Il cardinale Scola: "Lo Stato laico mette a rischio la libertà religiosa"
Parole durissime dell’arcivescovo di Milano nel tradizionale ’Discorso alla città’ davanti al sindaco Pisapia E un invito a fare un passo indietro quando si sceglie di "imporre o proibire per legge pratiche religiose"
di ZITA DAZZI *
La laicità dello Stato mette a rischio la libertà religiosa. È con questa tesi forte che l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, si è presentato nell’antica basilica di Sant’Ambrogio per il tradizionale “Discorso alla città”, l’evento che dà il via agli importanti appuntamenti che si tengono nei giorni della festa patronale. Un discorso che il cardinale ha fatto partire dalle celebrazioni per il XVII anniversario dell’Editto di Costantino per arrivare al tema delle libertà religiose, arrivando a un attacco durissimo alla concezione dello stato laico contemporaneo.
Il «modello francese di laicité che è parso ai più una risposta adeguata a garantire una piena libertà religiosa, specie per i gruppi minoritari», ha detto Scola davanti a tutte le autorità, «si presenta a prima vista idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti». Ma, sostiene il cardinale, la laicità «ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso». E «la giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di neutralità, il sostegno a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio».
Nella città che ha appena varato il registro delle coppie di fatto e che si appresta a discutere del testamento biologico, l’ex patriarca di Venezia - che viene dalle file di Comunione e liberazione - ha rimarcato tutto il suo scetticismo sul modello di Stato «neutro» rispetto alle religioni e non confessionale perché alla fine «lo Stato cosiddetto "neutrale", lungi dall’essere tale, fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili tendendo a emarginarle, se non espellendole dall’ambito pubblico».
Concetto ribadito con forza davanti al sindaco Giuliano Pisapia, che anche davanti al Papa, l’estate scorsa, aveva rivendicato l’autonomia d’azione delle istituzioni pubbliche. Lo «Stato - dice Scola - ha finito per dissimulare, sotto l’idea di "neutralità", il sostegno dello Stato a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio». Il cardinale ricorda che questa dimensione laica delle istituzioni civili «è una tra le varie visioni culturali (etiche "sostantive") che abitano la società plurale», non l’unica. «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde - almeno nei fatti - una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria, finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».
Parole forti, quelle del successore di Dionigi Tettamanzi e soprattutto di Carlo Maria Martini, che aveva fatto di Milano la capitale del dialogo con i non credenti. Al contrario Scola sollecita «i cristiani» a «testimoniare l’importanza e l’utilità della dimensione pubblica della fede». Nonostante ritenga «il cattolicesimo popolare ambrosiano» «non privo di profonde fragilità sia nell’assunzione del pensiero di Cristo sia nella pratica sacramentale e del senso cristiano della vita», l’arcivescovo lo incita «mantenersi capillarmente radicato nell’esteso territorio della diocesi». Da parte loro, le istituzioni dovrebbero fare un passo indietro: «Più lo Stato impone dei vincoli, più aumentano i contrasti a base religiosa. Questo risultato è in realtà comprensibile: imporre o proibire per legge pratiche religiose, nell’ovvia improbabilità di modificare pure le corrispondenti credenze personali, non fa che accrescere quei risentimenti e frustrazioni che si manifestano poi come conflitti sulla scena pubblica».
* la Repubblica,06 dicembre 2012