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STORIA DELLA FILOSOFIA: NEW REALISM o, che è lo stesso, NEW IDEALISM. Dopo Marx, dopo Nietzsche, dopo Freud, e dopo Foucault ...

"NUOVO REALISMO", IN FILOSOFIA. DATO L’ ADDIO A KANT, MAURIZIO FERRARIS SI PROPONE COME IL SUPERFILOSOFO DELLA CONOSCENZA (QUELLA SENZA PIU’ FACOLTA’ DI GIUDIZIO). Una nota sul tema - di Federico La Sala

(...) in Europa come nel mondo, ciò che oggi si aggira sempre più forte è il programma di Kant (come di Marx e dello stesso Lenin), il coraggio di sapere e l’uscita dallo stato di minorità (...)
martedì 13 settembre 2011
[...] Ferraris aspira a proporsi - visto che "al posto di individui maturi s’avanzan strani bambocci: adulti mostruosi e mai cresciuti che prendono la vita come un grande gioco, una parodia dei trastulli dei più piccoli"
(Francesco Cataluccio) - come il teorico e il teologo dell’Immaturità di massa e ... del berluscattolicesimo aggressivo e galoppante? Boh?! E Bah?! "Con nostalgia e rispetto, ma anche senza nasconderne le debolezze, le macchinosità, i cetrioli e le Trabant", Goodbye (...)

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> "NUOVO REALISMO", IN FILOSOFIA. ---- FERRARIS COME PERNIOLA, SUL BERLUSCONISMO (E MONTI). Vattimo contro il «nuovo realismo» di Ferraris.

martedì 10 aprile 2012

Vattimo contro il «nuovo realismo» di Ferraris

Tornare al mondo dei fatti? Botta e risposta (con controrisposta) tra i due filosofi sul «Manifesto del nuovo realismo». Per Vattimo si tratta di un’ideologia reazionaria: «Il ritorno della realtà è un ritorno all’ordine. È un supporto ideologico a Monti». Le replica di Ferraris: «No, è il vostro postmoderno che è sfociato in populismo. La decostruzione è naufragata nel realytismo e nelle guerre». E la disputa promette di proseguire (Alias/il manifesto, 8 APRILE 2012)


FEDERICO LA SALA INTORNO AL ’68, AL FALSO PERNIOLA, E AL BERLUSCONISMO (1994-2011). UNA NOTA DEL 1994....

La mente estatica e l’accoglienza astuta degli apprendisti stregoni. Il caso “Perniola” (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=283)

di Federico La Sala (04.12.1994)

Del sentire (Torino Einaudi, 1991) era il tema del precedente lavoro. Con determinazione e coraggio, ora, Mario Perniola rompe gli indugi e decide di farsi sentire. Il sex appeal dell’inorganico (Torino, Einaudi, 1994, pp.185, L. 20.000) è un’opera al vetriolo, per argomento e scrittura.

Chiariamo. Farsi sentire, non è niente di arbitrario, né di meramente soggettivo: significa, innanzitutto, un “operare su se stessi in modo da uscire dall’impassibilità metafisica e dal dualismo tra attività e passività”, “non subire in silenzio le stucchevoli esibizioni del già sentito, né le pretese totalitarie delle sensologie, ma dare voce, corpo, manifestazione alla nascita sempre ripetentesi che esse non riescono a bloccare”.

Ciò a cui egli mira è l’oltrepassamento della “concezione metafisica del sentire come un patire, come uno stato passivo inferiore e subordinato all’attività intellettuale”: la sua convinzione è che, “se da un lato la dimensione affettiva è già un’operazione intellettuale, dall’altro lato la dimensione intellettuale è già una ricezione affettiva”, “pensare è ricevere ciò che viene da fuori, accogliere, ospitare quanto si presenta come estraneo ed enigmatico” (Del sentire, cit. , pp. 93-95). E il vetriolo non è tanto e solo l’acido gettato addosso ai suoi colleghi filosofi (“Trovo più affinità col rock - ha dichiarato in una recente intervista sugli argomenti del libro - che con il pensiero debole”) per sfregiarne il volto accademico, quanto e soprattutto il “viaggio iniziatico” (Visita Interiora Terrae [Terra = corpo] Rectificando Invenies Occultum Lapidem) di chi ha trovato la pietra dei filosofi, si è trasformato in una cosa che sente e ha scoperto “la chiave per intendere tante e disparate manifestazioni della cultura e dell’arte attuali” (p. 3): “non l’arte, ma solo la sessualità può farci vedere e sentire la cosa come cosa” (p. 167) - la sessualità neutra (“Essa emancipa la sessualità della natura e l’affida all’artificio, il quale ci apre un mondo in cui non hanno più importanza la differenza tra i sessi, la forma, l’apparenza sensibile, la bellezza, l’età, la razza” p.5).

