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INCHIESTA. Libro inchiesta di Roberto Ippolito ....

"IGNORANTI", AL MASSIMO! Un popolo così ignorante che non sa di esserlo. Una nota di Tomaso Montanari - a c. di Federico La Sala

(...) ricordare che: “Tagliare il deficit riducendo gli investimenti nell’innovazione e nell’istruzione è come alleggerire un aereo troppo carico togliendo il motore”
venerdì 8 febbraio 2013 di Federico La Sala
[...] Il nesso tra corruzione della politica e ignoranza è fortissimo: “Nel parlamento italiano la percentuale di laureati è scesa dal 91,4 per cento della prima legislatura al 64,8 della quindicesima. Una flessione di 27 punti percentuali, in controtendenza con le altre democrazie: negli Stati Uniti i laureati al Congresso superano il 94 per cento”. E una politica analfabeta impone al Paese un futuro di analfabetismo [...] (...)

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> "IGNORANTI", AL MASSIMO! Un popolo così ignorante che non sa di esserlo. -- La vita esemplare di Fabio Maniscalco, archeologo in trincea (di Tomaso Montanari)

mercoledì 29 giugno 2016


La vita esemplare di Fabio Maniscalco, archeologo in trincea

di Tomaso Montanari (Nazione Indiana, 29 giugno 2016)

      • (Pubblichiamo l’intervento di Tomaso Montanari letto alla presentazione romana del volume di Laura Sudiro e Giovanni Rispoli, Oro dentro. Un archeologo in trincea: Bosnia, Albania, Kosovo, Medio Oriente, Skira 2015. Nato a Napoli il primo agosto 1965, Fabio Maniscalco, archeologo, è protagonista di una serie di originali, pionieristiche esperienze nella tutela del patrimonio culturale minacciato, sovente offeso, dai conflitti insorti tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila. Rielabora e sistematizza le conoscenze sperimentate in Bosnia - Sarajevo in particolare -, Albania, Kosovo, Cisgiordania dando vita a una nuova disciplina, per l’appunto la tutela dei beni culturali nelle aree di crisi, che insieme all’archeologia subacquea diventa per lui materia d’insegnamento all’Orientale di Napoli. Un tumore provocato dall’esposizione all’uranio impoverito durante le missioni nei Balcani lo stronca, a soli quarantadue anni, il primo febbraio 2008.)

Oro dentro. Un archeologo in trincea: Bosnia, Albania, Kosovo, Medio Oriente è un libro che bisognava scrivere: Laura Sudiro e Giovanni Rispoli lo hanno fatto nel migliore dei modi. L’ ‘oro dentro’ del titolo è quello, metaforico, di chi ha il cuore abbastanza grande da spendere la propria vita per salvare un bene comune (proprio quel patrimonio culturale: e cioè la memoria e il futuro, di paesi in guerra). Ma è anche quello, purtroppo letterale, che l’uranio impoverito delle bombe Nato esplose in Kosovo ha fatto penetrare, insieme ad altri metalli, nel corpo in cui batteva quel cuore: fino a ucciderlo. Sono queste le due terribili facce della breve, ma meravigliosa, vita di Fabio Maniscalco.

Se questo Paese avesse ancora un servizio pubblico televisivo, la figura di Fabio (che non ho avuto la fortuna di incontrare di persona, ma che dopo aver letto questo libro mi sembra di conoscere da sempre) dovrebbe essere al centro di un racconto fatto di documentari, rigorose inchieste giornalistiche e (perché no?) anche di fiction capaci di far conoscere a tutti un italiano di cui essere, finalmente, fieri. Un italiano da cui imparare qualcosa.

Questo libro, d’altra parte, fa esattamente questo: anzi, fa qualcosa di più. È sempre raro (ma oggi è rarissimo) che un libro riesca a storicizzare la figura di un contemporaneo senza affogarla nella retorica, o senza ridursi ad un’inchiesta o ad una denuncia. Oro dentro, invece, ci riesce: è come se la materia della nostra vita quotidiana, la nostra cronaca, le nostre esistenze così seriali, simili, piccole e in fondo irrilevanti riuscissero qui ad apparire in una luce esemplare. Si arriva all’ultima pagina commossi, e profondamente turbati: ma soprattutto pieni di una fiducia rinnovata nelle possibilità di ognuno di noi.

Laura Sudiro e Giovanni Rispoli sono riusciti a trasmetterci il messaggio essenziale della vita di Fabio Maniscalco: e quel messaggio è che un singolo individuo può fare la differenza. Sempre: e - pensate! - perfino in Italia. Anche di fronte a sistemi corrotti e impermeabili (la nostra povera università), o ben decisi a non farsi cambiare (l’esercito): e perfino nel fuoco di terribili conflitti armati, mossi spesso da interessi imperscrutabili, giocati così in alto sopra le nostre teste.

Questo libro, dunque, fa quello che dovrebbero fare la scuola, o per l’appunto l’università: farci capire (quando siamo ancora in tempo) che la nostra vita è preziosa, importante. Forse essenziale. Può essere il granello che finalmente inceppa la macchina del sistema. Può essere quel millimetro in più che riesce a fare saltare lo stato delle cose. Può lasciare un segno. Può fare, davvero, la differenza.

Fabio cresce a Napoli, dove la progressiva distruzione del patrimonio artistico pare - come molte altre cose - fatale, irreversibile, immutabile. Se crolla un Lungarno nella mia Firenze (giustamente) il mondo tiene il fiato sospeso: ma se l’ennesima chiesa storica della Napoli in cui ho scelto di insegnare sprofonda nell’ennesima voragine, la notizia non arriva nemmeno al telegiornale regionale. Non inganni la propaganda di Pompei che rinasce e della Reggia di Caserta che risplende: chiunque vive in Campania conosce il vero stato delle cose.

