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Dialogo e Pace

ATTUALITA’ DI CELESTINO V (Pietro da Morrone). CONVEGNO NAZIONALE. SULMONA (25.11.2006).

mercoledì 15 novembre 2006 di Federico La Sala
Convegno Nazionale
Dialogo e Pace
Attualità di Celestino V
Sulmona,
Auditorium Palazzo dell’Annunziata,
sabato 25 novembre 2006
A cura di Casa per la Pace • Sulmona
COMITATO “PACE E DIRITTI UMANI”
REGIONE ABRUZZO
PROGRAMMA
ore 15.30 - Presentazione
Saluto dei Rappresentanti Istituzionali
ore 16.00 - Tavola rotonda:
• DIALOGO INTERPERSONALE
Dott.ssa Angela DOGLIOTTI MARASSO
Centro per la Noviolenza di Torino
• DIALOGO INTERRELIGIOSO
Dott.ssa Shahrzad HOUSMAND ZADEH
Docente di (...)

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> ATTUALITA’ DI CELESTINO V ---- DIMISSIONI DI RATZINGER. Esercizi spirituali (di Gianfranco Ravasi)

lunedì 18 febbraio 2013

AI CARDINALI, PER L’ELEZIONE DEL NUOVO PAPA, NELLA CAPPELLA SISTINA: GUARDARE IN ALTO!


Esercizi spirituali

di Gianfranco Ravasi (Il Sole 24 Ore, 17 febbraio 2013)

Oggi, alle ore 18, nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, inizierò la mia predicazione degli Esercizi Spirituali per la Curia romana. Davanti a me, dopo secoli e secoli, circondato dai cardinali e dai vescovi curiali, sarà presente per la prima volta un Papa che ha formalmente rinunciato al suo officio pastorale universale, anche se temporaneamente ancora nelle sue funzioni.

Non è certo retorica confessare l’emozione che proverò iniziando un percorso settimanale di isolamento dalla vera e propria bufera mediatica che dallo scorso 11 febbraio, il giorno dell’annuncio di quell’atto di rinuncia, si è scatenata nel mondo.

Un’emozione che è, al tempo stesso, intima, perché è a questo Pontefice che devo il mio essere cardinale: sono stato suo collaboratore per oltre cinque anni, oggetto di costante affetto e di fiducia da parte sua. Mi soffermerò, allora, proprio su questi due eventi: da un lato, le giornate degli Esercizi Spirituali che trascorreremo insieme; d’altro lato, quella rinuncia che rivela certamente il coraggio e la grandezza della persona Ratzinger, ma anche il suo amore per la Chiesa come Papa. E lo faremo risalendo al più celebre antefatto certo.

Il mio ciclo di predicazione - che verrà pubblicato subito dopo, agli inizi di marzo, col titolo L’incontro - si staccherà dalla contingenza e respirerà, proprio secondo il desiderio di Benedetto XVI, l’atmosfera dell’anima che nella preghiera, nell’ascolto e nel silenzio trova il suo respiro. È lungo questo sentiero d’altura che si vive la fede autentica: infatti, un antico asserto latino affermava che lex orandi, lex credendi: la guida, la norma per il credere genuino è la via della preghiera. Anzi, idealmente trasformerò quel motto in ars orandi, ars credendi, perché pregare è un’arte, un esercizio di bellezza, di canto, di liberazione interiore.

È ascesi e ascesa, impegno rigoroso, ma anche volo lieve dell’anima verso Dio. Il tracciato sarà offerto dai Salmi, la raccolta biblica di preghiere sulla quale Dio stesso ha posto il suo sigillo, tant’è vero che il teologo martire, vittima del nazismo, Dietrich Bonhoeffer osservava che «se la Bibbia contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di Dio non è solo quella che egli vuole rivolgere a noi, ma è anche quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi». In questa esperienza il credente ritrova la propria identità spirituale.

Per questo, due saranno i movimenti dell’itinerario che proporrò nelle 17 prediche di questa settimana: da un lato, il volto di Dio, che si rivela all’orante e, dall’altro, il volto dell’uomo che pregando scopre se stesso nella sua fragilità e miseria, ma anche nella sua grandezza e gloria. Come scriveva nel 1548 sant’Ignazio di Loyola, in apertura al celebre testo Gli Esercizi Spirituali, evocando gli atti fisici del camminare, passeggiare, correre, «esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare» sono «modi di preparare e disporre l’anima, così da scartare da sé tutte le affezioni disordinate, cercare e trovare la volontà divina nella disposizione della propria vita, per la salvezza dell’anima».

Un testimone al di sopra di ogni sospetto apologetico, Roland Barthes, nel 1971 affermava che «non occorre essere né cattolici né cristiani, né credenti né umanisti per essere interessati agli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola».