Ciò di cui egli scrive, infatti, non è più il frutto di una riflessione sulle riflessioni di esperienze altrui (cfr. i suoi lavori su Bataille, i Situazionisti, Blanchot, Nietzsche, Baudrillard, ecc.), ma il frutto di una riflessione su un’esperienza estatica (benché mimetizzata tra le righe e collocata in un orizzonte teorico carico di equivoci), di cui è stato protagonista, segnata da una sospensione dell’ordine della rappresentazione, dal “sentirsi non più Dio, né animale, ma una cosa senziente” (p. 8), e ... dalla volontà di proporsi come il filosofo fortissimo della sessualità neutra (“il punto di arrivo di un cammino che è sempre appartenuto” alla filosofia) e dello scenario contemporaneo (“il cui protagonista non è Dio, né l’animale, e tantomeno l’uomo, ma la cosa”, p. 21).

Fachinelli scrive, a riguardo: “Ciò che si genera nel vuoto, nell’esterna rarefazione [delle situazioni estatiche], è ciò che si è cercato. Si trova ciò che in noi qualcuno, al di là dell’io, cercava: Dio, l’arte, la scienza: o anche, immediatamente, semplicemente, la sospensione del tempo della caducità. In generale: una nuova figura del mondo. Il rinvenimento è sempre singolare, e rimanda alla singolarità del cercatore. Ma questa sorge dal fondo comune del corpo, se è vero che il passaggio dal vuoto al pieno presuppone il corpo come mediatore indispensabile”; “Norma di se stessa, questa esperienza non tollera alcuna apologetica e rifiuta qualsiasi subordinazione (alla teologia, all’estetica, alla scienza). La si conosce solo attraversandola. Hodie Legimus in libro experientiae” (E. Fachinelli, La mente estatica, Milano, Adelphi, 1989, pp. 30-31 e 34).

Come interprete della propria esperienza di vita, a dir poco, Perniola si mostra molto ingenuo. Una minore superficialità autoanalitica e una maggiore attenzione alla decisiva ricerca di Elvio Fachinelli, così come meno risentimento nei confronti dei teorici del pensiero debole, forse, gli avrebbero evitato passi falsi e alti livelli di inflazione ego-logica.

Procediamo con calma, e chiariamo. Al sex appeal dell’inorganico si accede solo “quando il mio corpo e quello del mio partner perdono la loro ovvietà di corpi animati e funzionanti, di forme espressive e rappresentative, di mezzi individuati al raggiungimento di scopi precisi...(p. 166): esso abolisce ogni opposizione e “immerge il sentire in un interminabile sbigottimento, e - perché non dirlo - ci dona l’esperienza della realtà” (pp. 166-167). Egli si rende conto che, “per entrare nell’anonimo e impersonale territorio delle cose che sentono bisogna saper dire [reciprocamente da parte di entrambi i partners] «fai di me ciò che vuoi» ” (p. 27), e saper “sospendere le quattro passioni fondamentali, il piacere, il dolore, il desiderio e la paura” (p. 166), ma poi capovolge tutto e, come sempre è avvenuto in filosofia (il novello Teseo abbandona sempre la novella Arianna), hegelianamente, fa del risultato il cominciamento: “il maestro dell’eccitarsi e dell’accendersi della sensazione è il sex appeal dell’inorganico” (p. 167).

Vere duo in carne una: egli giunge a riconoscere che “ il mutuo e vicendevole darsi e prendere come cose non [è] affatto un vizio, ma una virtù, anzi la sola condizione dell’esercizio della sessualità” e che “vedono più a fondo nell’essenza della sessualità coloro che considerano il matrimonio come un sacramento [...] come attinente al fas, al diritto divino, e non allo ius, al diritto umano” (p. 26), ma poi si vieta - come aveva già fatto Hegel ai suoi tempi - di ammettere che solo l’amore è il vero maestro dell’iniziazione ai “misteri nuziali” (ama l’Amore e fai di me ciò che vuoi), che accende la sensibilità e introduce alla sensualità neutra né dello sposo né della sposa, ma di entrambi: “nel sex appeal dell’inorganico non c’è strazio, né soggetto, né rispecchiamento, né interiorità, né esteriorità”, (p. 120); “un impersonale «si sente» prende il posto delle forme soggettive del sentire [...] si sente insieme con estrema evidenza e con sospensione, come in una specie di epoche colorata e intensa”, (p. 167).

