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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). --- Il Cantico dei cantici e la Regina di Saba (di Armando Torno).

mercoledì 11 marzo 2009

La leggenda.

-   Una storia affascinante di religioni e migrazioni nel personaggio biblico
-  alla base della fondazione del regno

Bruna e sensuale, la regina di Saba stregò anche Stalin

di Armando Torno (Corriere della Sera, 11.03.2009)

Una e trina. Si definisce «nigra» nel Cantico dei Cantici. Ma per gli studiosi le donne evocate dal testo sono tre: la sposa, la femmina libera e la prostituta

Che relazione c’è tra la Regina di Saba e l’Etiopia? E quale rapporto ci fu tra questa donna che ha suscitato meraviglia nei secoli - anche Händel ne fu magato - e quella che corre in cerca d’amore nel Cantico dei Cantici? Ogni risposta deve cominciare da un semplice passo del piccolo libro sapienziale.

Diremo innanzitutto che Gerolamo, nella sua versione latina della Bibbia, la celebre Vulgata, rende il versetto 1,5 del Cantico con queste parole: «Nigra sum sed formosa/ filiae Ierusalem/ sicut tabernacula Cedar/ sicut pelles Salma». L’attuale traduzione italiana utilizzata dalla Chiesa Cattolica (Cei, 2008) è la seguente: «Bruna sono ma bella/ o figlie di Gerusalemme/ come le tende di Kedar / come le cortine di Salomone».

Il latino nigra, l’attuale bruna, equivale all’ebraico šehôrâ, ovvero nera (femminile di šahor). Apparentemente è un termine facile, in realtà cela significati a cominciare dalle sequenza consonantica šhr: in essa si possono trovare le ragioni del «desiderare ardentemente», del «ricercare», o di «essere nero». L’esegesi spiega il passo ricordando che la carnagione scura - l’aveva anche la sposa egiziana del Salomone storico - è tuttavia tipica di una ragazza abbronzata a causa dei lavori agricoli. Del resto, non pochi antichi poeti arabi amano opporre il colore chiaro delle giovani nobili (nel Cantico sono le Figlie di Gerusalemme) a quello di schiave e serve che svolgono lavori al sole. Ma c’è qualcosa da aggiungere: la radice šhr diventa in taluni passi del piccolo libro biblico - per esempio in 3,1 e 5,6: «L’ho cercato, ma non l’ho trovato» - un sinonimo intensivo di un’altra sequenza consonantica, bqš, che nel Cantico appare e scompare indicando l’inquietudine d’amore della donna. Gerolamo, sempre meraviglioso nelle sue soluzioni, sceglie «formosa», placando la sete di sensualità imprigionata nel soffio impronunciabile.

Fermiamoci qui, ché si potrebbe continuare all’infinito, per sottolineare che le donne del breve poemetto non sono una ma tre (è la tesi di Giovanni Garbini: Cantico dei Cantici, Paideia 1992). Si vedono e si nascondono nella corsa d’amore la sposa, la donna libera e la prostituta. Per questo nel rincorrersi dei giochi tra sillabe e sentimenti è lecito evocare la Regina di Saba che giunge a Gerusalemme per mettere alla prova la saggezza di Salomone e rimane incantata dalla sua sapienza. È una visita attuata senza badare a spese.

Si legge nel Primo libro dei Re: «Ella diede al monarca centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose» (10,10). La regina senza nome - la leggenda musulmana la chiama Balkis e quella etiope Makeda; Saba non è una località ma una popolazione: la parola è la trascrizione greca di Sheba - intraprende il suo viaggio per stipulare un accordo commerciale, giacché il re controllava le vie di comunicazione e quindi poteva danneggiare gli affari dei Sabei che, tra l’altro, riscuotevano gabelle dalle carovane di passaggio.

Il regno di Saba si estendeva nell’Arabia meridionale, in coincidenza con l’attuale Yemen. Ha una storia fascinosa, della quale fanno parte anche migrazioni in Etiopia (le vicende, con ricca iconografia, sono ricostruite da Giovanni Garbini e Bruno Chiesa nel volume I primi Arabi, Jaca Book 2007). Del resto, il Paese che sorge sull’altra riva del mar Rosso, proprio l’Etiopia, rivendica il figlio nato dal leggendario amore che si accese tra la regina e Salomone. Lo chiamarono Menelik ed è l’antenato degli imperatori etiopi. Il monarca di questa terra vanta tra i suoi titoli «Leone vittorioso della tribù di Giuda». Non a caso il suo emblema è una stella a sei punte che evoca quella di Davide. La Regina di Saba diventò un’icona per le onorificenze dell’Etiopia: nella tesoreria del Museo Statale di Storia, che si affaccia sulla piazza Rossa a Mosca, è conservata una grande medaglia che il Negus mise sul petto a Stalin (l’onore toccò anche ad Eisenhower).

Morale del racconto. La donna - le rappresenta tutte - del Cantico è scura, come la Regina di Saba, come le etiopi. È sensuale, come prova la radice ebraica accennata. Senz’altro volle conoscere la carne, oltre alla sapienza di Salomone, e se ciò accadde nessuno ci impedisce di credere che il continuo amplesso evocato dal poemetto sia metafora del viaggio d’amore della Regina. Difficile dire se Stalin pensasse a lei, dopo aver ricevuto la medaglia, ma in nessuna foto la mostra. Aveva letto troppo attentamente Machiavelli per concedersi questo lusso biblico.

Ma la sacralità nell’Etiopia settentrionale si respira in ogni villaggio. Nonostante sia praticamente circondato da Paesi musulmani l’antica Abissinia ha mantenuto una cristianità profonda, fatta di riti antichissimi. L’influenza islamica però si sente, ad esempio, nel dover togliersi le scarpe quando si entra in una chiesa, esattamente come si fa per le moschee.

Molti dei monasteri ortodossi sono vietati alle donne, come quello di Debre Damo il più antico dell’Etiopia. Situato sul cucuzzolo di una montagna, si raggiunge infilandosi in una cesta che viene tirata su dai sacerdoti con una fune. Si sale gratis, ma se poi non si dà una consistente mancia i santi signori non ti fanno più scendere. Il monastero contiene un’incredibile collezione di più di mille testi sacri scritti e decorati a mano e frammenti di antichi manoscritti.

Decine e decine di chiese e monasteri, alcuni dei quali edificati nel 13˚ secolo ma quasi tutti vietati alle donne, si nascondono nelle 37 isole e sulle rive del lago Tana. Forse il luogo di culto più spettacolare è quello di Ura Kidane Mehret.

Ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, si può ammirare un piccolo gioiello, la cattedrale di San Giorgio, curiosa per la sua forma ottagonale. È molto più giovane di tutti i tesori del Paese, costruita dopo la battaglia di Adua del 1896 dai prigionieri di guerra italiani. Spettacolari le vetrate con immagini sacre. Qui furono incoronati gli imperatori Zewditu nel 1917 e Hailè Selassie nel 1930. Anche loro con un rito sacro.


Sulla Regina di Saba, e sull’Etiopia, nel sito, si cfr.:

AXUM. SCOPERTO IL PALAZZO DELLA REGINA DI SABA.


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