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RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E RIVOLUZIONE COPERNICANA IN FILOSOFIA ....

L’ERRORE DI CARTESIO: VICO A FIANCO DI GALILEI E NEWTON. Note per una (ri)lettura del "De antiquissima" - di Federico La Sala

IL PROBLEMA MENTE-CORPO. Altro che campo di battaglia! La metafisica appare a Vico solo una boscaglia piena di “pruni” e “spini”: ignorando le cause del pensiero, ossia il modo in cui il pensiero si fa, i più sottili metafisici del nostro tempo (...) si feriscono e si pungono a vicenda (...)
giovedì 11 aprile 2013
VICO MUORE NEL 1744. Di lì a poco, Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) scrive: "Nella democrazia comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto.
L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. (...)

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> L’ERRORE DI CARTESIO: VICO A FIANCO DI GALILEI E NEWTON -- CON SPINOZA (NON CON GLI "SPINOZISTI"). Note su "Le considerazioni di Schopenhauer sulla sua filosofi" (di saverio Mariani).a

domenica 20 febbraio 2022

COSMOTEANDRIA E SONNO DOGMATICO: SCHOPENHAUER E IL MACROANTROPO, IL CORPO MISTICO DEL MONDO.

      • "IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE" DEL MACROANTROPO:
      • "Alla chiusa della mia esposizione possono trovare il loro posto alcune considerazioni sulla mia filosofia stessa. [...] che l’interno essere di tutte le cose sia assolutamente uno e medesimo, lo aveva già visto e compreso il mio tempo, dopo che gli elatici, Scoto Eriugena, Giordano Bruno e Spinoza l’avevano estesamente insegnato e Schelling aveva rinfrescato questa dottrina. Ma che cosa sia quest’Uno e come esso giunga a rappresentarsi come Molto, è un problema, di cui la soluzione si trova per la prima volta presso di me. - Parimenti si era, fin dai tempi più antichi, riconosciuto l’uomo come microcosmo.
        -   Io ho rovesciato il principio e dimostrato il mondo come macroantropo, in quanto volontà e rappresentazione esauriscono l’essere dell’uno e dell’altro. Evidentemente però è più giusto, imparare a comprendere il mondo dall’uomo, che l’uomo dal mondo, perché si ha da spiegare ciò che è dato mediatamente ossia il dato dell’intuizione esterna, da quel che è dato immediatamente, ossia dal lato dell’autocoscienza, non viceversa.
      • ARTHUR SCHOPENHAUER, Supplementi al "Mondo", II, Editori Laterza, Bari 1986.


Storia della filosofia

Le considerazioni di Schopenhauer sulla sua filosofia

di Saverio Mariani (Ritiri Filosofici, 20 Febbraio 2022)

In quella che abbiamo definito (almeno in parte) un’opera a sé stante di Arthur Schopenhauer, il filosofo tedesco si pone nella posizione di commentare il suo contributo filosofico in relazione alla storia della filosofia nella quale sente di ricoprire un posto. Nei Supplementi a «Il Mondo come volontà e rappresentazione» infatti, Schopenhauer è franco, diretto, in alcuni passaggi appare “scocciato” da un certo ambiente filosofico. Ci sono ampi passi dell’opera nei quali entra in un dialogo nient’affatto morbido con la filosofia del suo tempo. -L’ultimo capitolo dei Supplementi, il cinquantesimo, è sintomatico essenzialmente di due cose: dell’enorme contrasto che Schopenhauer ha vissuto con l’ambiente filosofico tedesco e del rapporto ambivalente con Spinoza [1]. Entrambe queste cose, a ritroso potremmo dire, ci permettono di capire ancora meglio quanto nelle pagine precedenti l’autore ha trattato con dovizia e una acutezza importante. In queste poche pagine l’autore condensa alcune coordinate fondamentali per apprezzare lo sforzo immane che nel Mondo e poi nei Supplementi egli ha compiuto.

