma semplicemente perché esiste. Ed è dalla sua esistenza che tutto acquista un senso. Dal libro anticipiamo le pagine dell’introduzione.
Sul tema, nel sito, si cfr.: