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EVANGELO E TEOLOGIA POLITICA DEL "MENTITORE". PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO, CHE GIA’ DANTE SOLLECITAVA ...

KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI"). Una pagina di Kant e una nota di Federico La Sala

sabato 18 gennaio 2014
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
[...] un medico, un giudice, o un uomo politico, può avere in capo molte belle regole patologiche, giuridiche o politiche, al punto da poter diventare egli stesso un profondo insegnante in proposito, e tuttavia cade facilmente in errore nell’applicazione di esse, o perché manca di capacità naturale di giudizio (...) o anche per il fatto che egli non è stato sufficientemente addestrato per questo giudizio, mediante esempi e pratica (...)

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> KANT E SAN PAOLO. ---- KANT, KANT-LAPLACE, E STEPHEN HAWKING. "DIO E LO SCIENZIATO": CHE STRANO!!! Marco Cattaneo "in "La formula della creazione" (ricorda Laplace ma...) ’dimentica’ Kant !!!

giovedì 23 settembre 2010

DIO, LA SCIENZA, IL PAPA, E LO SCIENZIATO ....

KANT (1755), KANT-LAPLACE, E STEPHEN HAWKING. "DIO E LO SCIENZIATO": CHE STRANO!!! Marco Cattaneo "in "La formula della creazione" (ricorda Laplace ma...) ’dimentica’ Kant !!!

-   SCIENZA, RELIGIONE, E POLITICA CULTURALE. "C’è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull’autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento" (S. Hawking).
-  DIO E L’UNIVERSO. "IL GRANDE DISEGNO" DI STEPHEN HAWKING SCONVOLGE IL DISEGNO "INTELLIGENTE" DELL’ "UOMO SUPREMO" DEI VISIONARI DELLA TEOLOGIA-POLITICA ATEA E DEVOTA EUROPEA.

-  RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant


-   Dio e lo scienziato

-  Ciclicamente il sapere scientifico torna a farsi parte della riflessione sui fondamenti dell’essere, abbandonata invece dai filosofi

La formula della creazione

Quando gli scienziati vogliono occuparsi di fede

di Marco Cattaneo (la Repubblica, 18.o9.2010)

Cimancava solo Stephen Hawking, a riesumare la millenaria diatriba sul rapporto tra scienza e religione,o meglio sulla possibilità che la scienza abbia un ruolo nel dimostrare l’ esistenza o l’ inesistenza di Dio. Nel suo ultimo libro, The Grand Design, uscito da poche settimane e già in vetta alle classifiche nonostante molte critiche e un’ impietosa stroncatura di Dwight Garner sul New York Times, Hawking liquida il Creatore in una frase, peraltro inequivocabile: per spiegare la nascita del nostro e di altri universi «non è necessario ipotizzare l’ esistenza di un dio o di un essere soprannaturale».

In questo e altri passaggi, la scienza torna a farsi parte della riflessione ontologica, saltando a piè pari la mediazione dei filosofi, che negli ultimi tempi hanno accostato la scienza più sul fronte delle questioni etiche che su quello dei fondamenti. E questo è, a sua volta, un elemento di riflessione.

Qualcuno se ne è sorpreso, visto che nel bestseller da 9 milioni di copie Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, pubblicato nel 1988, Hawking concludeva dichiarando che la scoperta di una teoria unificata della fisica ci avrebbe aiutato a "conoscere la mente di Dio". In verità il fisico britannico non si è mai sbilanciato più di tanto a proposito delle proprie inclinazioni religiose, anche se nel memoir che riassume la loro vita coniugale l’ex moglie lo definisce senza mezzi termini ateo.

In realtà nel libro, scritto con Leonard Mlodinow, Hawking fa riferimento al fatto che la teoria-M, l’ultima estensione della teoria delle stringhe, comporta che non esista un solo universo, ma una moltitudine di universi paralleli. E che l’emergere del nostro universo dal big bang non sia stato un atto creatore, ma una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica, e nella fattispecie della gravità. In questa visione, anzi, lo spazio e il tempo non avrebbero né un inizio né una fine.

In fin dei conti, l’affermazione di Hawking e Mlodinow non è che un’estensione contemporanea del celebre aneddoto che si vuole abbia coinvolto Pierre-Simon de Laplace e Napoleone. Quando lo scienziato gli presentò la prima edizione della sua Esposizione del sistema del mondo, nel 1796, l’imperatore osservò: «Cittadino, ho letto il vostro libro e non capisco come non abbiate dato spazio all’azione del Creatore». Al che Laplace rispose seccamente: «Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi». Ma era il Secolo dei Lumi, e non era poi così insolito che qualcuno sostenesse la supremazia della ragione.