Un’esperienza anche "laica", quindi, come l’aveva descritta quella straordinaria donna eliminata ad Auschwitz il 30 novembre 1943 a soli 29 anni, Etty Hillesum. Pochi mesi prima, nel suo Diario, recentemente riedito da Adelphi, confessava: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente è coperta di pietra e di sabbia: in quel momento Dio è sepolto, bisogna allora dissotterrarlo di nuovo».

Ora, come dicevo, in attesa di entrare nel prossimo conclave per l’elezione di un nuovo successore di Pietro, quando ogni mia testimonianza sarà esclusa secondo le norme della costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, emessa da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996, vorrei evocare sinteticamente il più famoso atto di rinuncia che la storia ci ha consegnato. Altri eventi simili sono più confusi e oscuri o non ben documentati: è, ad esempio, il caso di Gregorio XII che rinunciò nel 1415, in un periodo particolarmente turbolento per la Chiesa con la presenza di vari antipapi.

Che l’atto sia possibile è contemplato anche nell’attuale Codice di diritto canonico, promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983. Il canone 332, al paragrafo 2, recita infatti che «nel caso in cui il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente (rite) manifestata, non si richiede invece che qualcuno (a quopiam) la accetti».

Anche a prescindere dalle dispute sull’interpretazione del passo dell’Inferno dantesco (III, 59-6o) ove in scena è «l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto», certo è che la figura di Pietro di Angelerio, molisano, nato attorno al 1209-10, asceta del monte Morrone, fondatore di una congregazione di eremiti, rimane nella memoria di tutti per la sua vicenda così originale. Dopo la morte di Niccolò IV nel 1292, i pochi cardinali si riunirono in conclave prima a Roma, poi a Perugia, per un paio d’anni, con interruzioni e senza esito per contrasti interni.

Alla fine - su impulso anche del re Carlo II lo Zoppo d’Angiò - elessero all’unanimità proprio l’eremita Pietro del Morrone. Il 28 luglio 1294 faceva il suo ingresso a L’Aquila a dorso di un asino, come Gesù a Gerusalemme, sceglieva il nome di Celestino V, forse per ragioni simboliche (legame con le uniche sue forze, quelle celesti) e il 29 agosto veniva consacrato papa di Roma, sempre a L’Aquila.

Un’altra figura mistica di alto profilo come lacopone da Todi lo ammonì subito sui rischi inerenti a un ufficio così elevato e oggetto di contese. La semplicità del monaco, gli intrighi politici ed ecclesiastici, l’incombente presenza del cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, ben presto gli crearono una situazione difficile, nonostante la popolarità di cui godeva, e così egli maturò la decisione di dimettersi.

L’atto formale di rinuncia avvenne a Napoli, ove si era trasferito, davanti ai cardinali, il 13 dicembre 1294, dopo un papato di soli cinque mesi e nove giorni. Depose i paramenti pontifici, indossò la tonaca grigia dei suoi eremiti e, dieci giorni più tardi, il 24 dicembre 1294, il conclave eleggeva Bonifacio VIII che si sarebbe poi sempre premurato di controllare il suo predecessore a tal punto da riprenderlo dai vari eremi ove si rifugiava e condurlo in un edificio accanto al palazzo papale di Anagni ove era la corte pontificia.

Alla fine, però, lo riportò a Castel Fumone, presso Ferentino, ove il 19 maggio 1296, a 87 anni Pietro si spegneva. Le sue spoglie, nel 1327, furono traslate nella basilica di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila, una chiesa da lui fondata, ove ancor oggi riposano nel sontuoso mausoleo eretto da Girolamo da Vicenza nel 1517 su committenza dell’Arte della Lana aquilana.

Ma anche le spoglie mortali di questo papa avranno una loro tormentata storia. Tra le numerose vicissitudini, basterà qui ricordare il trafugamento della salma nel 1988, ritrovata qualche giorno dopo, e il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 che provocò il crollo della volta della Basilica di Collemaggio proprio sul suddetto mausoleo. La fama, legata anche ai miracoli e alla sua vicenda umana ed ecclesiale, portò presto Celestino V sugli altari: il 5 maggio 1313 il papa francese Clemente V lo canonizzava e da allora la sua figura diveniva il modello di una Chiesa più spirituale e povera.

Petrarca lo aveva esaltato come un grande testimone della "vita solitaria" e della purezza celestiale. A lui si riferirà esplicitamente Ignazio Silone nel suo romanzo-saggio Avventura di un povero cristiano (1968), adattato poi a testo teatrale (1969), celebrazione di un cristianesimo primordiale e pauperistico. Per certi versi anche il film Habemus papam di Nanni Moretti (2011) può ammiccare a questo personaggio alonato di leggenda, ma nello stesso tempo di luce spirituale.


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