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COSMOLOGIA E ANTROPOLOGIA. AL DI LA’ DI NEWTON, CON KANT - E ARTHUR S. EDDINGTON ...

ALBERT EINSTEIN, LA MENTE ACCOGLIENTE. L’universo a cavallo di un raggio di luce (non di un manico di scopa!). Una nota - di Federico La Sala

Interrogato da Sir Karl Raimund Popper che lo ha fermato un momento e gli ha chiesto: ma, scusa, che stai facendo, mi sembri Einstein-Parmenide; egli, sempre un po’ con la testa tra le nuvole, sorrise (...)
mercoledì 11 novembre 2015
Sono riportate qui di seguito due citazioni
dal capitolo terzo (Le "regole del gioco" dell’Occidente e il divenire accogliente della mente) e dal capitolo quinto (Un brillante new tono. "Note" per una epistemologia accogliente) del libro: La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Roma 1991.
di Federico La Sala
[...] Per l’Occidente tutto e non solo, il tempo - concepito come una linea che proiettata all’infinito
s’incurva e diventa cerchio - avvolge, tenendolo fermo, lo (...)

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> ALBERT EINSTEIN, LA MENTE ACCOGLIENTE. L’universo a cavallo di un raggio di luce (non di un manico di scopa!). --- I dadi di Einstein e il gatto di Schrödinger (Paul Halpern). Amici in «entanglement» (di V. Barone).

domenica 26 giugno 2016

Einstein e Schrödinger

Amici in «entanglement»

Il sodalizio a Berlino, poi la separazione con la guerra. Ma il legame è sempre rimasto vivo all’insegna della comune critica all’interpretazione standard della meccanica quantistica

di Vincenzo Barone (Il Sole-24 Ore, Domenica, 26.06.2016)

      • Paul Halpern, I dadi di Einstein e il gatto di Schrödinger. Due menti geniali alle prese con gli enigmi della fisica contemporanea, trad. di L. Guzzardi, Raffaello Cortina, Milano, pagg. 328, € 27

Nonostante la sua diffidenza nei confronti della meccanica quantistica (di cui era stato uno dei pionieri), nel 1931 Einstein candidò al Nobel Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger, i due creatori della nuova teoria. Nella lettera inviata all’Accademia svedese delle Scienze mise in particolare rilievo il contributo di Schrödinger, che per generazione e mentalità scientifica era più vicino a lui e, soprattutto, aveva formulato la meccanica quantistica in una versione che risultava più accettabile (e comprensibile) per chi, come il padre della relatività, possedeva una formazione fisica di tipo classico. Puntualmente, nel 1933, Heisenberg e Schrödinger, assieme a Paul Dirac, si ritrovarono a Stoccolma per ricevere il prestigioso riconoscimento: al primo andò retroattivamente il premio del 1932; gli altri due condivisero quello del 1933.

Schrödinger era allora collega di Einstein all’Università di Berlino, avendo occupato la cattedra lasciata libera per raggiunti limiti di età da Max Planck. Come racconta Paul Halpern in un bel libro dedicato al rapporto tra questi due giganti della fisica, Einstein e Schrödinger strinsero proprio nel periodo berlinese un forte legame di amicizia, cementato, oltre che da lunghe gite nei boschi e in barca a vela, dal comune interesse per i fondamenti e le implicazioni filosofiche della fisica. «L’uno e l’altro - scrive Halpern - si trovavano più a loro agio parlando di come le concezioni di Spinoza e di Schopenhauer si applicassero alla scienza odierna che discutendo degli ultimi risultati sperimentali». Inoltre, Schrödinger era uno dei pochi a simpatizzare con i dubbi di Einstein sull’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, la «tranquillizzante religione di Heisenberg e Bohr».

L’avvento di Hitler separò i due amici: Einstein si trasferì negli Stati Uniti, a Princeton; Schrödinger, pur non essendo ebreo, lasciò la Germania nazista e accettò un posto a Oxford. Là, nel 1935, venne a conoscenza del lavoro che Einstein aveva scritto in collaborazione con Podolsky e Rosen per dimostrare che la meccanica quantistica era incompleta (cioè incapace di descrivere alcuni «elementi di realtà»). Fu, anche per lui, l’occasione per tornare sull’argomento, con un lungo articolo in cui formalizzò per la prima volta il concetto di entanglement (l’«intreccio» di certi sistemi quantistici, tali che una misura effettuata su una loro componente influenza istantaneamente le proprietà di un’altra componente) e introdusse il celeberrimo esperimento - fortunatamente solo ideale - del gatto.

