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CINEMA E FILOSOFIA. 26° TORINO FILM FESTIVAL

COME SI DIVENTA NAZISTI: "DIE WELLE", "L’ONDA". L’esperimento del professor Ron Jones nel liceo Cubberley di Palo Alto - il film di Dennis Gansel. Una nota di Curzio Maltese - a cura di Federico La Sala

mercoledì 26 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Ron Jones, la cui vita è stata sconvolta per sempre dal gioco dell’Onda, ha scritto: «L’esperimento ha funzionato perché molti di quei ragazzi erano smarriti, non avevano una famiglia, non avevano una comunità, non avevano un senso di appartenenza. E a un certo punto è arrivato qualcuno a dirgli: io posso darvi tutto questo» [...]
FASCISMO E LEGGI PER LA DIFESA DELLA RAZZA (1938).
PIANETA TERRA. DEMOCRAZIA E TOTALITARISMI....
L’interdipendenza delle civiltà e la grammatica di una (...)

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> COME SI DIVENTA NAZISTI: "DIE WELLE", "L’ONDA". L’esperimento del professor Ron Jones --- Class enemy: il film di Rok Bicek. Kant torna in cattedra (di Mattia Maistri)

domenica 2 novembre 2014

Class enemy: Kant torna in cattedra

di Mattia Maistri (Nazione Indiana, 01.11.2014)

L’opera prima di Rok Bicek ha una trama piuttosto semplice: un professore di tedesco, Robert Zupan, sostituisce una collega in congedo di maternità in un liceo sloveno.

Da quel momento in poi, tutto il film ruota attorno al difficile rapporto tra l’uomo e la classe, esasperato dal tragico suicidio di una studentessa e dalla ribellione degli studenti che attribuiscono al docente la responsabilità dell’accaduto. Il conflitto acuisce la sua asprezza giorno dopo giorno, nella completa incapacità dell’istituzione scolastica di trovare il bandolo della matassa.

Matassa che si sbroglia da sola in un finale che non ha nulla di epico o eclatante, ma che pone i due soggetti (classe e docente) per la prima volta a confrontarsi su un orizzonte comune, benché conciliante nell’inevitabile separazione.

Se il film offrisse soltanto la narrazione di un’amara vicenda generazionale, potrebbe tranquillamente finire nel calderone dei film sulla scuola, senza infamia e senza lode. Ma è proprio la sua capacità meta-narrativa a renderlo un’opera apprezzabile e stimolante.

Lo scenario è così inquadrato: sullo sfondo gli studenti, divisi nelle loro peculiarità e bassezze adolescenziali, privi di riferimenti che non siano le etichette del “si dice” o del “si deve” - i trasgressivi e gli obbedienti - e, davanti a loro, la sfilata dei veri padroni della scena, gli adulti, che il regista è riuscito a trasformare in efficaci metafore dei portatori di senso, con i quali gli studenti si incrociano in una caotica e inconsapevole ricerca di risposte.

Le caratteristiche degli adulti sono costruite al fine di delineare dei “tòpoi”, alle prese con un reale al quale attribuire significato. Troviamo così l’utilitarismo cinico di una preside che si affanna per far tornare la calma apparente che accontenti tutti; il sentimentalismo ottuso della docente in maternità che, da perfetta anima bella, crede che basti un poco di zucchero per far ingoiare l’amara pillola dell’esistenza; la schizofrenia etica dell’insegnante di educazione fisica che alterna rigore e pettegolezzo, distacco e seduzione, in un’alternanza priva di coerenza e soggetta agli istinti del momento; l’egoismo autistico dei genitori, incapaci di affrontare i figli senza essere autoreferenziali.

Infine, l’illuminismo prussiano del professore di tedesco: perfetta immagine di un Kant redivivo, giunto in una classe del XXI secolo a gettare un sasso che non sia preda dei flutti della cosiddetta società liquida.

Al pari del romanticismo esistenziale del professor Keating ne “L’attimo fuggente” e del sociologismo tragico (figlio di Adorno e Marcuse) del professor Wenger ne “L’onda”, l’illuminismo kantiano del professor Zupan supera i confini del lungometraggio e diventa strumento per scardinare la realtà del senso comune.

Mentre tutti gli altri personaggi, studenti in primis, sono preda di condizionamenti, sia interni che esterni, che ne offuscano la capacità analitica, generando un crescendo incontrollabile di drammi e frustrazioni, il rigore razionale di Zupan, fedele alla lezione kantiana, non mostra segni di cedimento, anche quando è facilmente equivocabile, anche quando impedisce qualsiasi forma di empatia, anche quando, masticando uno “stronzo” che riemerge dal lontano vissuto scolastico, ti fa trasalire sulla sedia del cinema.

Zupan è il vessillo della ragione decarnificata, libera dagli orpelli individuali che producono alibi, moventi e paraventi alle nostre dipendenze.

La forza con cui prende forma l’imperativo categorico della ragione soffoca le emozioni che - in poche scene - il professore sembra provare.

Perché non c’è spazio per i condizionamenti ma solo per la riflessione pura, scevra da buonismi o isterismi e svincolata da odio o pietà.

E al pari del filosofo sbeffeggiato e, infine, ucciso nel platonico mito della caverna, il kantiano Zupan offre agli studenti una lezione di libertà, capace di tracciare una via d’uscita alla cultura del nozionismo (utile alla carriera) o del miope relativismo per cui “tutti la pensano come cazzo vogliono”.

Acquisire la consapevolezza che, nonostante gli avvenimenti che singolarmente ci colpiscono, sia possibile vivere da uomini tra uomini, è più di uno spiraglio di luce per coloro che ogni giorno entrano in classe. E’ il filo di Arianna grazie al quale scoprire che una comunicazione è sempre possibile. Senza dover invocare roghi o ghigliottine.


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