Ma Fabio - che lo conosce come nessuno - non si arrende, e non si abitua: studia, invece. E non per fuggire: ma per cambiare le cose. A Napoli succede. C’è un bellissimo film (La seconda natura, di Marcello Sannino) che racconta l’esperienza di Gerardo Marotta e dell’Istituto di studi filosofici di Napoli. «La rivoluzione si fa studiando»: è questa la frase chiave del film. È questo l’unico modo di uscire dalla nostra condizione servile di uomini ad una sola dimensione - quella economica. L’unico modo di combattere e cambiare una classe dirigente dominata - dice Marotta - dalla «regina Ignoranza».

La voce profetica di Marotta e la testimonianza eroica di Fabio Maniscalco arrivano all’Italia e all’Europa dal luogo da cui meno te lo aspetteresti: dalla Campania, che lo stesso Marotta definisce la pattumiera d’Europa, una regione popolata di ombre, di condannati a morte. È da questa terra - per millenni la più bella e feconda d’Europa -, da questa terra oggi ridotta ad un pozzo di veleni, da questa terra che avrebbe bisogno di tutto, che si alzano queste voci: fragili, e insieme fortissime.

La sua voglia di riscatto spinge Fabio, dopo una laurea in archeologia alla Federico II, ad andare a difendere il patrimonio dove le condizioni sono ancora più estreme: ufficiale a Sarajevo, e poi nel Kosovo. Ed è impossibile non pensare che sia stata la fragilità di Napoli ad insegnare a Fabio l’amore per le fragilità ancora più radicali. A Napoli, uno come Fabio non diventa egoista. Anche se Fabio è tormentato da quello che gli autori chiamano «la spirale del precariato»: una delle abissali vergogne dell’Italia presente. Ma proprio qui, in Italia, Fabio scopre che non ci si salva da soli.

In compenso è da solo, a mani nude, che il tenente archeologo Fabio Maniscalco riesce a fare quello che nessuno Stato sovrano sembra interessato a praticare: attuare l’articolo 7 della Convenzione Internazionale dell’Aja del 1954, che prevede che ogni esercito abbia un nucleo specializzato nella tutela del patrimonio culturale. È un’idea semplice e rivoluzionaria: mettere la conoscenza, la cura, la tutela nell’occhio del ciclone dei conflitti. Frivolezze? Preoccupazioni delle anime belle? No: sacrosanta sollecitudine di chi sa che, passata la guerra, la ricostruzione morale e culturale sarà impossibile se non potrà basarsi su un patrimonio monumentale ancora vivo e condiviso. È la lezione dell’Italia del dopoguerra: e Fabio la ricorda.

Ma Fabio è uno dei pochissimi: sono temi davvero marginali nel discorso pubblico. E la pubblica opinione non ha strumenti per giudicare. Per esempio, i caschi blu dell’arte voluti dal ministro Franceschini e accolti dall’Unesco sono una soluzione, o sono solo l’ennesimo spot? Quanto avrei voluto leggere un editoriale di Fabio Maniscalco, per poterlo capire!

E intanto nessuno ne parla. Fa impressione ricordarlo oggi, di fronte alle devastazioni dei barbari del sedicente Stato Islamico, ma anche gli stati europei - anche l’Italia - hanno contribuito, direttamente o indirettamente, alla distruzione di un’enorme fetta del patrimonio culturale del Kosovo. Lo sappiamo? Esiste qualche organo di stampa che sia interessato a denunciarlo, a documentarlo, a ricordarlo? Pare di no.

Fabio Maniscalco lo sapeva, e per anni ha combattuto con tutte le sue forze: andando sul campo, documentando, fotografando, studiando, fondando osservatori, scrivendo ai governi, mobilitando la pubblica opinione. Un archeologo, uno studioso, un soldato: ma prima un cittadino. Un cittadino esemplare.

Dietro tutto questo c’era una convinzione profonda: lottare per il patrimonio, significa lottare per i diritti fondamentali, per la salute psichica e fisica delle persone. Anche questa è una lezione imparata a Napoli: il veleno nella terra e la distruzione dei monumenti sono due facce della stessa medaglia. Quando dalla terrazza della Reggia di Carditello, devastata fino a poco tempo fa dalle razzìe della Camorra, si alza lo sguardo verso la campagna si vede un turbine di gabbiani: che non segnala il mare, ma la discarica di Maruzzella, criminalmente realizzata su un terreno acquitrinoso in cui il percolato penetra fino alla falda, avvelenando i frutteti circostanti, e compromettendo per decenni la catena alimentare, e dunque l’uomo. In questa distruzione simultanea dell’ambiente, del paesaggio, e del patrimonio storico e artistico pare di scorgere davvero «il cadavere della patria» (per usare un’espressione che Raffaello adoperò per descrivere la Roma classica devastata dai pontefici medioevali), cioè il volto sfigurato dell’Italia.

Fabio Maniscalco l’aveva capito: la lunga guerra per l’ambiente (usiamo un’espressione di Elena Croce), la lunga guerra per il patrimonio culturale, è anche la guerra per la nostra salute fisica e mentale. Come in un mito antico e crudele, Fabio ha sperimentato questa intima unione sulla propria pelle, fino a morirne: non basta essergli grati, bisogna proseguire il suo lavoro.

Aver scritto questo libro è stato il primo passo per farlo. Ora tocca a noi.


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