All’interno di una scatola, il decadimento di un nucleo radioattivo provoca la fuoriuscita di veleno, fatale per un povero felino; quantisticamente il sistema è descritto da una sovrapposizione di due stati, nucleo non decaduto/gatto vivo e nucleo decaduto/gatto morto, e non si può dire con certezza se il gatto sia vivo o morto finché non si osserva l’interno della scatola: è questo atto che riduce il sistema a uno dei due stati, determinando il destino dell’animale.

Schrödinger riteneva di aver mostrato, con il suo esempio, a quali paradossi poteva condurre la meccanica quantistica se applicata a oggetti macroscopici, come un apparato di misura, o magari un essere vivente. Einstein fu entusiasta: «Il tuo esempio del gatto - scrisse all’amico e collega - mostra che siamo completamente d’accordo. Una funzione d’onda in cui sono compresi sia il gatto vivo sia il gatto morto non può essere considerata la descrizione di uno stato reale».

La fisica di Schrödinger e quella di Einstein continuarono a «intrecciarsi»” (è il caso di dirlo) ancora per lungo tempo. A partire dal 1939 Schrödinger si stabilì a Dublino su invito di Éamon de Valera, leggendario leader indipendentista e Primo ministro irlandese. Di professione insegnante di matematica, de Valera voleva che l’Irlanda riacquistasse prestigio mondiale in campo scientifico, rinverdendo la fama conquistata nell’Ottocento con il grande matematico William Rowan Hamilton. Per realizzare questo “Rinascimento gaelico” istituì a Dublino l’Institute for Advanced Studies, sulla falsariga dell’analogo centro di ricerca sorto a Princeton (che aveva Einstein come membro più illustre), e chiamò a farne parte Schrödinger, il quale, oltre a essere uno dei fisici più famosi del mondo, aveva ai suoi occhi il merito di aver basato il formalismo della meccanica quantistica proprio sulla funzione chiamata «Hamiltoniana».

Negli anni dublinesi, sotto l’ala protettrice e lo sguardo attento di de Valera, che non perdeva occasione per amplificare qualunque risultato scientifico conseguito in terra irlandese, Schrödinger coltivò principalmente due interessi: da un lato, lo studio dell’ereditarietà, con la straordinaria intuizione- divulgata nel famoso ciclo di lezioni Che cos’è la vita? - che l’informazione genetica fosse codificata in un «cristallo aperiodico» (il DNA, come si sarebbe poi scoperto, era qualcosa del genere), dall’altro la ricerca di una teoria unitaria delle forze.
-  Fu in quest’ultimo ambito che si consumò tra lui e Einstein (alle prese da tempo con lo stesso problema) una temporanea incomprensione: una sua intervista un po’ avventata al giornale di de Valera, in cui sosteneva di aver battuto il vecchio amico nella corsa alla teoria del tutto, provocò un’ondata di clamore mediatico e la risposta risentita di Einstein. Ci volle qualche anno per superare lo screzio, ma alla fine i due tornarono a fare quello che avevano sempre fatto: discutere di quanti e di filosofia.

«Le vite di Einstein e Schrödinger - conclude Halpern - mostrano la profonda umanità di due fra le menti più brillanti della fisica. Insieme con eccezionali lampi di genio vivono lunghi periodi in cui i loro ingranaggi girano a vuoto. [...] Forse, come Don Chisciotte e Sancho Panza, hanno finito per rincorrere mulini a vento. [...] Eppure, i compañeros rimasero attaccati l’un l’altro; se non sempre sotto i riflettori della stampa, certo nella profondità dei loro sentimenti». La grandezza di Einstein e Schrödinger si misura anche in questo: nella fecondità dei loro “insuccessi”. La loro critica serrata alla visione ortodossa della meccanica quantistica non ha prodotto alternative convincenti, ma ha sicuramente portato a una comprensione più completa e più profonda del reale.


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