Questo mancato riconoscimento lo porta fuori strada e non gli permette di capire che il problema fondamentale della filosofia non è tanto e solo farsi sentire (e sentirsi Dio, animale e cosa) quanto e soprattutto se e come dare ascolto e risposta a chi e a ciò che bussa alla porta della sensibilità (io intuisco, mi faccio sentire), si fa sentire e chiede di essere riconosciuto dall’intelletto e accolto dalla coscienza (Io penso e Io voglio).

E così, dopo Kant (e senza nemmeno un’analoga confutazione dell’idealismo), ripete lo stesso errore: il filosofo, nell’andata (nell’esperienza), si toglie i panni accademici e osa riconoscere la piena autonomia della sensibilità, nel ritorno (nella riflessione), rientrato in Accademia e rimessi i vestiti del vecchio intelletto e del vecchio io, la nega e comincia ad affermarsi: “spetta oggi proprio al filosofo proclamare la grandezza e la dignità di una sessualità senza vita e senza anima; è il suo impegno e la sua responsabilità dire che il regno delle cose non è tanto il trionfo della tecnica e del capitalismo, quanto l’impero di una sessualità senza orgasmo; così finalmente proprio nell’attimo che sembra più irrazionale, casuale e fragile, quello dell’eccitazione sessuale, viene mostrata la potenza della filosofia, al cui appello non riesco a sottrarmi, anche volendolo” (pp. 14-15).

Non ridere, né piangere. Oggi abbiamo gli strumenti per comprendere il vecchio gioco di Edipo. Ogni figlio uccide il padre-re, uccide la donna sfinge, sposa la madre-regina e proclama urbe et orbi: Io sono lo sposo e il re, io sono l’autorità e la legge! La ripetizione della tragica dichiarazione, oggi, suona così in filosofia: “Il filosofo che si sente cosa ha l’impressione di trasgredire la tradizione che lo ha rappresentato come soggetto, persona,spettatore,attore; ma nello stesso tempo questa trasgressione è fedeltà nel proseguire quel movimento di innovazione paradossale, di superamento e di oltrepassamento imposto da Hegel e da Nietzsche” (p. 17). E sollecita ogni filosofo-custode a riconoscere la sua autorità: “nei secoli fedele”, a chiunque prende il posto del padre-re accanto alla madre-regina (sapienza nell’accademia).

Questa trasgressione è fedeltà: non ci sono inganni, dice Perniola ai suoi colleghi dell’accademia. L’estremismo speculativo della filosofia del sex appeal dell’inorganico non è altro che interpretazione e apologia della “suprema volontà di potenza” platonico- nietzscheana - “imprimere al divenire il carattere dell’essere” (F. Nietzsche, Opere, VIII, 1, p. 297, Milano, Adelphi, 1975): si tratta di imprimere al sentire il carattere dell’intelligenza attuale, quella artistica, “Insomma la cosalità [di cui parlo] - precisa Perniola - non ha niente a che fare con un realismo conoscitivo che afferma la realtà del mondo esterno e la sua trascendenza rispetto al pensiero. Il tipo di conoscenza cui il sex appeal dell’inorganico ci inizia è più prossimo all’immaginazione tecnica che all’epistemologia, nel senso che non si preoccupa tanto delle condizioni dell’oggettività delle proprie esperienze quanto della ricerca di esperienze-limite che allargano insieme gli orizzonti del sentire e del sapere” (pp. 139) della nostra tradizione tecno-logica e capitalistica.

Di destra o di sinistra, dopo Lenin, l’estremismo è una malattia infantile ... Dissociazione, rimozione e volontà di potenza costringono il nostro filosofo nelle maglie edipiche, lo confondono e, alla fine, lo riducono alla Ragione. Dura Lex sed Lex: si entra “in due nel territorio del sesso neutro” (p. 164), ma solo uno può accedere nel territorio della filosofia.