Filosofia immanente ed esperienza

In apertura del capitolo Schopenhauer dice esplicitamente che, prima di chiudere, c’è ancora qualche considerazione sulla sua filosofia che si può svolgere. Ancora una volta, per i motivi che abbiamo già indagato, egli rivendica l’aderenza «ai dati di fatto dell’esperienza esteriore e interiore» (Schopenhauer 2013, 817), quasi a rimarcare la solidità delle premesse di tutto il suo ragionamento. Ciò che è fuori dell’esperienza non è oggetto della filosofia: la filosofia per questo è immanente, ovvero si occupa di ciò che è all’interno della sfera dell’esperienza («nel senso kantiano del termine», scrive).

Tuttavia, persistono delle domande che non possono non essere prese in considerazione; domande che però evadono il campo dell’esperienza e quindi si pongono su un livello diverso rispetto alla filosofia immanente di cui Schopenhauer si fa promotore. Sono le stesse questioni che Kant riconosceva come oggetto della metafisica, alle quali quindi il Principio di ragione - che per l’autore è «l’espressione della forma più generale e costante del nostro intelletto» (Schopenhauer 2013, 818) - non può rispondere. È il tentativo di applicare il Pdr a elementi esterni all’esperienza che ci porta a sbattere contro problemi senza soluzione, «contro le pareti del nostro carcere». L’imperscrutabilità di queste domande, si badi bene, è assoluta, non relativa: in nessun luogo e in nessun tempo si potrà dare, per mezzo dell’intelletto umano, una risposta a tali questioni. Questa zona insondabile non rientra nella forma della conoscenza, e per dare conto di ciò Schopenhauer si affida alle parole di Scoto Eriugena nel De divisione naturae: «Della meravigliosa divina ignoranza, per la quale Dio non capisce che cosa Egli stesso sia» (Schopenhauer 2013, 819).

Quello che sfugge è dunque l’essenza delle cose, una essenza che non è «conoscente, non è intelletto, bensì un’essenza priva di conoscenza», di essa se ne può avere una comprensione parziale, non «esauriente e capace di soddisfare ogni esigenza». Ma questo, conclude Schopenhauer, «concerne i limiti della mia e di ogni filosofia» (Schopenhauer 2013, 819-820).

L’unità

Fatte tutte queste premesse, Schopenhauer compie un passo in avanti. Scrive infatti che l’unità e unicità dell’essenza delle cose è qualcosa di già concepito da tempo: «gli Eleati, Scoto Eriugena, Giordano Bruno e Spinoza lo avevano ampiamente insegnato e Schelling aveva rinfrescato questa dottrina» (Schopenhauer 2013, 820). Il che cosa sia questa unità (Uno) e come si manifesti nella molteplicità (ovvero come si compia il processo di rarefazione da Uno a Molti), sono questioni «la cui soluzione si trova per la prima volta nella mia filosofia».
-  La svolta si ha grazie a un rovesciamento del punto di vista e al contempo del principio su cui si incardina la comprensione del mondo: non è l’uomo ad essere un microcosmo, piuttosto è il mondo ad essere un «macroantropo». Il mondo si comprende a partire dall’uomo, da ciò che è immediato (l’autocoscienza), per poi passare a quel che è mediato, ovvero all’intuizione esterna.

Il metodo analitico che Schopenhauer rivendica - installato nel quadro ineluttabile dell’esperienza - apre una nuova visuale filosofica nella quale i dati immediati della coscienza, come li chiamerà Bergson qualche anno dopo, ci mostrano la rete di rapporti e il tessuto che ci tiene connessi l’uno all’altro: la volontà.

Se questa posizione può sembrare affine a quella della filosofia panteista, Schopenhauer prende subito le distanza mostrando come esistano sì dei punti di contatto ma anche dei decisivi punti di distanza. Innanzitutto il metodo di conoscenza, ma anche la ricomprensione del male e delle storture del mondo nella “perfezione” di Dio o della Natura. Inoltre, scrive Schopenhauer «per i panteisti il mondo dell’intuizione, ossia il mondo come rappresentazione, è appunto una manifestazione intenzionale del Dio che abita in esso, ma questo non include alcuna spiegazione autentica del suo prodursi» (Schopenhauer 2013, 821-822).

