STORIA E MEMORIA: DANTE, MAZZINI, E L’ITALIA - OGGI ...
RICORDANDO CHE il “DELL’AMOR PATRIO DI DANTE” è del 1826 (e non, ovviamente, del 1926), a omaggio del lavoro dell’Autore e della Redazione della Fondazione (si cfr.: Maurizio Nocera, "Giuseppe Mazzini e i Mazziniani salentini", Fondazione "Terra d’Otranto", 04.12.2018), RICHIAMO l’avvio del memorabile articolo di Giuseppe Mazzini:
"Quando le lettere formavan, come debbono, parte delle istituzioni, che reggevano i popoli, e non si consideravano ancora come conforto, bensí com’utile ministero, fu detto il poeta non essere un accozzatore di sillabe metriche, ma un uomo libero, spirato dai Numi a mostrare agli uomini la verità sotto il velo dell’allegoria; e gli antichi finsero le Muse castissime vergini, e abitatrici dei monti, perché i poeti imparassero a non prostituire le loro cetre a possanza terrestre.
Ne’ bei secoli della Grecia, i poeti, non immemori della loro sublime destinazione, consecravano il loro genio all’utile della patria; ed altri, comeTeognide, spargevano tra’ loro concittadini i dettati della saggezza; altri, come Solone, racchiudevano ne’ loro poemi le leggi, che fanno dolce il viver sociale; altri, come Pindaro e Omero, eternavano i trionfi patrii; altri, come Esiodo,consegnavano ne’ loro versi i misteri, e le allegorie religiose. - Cosí santissimo uffizio affidava la patria ai poeti, l’educazione della gioventú al rispetto delle leggi religiose e civili, e all’amore della libertà; e finché l’inno d’Armodio, e le canzoni d’Alceo suonarono sulle labra dei giovani Greci, non paventarono né tirannide domestica, né giogo straniero.
Ma, come la civiltà degenerata in corruttela, i guasti costumi, il lusso, e il tempo distruggitore d’ogni buona cosa, ebbero inchinata la mente degli uomini alla servitú, e la prepotenza de’ pochi giganteggiò sulla sommessione abbiettade’ molti, la poesia tralignò anch’essa dalla sua prima indipendenza, si trafficaron gli ingegni, e furono compri da chi sperava, che il suonar delle cetre soffocasse il lamento dell’umanità conculcata; la poesia divenne l’arte di lusingare la credulità, e la intemperanza dei popoli; attizzò all’ire e alle voluttà i tiranni, e si fe’ maestra spesso di corruttela, quasi sempre d’inezie [...]" -(cfr. Giuseppe Mazzini, "Dell’Amor Patrio di Dante").
SUL TEMA “Dante, - oggi”, mi sia consentito, si cfr.: DELLA LINGUA E DELLA POLITICA D’ITALIA. DANTE: L’UNIVERSALE MONARCHIA DEL RETTO AMORE. Per una rilettura del “De Vulgari Eloquentia” e della “Monarchia”
Federico La Sala