D’altra parte, un’affermazione tanto brusca da parte del più famoso fisico del mondo - a torto o a ragione - non poteva passare inosservata. Riattizzando eterne polemiche che covavano appena sotto le ceneri, e che, in un modo o nell’altro, hanno attraversato la storia della cultura moderna. Èun attimo tornare ai processi a Giordano Bruno e Galileo Galilei, come pure osservare l’ironico destino toccato ad alcuni degli scienziati più rivoluzionari della storia e al tempo stesso ferventi devoti. Niccolò Copernico era un mite presbitero della cattedrale di Frombork, in Polonia. Eppure toccò a lui, nel 1543, con il De revolutionibus orbium coelestium, togliere la Terra dal centro dell’universo, dove la collocavano le Scritture. E toccò a Charles Darwin - che pure era stato avviato dal padre a una carriera ecclesiastica e a bordo del Beagle ancora citava la Bibbia come una verità letterale - togliere l’uomo dal centro del Creato. Peggio ancora, i primi a dare fondamento alla teoria di Darwin furono gli esperimenti sui caratteri ereditari di Gregor Mendel, frate agostiniano al monastero di Brno.

A eccezione di Darwin, tuttavia, nessuno di questi colossi del pensiero scientifico sperimentò il tormento di non riuscire più a conciliare le proprie convinzioni religiose con il procedere delle scoperte. Né tantomeno Isaac Newton, il più celebre predecessore di Hawking alla cattedra lucasiana di Cambridge, trovò contraddizioni tra la sua fede e la scoperta di leggi che non si conciliavano con la lettera delle Scritture. Anzi, considerando Dio come un demiurgo, un creatore immobile e trascendente che aveva messo in moto l’universo, è stato indicato come un precursore del deismo settecentesco.

Più complesso è stato il rapporto con la divinità del massimo pensatore del Novecento, Albert Einstein. «Io credo nel Dio di Spinoza - disse - che si rivela nella ordinaria armonia di ciò che esiste, non in un Dio che si preoccupa del fato e delle azioni degli esseri umani». Ma al tempo stesso conservava una visione trascendente di Dio, e aveva in cordiale antipatia gli "atei fanatici" che, diceva, «non possono sentire la musica delle sfere».

Ai giorni nostri, il confronto tra religione e scienza sembrava essere confinato all’evoluzione, soprattutto negli Stati Uniti, dove i sostenitori del "disegno intelligente" tentano di controbattere al neodarwinismo cercando prove di finalismo nell’evoluzione delle specie. Una posizione che ha scatenato la controffensiva di molti biologi, soprattutto del più radicale evoluzionista ateo in circolazione, Richard Dawkins, autore tra l’altro del bestseller L’illusione di Dio. Non è un caso, dunque, che Dawkins sia stato tra i primi a esultare per la tesi sostenuta da Hawking.

A parte i fanatici del Museo della creazione di Petersburg, in Kentucky, che negano il big bang e l’evoluzione dell’universo, la fisica sembrava essere felicemente fuori da polemiche e scontri - forse perché il cammino della scienza in questo campo non intralciava più di tanto quello della fede, e viceversa - ma anche in questi anni Dio ricorreva periodicamente nell’immaginario dei fisici. Basta ricordare l’infelice nomignolo del bosone di Higgs, la particella di Dio, dall’omonimo volume di Leon Lederman. O lo splendido libro di Gian Carlo Ghirardi sulla meccanica quantistica intitolato Un’occhiata alle carte di Dio.

Eppure anche oggi c’è chi riesce a vivere serenamente una luminosa carriera nella scienza, accogliendone metodo e risultati dalla cosmologia all’evoluzione, e a conciliarla con una coscienza di credente. È il caso di Nicola Cabibbo, grande fisico romano scomparso un mese fa. E di George Coyne, gesuita e astronomo, direttore della Specola Vaticana per quasi trent’anni. Forse il segreto sta nell’accettare che la fede non diventi un pregiudizio sul cammino della conoscenza. E che la scienza non esca dall’alveo delle leggi di natura per discutere il soprannaturale. Hawking permettendo.


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