Spinoza

Le riflessioni generali sui panteisti non sono che i prodromi del confronto che Schopenhauer sente di dover avere con Spinoza, e con il quale chiuderà la sua opera.

Dopo la critica kantiana, sostiene Schopenhauer, «i filosofanti tedeschi si sono nuovamente gettati quasi tutti su Spinoza», costruendo di fatto una filosofia post-kantiana che «altro non è che spinozismo agghindato senza gusto, avviluppato in discorsi incomprensibili d’ogni sorta e in vario modo deformato» (Schopenhauer 2013, 822). Il giudizio è sferzante, netto, inequivocabile e pienamente nello stile schopenhaueriano.

Il rapporto che c’è fra Spinoza e Schopenhauer, dice quest’ultimo, è quello che intercorre fra il Vecchio e il Nuovo Testamento: per entrambi «il mondo esiste per sua forza interiore e da se stesso». Ma se Spinoza si è limitato a spersonalizzare Jehova, il Dio-Creatore del Vecchio Testamento, la Volontà schopenhaueriana - «intima essenza del mondo» - è Gesù crocefisso, o il ladrone crocefisso al suo fianco. In Spinoza, infatti secondo Schopenhauer, il Deus è una perfezione di cui rallegrarsi, un’unità dalla quale nulla fuoriesce e tutto è divino. «Quello di Spinoza è ottimismo» (Schopenhauer 2013, 823); ottimismo a cui Schopenhauer guarda con sospetto, poiché tanto il neo-spinozismo, quanto ogni altra dottrina che riconduce l’esistenza del mondo a una qualche necessità assoluta, tanto le dottrine di chi crede che il mondo sia il frutto della creazione benevola di un Dio, ci pongono nell’alveo del fatalismo.

Schopenhauer sostiene di essere il primo ad aver liberato la filosofia da questo vincolo, perché «l’atto di volontà dal quale scaturisce il mondo è il nostro. È un atto libero, giacché il principio di ragione, dal quale solamente ogni necessità riceve il proprio significato, è la mera forma della sua manifestazione fenomenica» (Schopenhauer 2013, 824). E per questo nel momento in cui essa esiste si dipana secondo necessità. Il piano della rappresentazione, dunque, governato dal Principio di ragione ci mostra come necessario qualcosa che è invece, naturalmente, libero. La nostra libertà - conclude Schopenhauer - sta nell’arretrare alle spalle della rappresentazione, immergersi nella «costituzione di quell’atto di volontà e conseguentemente eventualiter volere altrimenti». In altre parole, risiede in quello “spazio” pre-umano che pone le condizioni del nostro mondo come rappresentazione.

Su quest’ultimo punto, per quanto Schopenhauer scriva, Spinoza risuona forte insieme a una piccola schiera di filosofi per cui la molteplicità è il mondo e la porta di accesso alla sfera comune entro la quale tutti ci ritroviamo a bagno sentendoci finalmente liberi.

Note:

[1] Su un altro rapporto ambivalente nei confronti di Spinoza ho provato a dare conto in: Bergson duplice. Spinoza nemico-amico della filosofia della durata, in Lo sguardo n. 26-2018 (I): http://www.losguardo.net/it/bergson-duplice-spinoza-nemico-amico-della-filosofia-della-durata/

Bibliografia:

Schopenhauer 2013: A. Schopenhauer, Supplementi a «Il mondo come volontà e rappresentazione», trad. Giorgio Brianese, Einaudi, 2013


Sul tema, nel sito, si cfr.:

LA RISATA DI KANT: SCHOPENHAUER A SCUOLA DEL VISIONARIO SWEDENBORG.

SPINOZA, UN "FIGLIO" DEL "DEUS", NON UN "FIGLIO" DEL "LUPUS" (A FIANCO DI KANT, NON DI HEGEL).

Federico La Sala


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