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Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura. AUGURI ITALIA!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Per chi è diventato come Cristo, un nuovo re di giustizia e un nuovo sacerdote, non resta che denunciare tutta la falsità (non della donazione, ma) delle fondamenta stesse dell’intera costruzione teologico-politica della Chiesa di Costantino - e re-indicare la direzione eu-angélica a tutti gli esseri umani, a tutta l’umanità!!! Per sé e per tutti gli esseri umani, Dante ha ri-trovato la strada: ha saputo valicare Scilla e Cariddi, andare oltre le colonne d’Ercole ... e non restare (...)

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> LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". --- La Sibilla cumana accompagna Enea nell’oltretomba come Beatrice conduce Dante in Paradiso (di E- Boccassini)

martedì 19 luglio 2016


La Sibilla cumana accompagna Enea nell’oltretomba come Beatrice conduce Dante in Paradiso

di Emanuela Boccassini *

Nel VI libro dell’“Eneide” di Virgilio e nel XVI libro delle “Metamorfosi” di Ovidio la Sibilla cumana ha il duplice compito di profetessa e di guida. In entrambe le opere latine, Enea si rivolge a lei, dopo aver dato i suoi «crudi ed oscuri responsi», per essere condotto nel regno dei morti.

Sin dalle prime battute la Sibilla mostra un carattere deciso e forte “sfoggiando” intransigenza e ammonendo Enea, che indugia dinanzi ai rilievi delle porte del tempio (VI; 35-41). A breve distanza lo riprende perché tarda a interrogare il dio. Beatrice, ugualmente, nel XXX canto del “Purgatorio”, quando incontra Dante, ancor prima che lui riesca a rivolgerle la parola, lo rimprovera in quanto non lo reputa “degno” di trovarsi sul monte del Paradiso e di godere di una felicità dalla quale si è allontanato. Nel momento in cui la donna si rivolge al poeta lo chiama per nome «in tono di fiero rimprovero».

Beatrice, guida materna ma intransigente

Dante, dapprima emozionato e smarrito per la visione angelica, dopo le sue parole prova vergogna e abbassa la testa. Non è una donna soave che si rivolge con parole amorevoli, ma è «inquisitrice, ammonitrice», sarcastica e minacciosa, paragonata a un ammiraglio che ha l’atteggiamento fiero e imperioso.

Beatrice, che per tutto il percorso svolge il suo incarico di guida e maestra, è, tuttavia, spinta da un affetto che assume un tono impietoso e amaro, quasi materno di sostegno e aiuto nei confronti del “figlio” rimproverato per il proprio bene (vv. 79-81):

-  «così la madre al figlio par superba,
-  com’ella parve a me; perché d’amaro
-  sente il sapor de la pietade acerba».

La Sibilla, inflessibile custode della legge divina

La Sibilla è inflessibile per adempiere al proprio compito: accompagnare Enea nei campi Elisi e farlo incontrare col padre Anchise. La Sibilla nel canto ovidiano acquisisce un aspetto umano e indulgente per l’avversa sorte toccata all’eroe troiano, lo distrae parlandogli di sé e della ragione della sua lunga vecchiaia, per rendere meno faticoso il cammino. In quello virgiliano sembra essere distaccata e frettolosa, per esempio quando «ammonì brevemente» (v. 538) Enea per il suo dilungarsi con l’amico Deìfobo, - il quale si risente e le dice «Non ti sdegnare» (v. 544). Quando il figlio d’Anchise le pone delle domande, la Sibilla risponde con «succinte parole» (v. 321), non si dilunga in spiegazioni, ma limita le frasi allo stretto necessario. Mentre Beatrice adopera estrema pazienza con Dante, lo comprende e spesso previene i desideri del poeta riuscendo persino a leggergli dentro e a soddisfare le richieste ancor prima che lui parli.

La Sibilla mantiene sino alla fine il suo inflessibile atteggiamento di guida e di custode della legge divina, mostrandosi pronta e inesorabile nell’impedire a Palinuro di entrare insepolto nel regno ultraterreno, così come prende le difese di Enea contro Caronte che ne disturba il transito.

Alla fine dei canti latini, la Sibilla sparisce senza congedarsi e l’eroe riprende il suo cammino senza voltarsi indietro. Beatrice, anche se lascia il posto a San Bernardo, riappare per un attimo a Dante rivolgendogli un “sorriso d’assenso”.

Il mito della Sibilla

Nella religione greca (e romana) Sibilla era il nome di donne, vergini e vecchie, fornite di capacità profetiche e collegate ad Apollo. Lo scrittore latino Varrone ne identificò dieci, la più famosa era proprio quella cumana. Da Virgilio si apprende che la Sibilla cumana è Deifobe, figlia di Glauco - pastore divinatore della Beozia, mutato in dio dopo la morte -, profetessa di Apollo, vigila sul tempio dedicato alla divinità nella città campana.

Nelle “Metamorfosi” (vv. 130-148), la Sibilla narra a Enea la sua storia. Apollo, invaghitosi di lei, le concede di esprimere un desiderio. La giovane e bella donna chiede al dio di vivere tanti anni quanti granelli di sabbia può contenere la sua mano. Però commette l’errore di non chiedere anche la giovinezza. Il nume le accorda la possibilità di variare il suo desiderio se si concede a lui.

«[...]. Disprezzato il dono di Febo,
-  eccomi qui, ancora nubile. Ma ormai l’età più bella
-  mi ha voltato le spalle, e a passi incerti avanza un’acida vecchiaia,
-  [...]. Vedi sette secoli
-  son già vissuta [...]».

La Sibilla continua a invecchiare sino a quando le sue membra si riducono talmente tanto da lasciare di lei solo la voce. Nel “Satyricon” vi è la conferma di questa leggenda: Petronio sostiene che la Sibilla è oramai ridotta a un essere minuscolo e, confinata in una gabbia, invoca soltanto la morte.

Approfondimenti

Bibliografia

-  Anthony S. Mercatante, “Dizionario universale dei miti e delle leggende”, Mondadori, 2001.
-  Publio Virgilio Marone, “Eneide”, a cura di Giuseppe Vergara, 1986.
-  Dante Alighieri, “La Divina Commedia. Il Purgatorio”, a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, 1988.
-  Dante Alighieri, “La Divina Commedia. Il Purgatorio”, a cura di Ernesto Bignami, 1995.
-  Ovidio P. Nasone, “Metamorfosi”, 2005.

* "Ripensandoci" (anno II, n. 9, settembre 2009 - Superstizioni, miti, leggende)


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