Perniola, come Garibaldi e meglio di Cartesio, afferra il concetto, impone con le buone maniere (“ci vuole molta purezza, onestà e perfino candore”, p. 16) alla sessualità “la sospensione speculativa della libido” (p. 17) e, padrone del proprio e altrui sentire, esibendosi in una girandola di negazioni del diniego (“Questo processo è reso possibile da una scissione dell’io [...] che ci consente di negare la differenza sessuale pur riconoscendola parzialmente: esso implica un rapporto di sostanziale estraneità nei confronti del vero sesso femminile”, pp. 76-77), obbedisce: Io penso “l’idea stessa della cosa senziente” (p.11), Io sono il filosofo del sex appeal dell’inorganico.

E come all’Università, così a casa, “contro le anime belle della liberazione sessuale e della contestazione universitaria”, l’opposizione eccessiva (si allea con l’integralismo cattolico-musulmano) e riafferma il valore della Legge: “E’ ora di vedere il matrimonio e l’università dalla parte del male, come spacciatori di eccessi sessuali e filosofici cui non si può rinunciare, anziché dalla parte del bene come rimedi alla libidine sessuale e a quella conoscitiva” (p. 25).

L’inquietudine è svanita e l’enigma è stato risolto: “il confluire in un unico fenomeno di due dimensioni opposte, quali il modo di essere della cosa e la sensibilità umana” (p. 5) - “l’evento paradigmatico chiave intorno a cui ruota la società e la cultura contemporanea” (p. 145), è stato ben rimosso e posto nel rinnovato Ordine Mondiale.

Ciò che è inorganico è razionale e ciò che è razionale è inorganico! La filosofia, portata la sessualità (“triviale e parola non capita”, p. 16) fuori dal vicolo cieco in cui il sadismo la conduce” (p. 35) e ospitata nella sua casa (“connubio”, p. 3), finalmente, realizza il suo antico sogno “di transitare in dimensioni reali” (p. 16): “la sessualità inorganica è simile ad una eccitazione appagata e implica una reciprocità, una comunanza di sentire tra i partner impegnati in essa, e addirittura una specie di entusiasmo intellettuale, di eretismo cerebrale, di estremismo concettuale che derivano dalla filosofia [...] il sex appeal dell’inorganico è piuttosto un farsi mondo, un abolire la distanza che separa l’uomo dalla cosa” (p. 123). Il filosofo del dissolvimento della soggettività ha vinto i filosofi del pensiero debole, ma chi più chi meno si è consegnato mani e piedi alla propria Signora - la Tecnica.

Come avevano capito Horkheimer e Adorno (Dialettica dell’Illuminismo, Torino, 1980), chi per salvare o per salvarsi, si chiama Nessuno e adopera l’assimilazione allo stato di natura (naturale o artificiale) cade in preda alla hybris. Come a casa così all’Accademia, la logica del sado-masochismo imperversa e devasta le menti e i corpi degli uomini e delle donne, e la comune Terra. E la filosofia ricade nel pantano della totale apologia del vecchio passato, ancora presente, contrabbandato come futuro.

Oggi però, non c’è solo e ancora la servetta tracia a ridere (in strada e a piangere a casa): ci sono donne e uomini con i piedi per terra e lo sguardo sereno, pieno di vita e di amore (vita tua, vita mea) - coraggiose e coraggiosi, entrambi accoglienti, anche nei confronti di chi si attarda in brutti e vecchi sogni.

Al di là di ogni naturalismo e al di là di ogni idealismo, essi ed esse hanno trovato l’accesso a un nuovo rapporto sociale di produzione e a una nuova forza produttiva. Con Marx, con Freud, con W. Reich, con E. Paci, con Fachinelli e tantissimi altri e tantissime altre, hanno capiti che “l’amore, il lavoro e la conoscenza sono le fonti della nostra vita” e possono “anche governarla” (W. Reich) - come all’interno, così all’esterno; come a casa, così all’Università; come in famiglia, così nello Stato.

La favola delle api (Bernard de Mandeville, 1705) è finita: gli uomini e le donne della terra hanno già dato inizio a un’altra storia. Al di là di ogni integralismo Tecnologico, Teologico e Politico, si amano e fanno ciò che vogliono - con sensibilità, intelligenza e coscienza, amorevolmente unite.

Milano, 04.12.1994

Federico La Sala


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