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COME SE AUSCHWITZ NON FOSSE MAI AVVENUTO, PER LA CHIESA DI PAPA RATZINGER. Si continuano a "concedere a Hitler delle vittorie postume" (Emil L. Fackenheim: "Tiqqun. Riparare il mondo")!!!

PAPA RATZINGER, ANNO SACERDOTALE E PEDOFILIA. I PASTORI SI MANGIANO LE PECORE? E’ "UN FENOMENO RIDOTTO"!!! Il ’rassicurante’ bilancio di Monsignor Charles J. Scicluna, il «promotore di giustizia» del Vaticano. Un’intervista di Gianni Cardinale - a cura di Federico La Sala

"I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere".
martedì 16 marzo 2010 di Federico La Sala
[...] Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922... [...]
SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA (...)

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> IL CASO DEI PASTORI CHE SI MANGIANO GLI AGNELLI. ... Trecento, secondo il Vaticano, gli autentici casi di pedofilia imputabili a sacerdoti nell’ultimo mezzo secolo; quattrocentomila i sacerdoti cattolici nel mondo (di Marina Corradi - Questi uomini che amano i figli degli altri come figli loro).

lunedì 15 marzo 2010


I NOSTRI 400MILA PRETI CATTOLICI

QUESTI UOMINI CHE AMANO I FIGLI D’ALTRI COME FIGLI LORO

di MARINA CORRADI (Avvenire, 14.03.2010

Quasi ogni giorno dalla Germania ar­rivano notizie di casi di abusi pedo­fili addebitati a sacerdoti. Storie ri­salenti a cinquant’anni fa, come a Rati­sbona, e difficili da verificare. O nuove de­nunce, da vagliare con rigore, per fare pie­na luce, come vuole il Papa, sul più intol­lerabile dei crimini. Per rendere giustizia alle vittime e, eventualmente, agli inno­centi. Ma sembra che una gran ruota me­diatica si sia messa in moto, quella ruota che giudica e condanna già nel pronun­ciare un nome; e all’infinito replica quei nomi, e quelle già decretate condanne. Al­lora tra quanti si sentono appartenenti al­la Chiesa percepisci un’ombra di scora­mento amaro: ma la nostra Chiesa, i no­stri preti, possibile che se ne parli solo per associarli alla colpa, di tutte, più terribile?

Smarrimento, e il dubbio che questa on­da mediatica, nel denunciare episodi an­che autentici, taccia di un’altra parte, mol­to più grande, della realtà. Che insegua con i riflettori colpevoli veri o presunti, e ignori la silenziosa immensa moltitudine di sacerdoti fedeli. (Trecento, secondo il Vaticano, gli autentici casi di pedofilia im­putabili a sacerdoti nell’ultimo mezzo se­colo; quattrocentomila i sacerdoti catto­lici nel mondo).

No, non è riducibile a quelle accuse, al pu­re tragico fallimento di alcuni, la testimo­nianza resa dai preti ai credenti. Che leg­gono i giornali, li chiudono sgomenti, ma vanno invece con la memoria a un orato­rio, a un’infanzia; alla faccia di un uomo. Al ricordo di uno che ti accoglieva, e vole­va bene, quando magari attorno c’era so­lo la strada; che era certo che anche nei peggiori ci fosse del buono; che era padre più del padre vero, perché, a differenza di non pochi padri di oggi, era convinto che ognuno di noi ha un compito, e un desti­no buono.

Ci sono milioni di uomini e donne al mon­do, che nella loro infanzia e adolescenza hanno questo ricordo. Magari centrale, magari solo in un angolo - voce poco a­scoltata in distratte lezioni di catechismo. Tuttavia, da adulti, anche tanti dei più lon­tani rimandano i loro figli al catechismo: come nell’eco di una parola ascoltata fret­tolosamente, non ben compresa, e però, intuiscono ora, importante. Come nel ri­cordo della faccia di un uomo, che co­munque perdonava - e che andresti a cer­care, con una strana urgenza nel cuore, il giorno in cui sapessi che il tempo ormai è breve.

Fanno più rumore, certo, quegli alberi spezzati, schiantati dal male, che la gran­de foresta che intorno silenziosamente cresce. La limpidezza voluta da Benedet­to XVI nell’anno sacerdotale si confronta con lo sguardo degli uomini, e con il vo­lano vorace dei media. Con un accani­mento che, ha notato il portavoce della Santa Sede padre Lombardi, «a Ratisbona e a Monaco ha cercato elementi per coin­volgere personalmente il Papa nella que­stione degli abusi». E addirittura, si direb­be, con un compiacimento nel cercare di disfare col fango l’immagine stessa del sa­cerdozio. Come se ci fossero, sotto, altri conti da saldare con questi uomini così cocciutamente diversi, così assurdamen­te celibi, così non disposti a conformarsi alla mentalità corrente. Benedetto XVI parlando venerdì scorso alla Congrega­zione per il Clero ha usato una espressio­ne, per indicare il cuore del sacerdozio: «essere di un Altro». (Incomprensibile al mondo: essere di un Altro, con la A maiu­scola? Di un Altro, chi? Ma se ogni uomo moderno sa bene, di appartenere soltan­to a se stesso).

E dunque la tempesta monta. Tradimen­ti veri, come colpi di scure nella storia di bambini e adolescenti, oppure voci, e an­che bugie. Tempesta: ma che non tocchi, questa giostra di verità mescolate a vele­ni, la memoria di quella faccia, di quel­l’uomo nel campo dell’oratorio, la dome­nica. Che giocava a pallone, e portava in montagna, e poneva domande che gli al­tri non fanno. Quell’uomo, così certo in una speranza incrollabile. Che - essendo di un Altro - poteva amare quei figli d’al­tri, come figli suoi.


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