di Pierangelo Sequeri (Avvenire, 17 gennaio 2014)
Fino all’altro ieri, ’monoteismo’ era una categoria d’uso corrente, soprattutto fra i dotti studiosi di storia delle religioni, per indicare un grado di alta perfezione dell’idea di ’Dio’: di fatto, la concezione del divino più coerente con la filosofia occidentale della ragione, e anche la più degna del pensiero umano del trascendente. In una manciata di anni, ’monoteismo’ sembra essere diventato il nome in codice dell’oscurantismo religioso, il peggiore che sia immaginabile. Di fatto, esso è individuato come la minaccia essenziale al progresso di una civiltà della ragione e della tolleranza.
Le tre religioni monoteistiche dell’area mediterranea (giudaismo, cristianesimo, islam) appaiono così, essenzialmente in virtù di questo presupposto, come il seme radicale della violenza fra gli uomini.
La compulsiva diffusione della formula, che interpreta il monoteismo religioso come l’ideologia radicale della volontà di potenza, è certamente frutto dell’ignoranza. Ma anche una semplificazione grave.
La formula è culturalmente nobilitata dagli effetti della nuova recezione progressista di Nietzsche, la cui ossessione antireligiosa ha indotto la tradizionale critica occidentale (greca e cristiana) nei confronti della violenza a rivolgersi contro la verità e il bene: che sarebbero le sue più insidiose coperture. Una parte dell’intellighenzia occidentale si è così applicata con metodo alla denuncia totale della religione, della metafisica, della spiritualità e della morale: indicando il cristianesimo come regista e garante dell’alleanza dispotica che le abita. La critica smantella così, con metodico puntiglio, anche tutti i presìdi del logos che ha storicamente cercato il contenimento della violenza, distraendo la nostra attenzione dalla violenza vera e propria. Questa irresponsabile deriva della cultura chiede nervi saldi e senso critico.
È certo che esiste, storicamente, un oscuro rapporto fra le umane tradizioni del sacro e l’oscura pulsione della violenza, che ritorna di generazione in generazione (e la Bibbia spiega anche la ragione dell’umana corruzione del sacro, che sta all’origine di ogni peccato).
La violenza è un tema cruciale dell’intera storia umana proprio perché essa è in grado di contaminare anche ogni presidio religioso e razionale del suo contenimento culturale. In questo senso, contrastarla è problema comune e dovere sacro di tutte le culture umane. Le guerre di religione, come la guerra alla religione, sono due forme dell’identica perversione.
La testimonianza riflessiva della fede cristiana nell’unico Dio deve dunque tenere seriamente conto del disorientamento prodotto dalla semplificazione ideologica associata al concetto di monoteismo (insieme con la generale intimidazione nei confronti della religione, che vi si accomoda).
Il nuovo documento della Commissione teologica internazionale, intitolato Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza, indica esplicitamente questa consapevolezza (come appare chiaramente dal primo capitolo, che ne istruisce i termini). Nondimeno, lo svolgimento del testo è guidato da una convinzione propositiva: la riflessione teologica può e deve trarre dalla migliore conoscenza e intelligenza della Parola di Dio i princìpi della decostruzione di questo pregiudizio.
L’inedito assoluto della fede cristiana, infatti, è proprio nella smentita del valore di rivelazione della violenza omicida in nome di Dio, come fosse il sigillo della vittoria della verità e dell’eroismo della fede.
Il successivo sviluppo della riflessione, che illustra le premesse e le implicazioni del nucleo cristiano della rivelazione non-violenta di Dio, è dunque ispirato da una duplice attenzione, la quale marca anche l’attualità della sua istruzione e della sua offerta di sintesi. Da un lato è mantenuta una puntuale attenzione all’articolazione della rivelazione di Dio con l’umanesimo non violento della sua attestazione. Dall’altro lato, speciale cura è dedicata al fatto che la rivelazione dell’intimità e della comunicazione trinitaria dell’unico Dio, lungi dal violarla, custodisce intatta l’unità e semplicità dell’essere divino, sigillandola come perfezione della vita e dell’amore.
Il documento Dio Trinità, unità degli uomini non è reticente sul fatto che le molte luci dell’ininterrotta tradizione cristiana di questo principio sono state intercettate dalle molte ombre di una storia che le ha gravemente oscurate.
Esprime nondimeno la convinzione che proprio questo sia un tempo particolarmente favorevole al disinnesco definitivo di antiche ambivalenze. Il cristianesimo ora ha maturato anche storicamente - ai livelli più alti e autorevoli della coscienza di sé, e della forma del suo annuncio - la serietà irrevocabile dell’interdetto evangelico nei confronti di ogni contaminazione fra religione e violenza.
Inoltre, chiunque parli in questi termini, oggi - nelle sedi degli incontri interreligiosi, come nelle aule del consesso mondiale dei popoli - parla un linguaggio obiettivamente cristiano. Il compito di essere all’altezza di questo kairòs, anche mediante una teologia più trasparente della sua intrinseca verità cristiana, è un impegno dal quale il cristianesimo, per primo, non potrà più regredire.
Il testo dei 30 teologi, che vengono da ogni parte del mondo, non si limita a incoraggiare gli adoratori di Dio a far seriamente lievitare la testimonianza della religione verso la compiuta separazione dall’anti-umanesimo della violenza. Il loro discorso, non senza un tratto di garbata audacia, si spinge anche a suggerire alla filosofia critica e alla cultura politica dell’epoca di riprendere coraggio, per riscattarsi dalla decostruzione alla quale, mestamente o imperativamente, ci esorta.
In altri termini, sembra venuta l’ora di chiudere i conti con il lavoro distruttivo del caos, per riprendere fiducia nel lavoro costruttivo del logos. In ogni modo, ognuno esamini se stesso e risponda onestamente all’appello dei popoli. La teologia cattolica ha fatto la sua mossa.