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"SE MI SBALIO, MI CORIGGERETE"!!! L’ AMORE EVANGELICO ("CHARITAS") E LO SPIRITO DI ASSISI (1986) E’ TRAMONTATO. DOPO GIOVANNI PAOLO II, IL PROGETTO TEOLOGICO-POLITICO DI PAPA RATZINGER E’ RIMETTERE SUL TRONO CELESTE IL DIO DEI MERCANTI, IL DIO-RICCHEZZA ("DEUS CARITAS EST": BENEDETTO XVI, 2006)!!!

NATALE, MA DI QUALE GESU’?! E’ NATO IL RE, IL "FIGLIO PRIMOGENITO" DELL’AMORE ("CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE ("DUE GIOVANI COLOMBI") O DELL’AMORE ("CARITAS") DI PAPA RATZINGER E DELLA MADRE CHIESA CATTOLICO-IMPERIALE. La Buona-Notizia di Luca (2, 1-24) - a cura di Federico La Sala

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
domenica 20 dicembre 2009 di Federico La Sala
Nascita di Gesù e visita dei pastori
Luca - Capitolo 2, 1-24
[1]In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. [2]Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. [3]Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. [4]Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, [5]per farsi registrare (...)

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> IL "FIGLIO PRIMOGENITO" DELL’AMORE ("CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE ---- LUCE IRIGARAY, "IL MISTERO DI MARIA". Studi su Maria nell era del post-patriarcato.

sabato 23 ottobre 2010


-  Al di là della trinità "edipica"!!!!
-  LUCETTA SCARAFFIA E MARY ANN GLENDON: CONTRO IL FEMMINISMO, RILANCIANO LA VECCHIA "DIABOLICA ALLEANZA" CON LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA.
-  "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!!
-  Uscire dallo "stato di minorità" non significa mangiare un "piatto di lenticchie" ... né "sposare" il figlio!!!

-  AL DI LA’ DI DIO PADRE E DELLA VECCHIA CRISTOLOGIA. In onore di Mary Daly, un convegno presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.


Studi su Maria nell era del post-patriarcato

di Annarosa Buttarelli (il manifesto, 23.10.2010)

In un delizioso libriccino da tenere in tasca come quelli destinati alla meditazione quotidiana, Luce Irigaray scrive una delle tappe più significative della sua ricerca intorno al divino di segno femminile. Il testo, un’intensa riflessione su Maria di Nazaret e madre di Gesù, scritto con la semplicità accurata di chi vuole arrivare al cuore di molti e di molte, si muove per soccorrere un’umanità che ha fatto a pezzi sé e il pianeta dove vive, che non ha quasi più la capacità di alimentare lo spirito e di conservarsi un accesso alla trascendenza, prima ancora di una qualche confessione religiosa.
-  Con Il mistero di Maria, la filosofa incoraggia l’accelerazione di un processo di rispiritualizzazione dell’umano, proponendo un cambiamento generale della forma mentis occidentale verso una «cultura della saggezza».

Si può provare la tentazione di attribuire questa mossa alle sue personali ricerche in ambito buddista e induista, ma rimane lo stupore per la finezza con cui queste ricerche mirino a collocare Maria di Nazaret al centro della nostra vita politica e spirituale. Riprendendo il suo fondamentale Sessi e genealogie, Irigaray ci chiede di mettere al cuore del cambio di civiltà in corso la Madonna cristiana cattolica, in modo da avvalerci della sua opera di «co-redentrice del mondo», insieme a suo figlio Gesù.

Se il senso profondo di questa proposta fosse già stato recepito, potremmo tirare un respiro di sollievo: significherebbe che l’intelligenza generale ha registrato che ci troviamo in pieno postpatriarcato, un tempo che non ha più punti di orientamento, che ha bisogno di un nuovo ordine simbolico da condividere, per il quale occorre trovare immagini, metafore vive, creatività, nuove dimensioni narrative, e perfino mitologiche.

Qui da noi, il cristianesimo popolare e femminile ha seguitato a coltivare il culto di Maria come virgo potens e come figura storica che merita e sostiene tutte le meravigliose attribuzioni contenute nelle Litanie lauretane. La dottrina istituzionale della Chiesa invece, scrive Irigaray, ha scelto di coltivarne la memoria come archetipo di maternità esemplare al servizio di Dio-padre e del suo progetto. La cosa non è rimasta senza conseguenze, né per la nostra cultura, né per la politica, tanto è vero che, in pieno cristianesimo realizzato (?), «di Maria non sappiamo quasi nulla», scrive Irigaray, che è da leggersi anche come un «delle donne non sappiamo e non vogliamo sapere quasi nulla».

La pretesa di Irigaray è alta: mostrare l’evidenza di una correzione teologica improcrastinabile. Colei che è cara a chi «ha fame e sete di giustizia» può essere la figura di una nuova era, di un pensiero incarnato, così come lo è stata per l’inizio dell’era cristiana con il suo consenso a concepire il messaggio d’amore incarnato in suo figlio Gesù. Dice Irigaray che Maria è protagonista consapevole di una novità: il concepimento di una nuova umanità non può essere solo emotivo o fisico (Maria non è mai solo corpo materno), ma accade se si trovano parole nuove, se si parla con l’angelo.

Ci viene ricordato che ogni concepimento è simultaneamente nel corpo, spirito, pensiero e parole e che ogni nuovo inizio ha bisogno di parole vere incarnate e sessuate. Correggendo l’incauto errore di Eva, Maria insegna che non si può pretendere di diventare divini prima di avere portato a compimento la propria umanità, prima di assumerla avendola accettata.

L’autorità simbolica di Maria viene dalla sua misteriosa verginità, fraintesa dalla Chiesa al punto che Luce Irigaray la accusa di minare «i fondamenti stessi del cristianesimo» - ma forse le è sfuggito che già uno dei nomi della Madonna sia «Spirito Santo».

Tuttavia la filosofa respinge la teologia della mediazione dello Spirito Santo (nel mettere incinta Maria, n.d.r) che rappresenta l’amore tra il Padre e il Figlio della Trinità cristiana. «Maria avrebbe concepito senza partecipare!».

La cifra della verginità di Maria (non la castità) starebbe invece a significare che, alle radici stesse del cristianesimo, il legame diretto delle donne con Dio, non è mediato da alcun uomo, né da alcunché di maschile.

Maria appare così anche l’affrancamento, fin dall’origine, dall’identificazione con lo stato di natura in cui la cultura filosofica occidentale ha invitato le donne a rincantucciarsi. Il suo «gesto etico» non consiste solo «nel rispettare, ma anche nel dare» la vita, a un altro differente da lei, mostrando la capacità femminile di «rispettare la trascendenza dell’altro, di cui pochi uomini sono effettivamente capaci». In continuità con la sua ricerca sui «trascendentali sensibili» nella vita di relazione (Etica della differenza sessuale), Irigaray presenta Maria come «la prima figura divina del tempo dell’incarnazione».

Fatta eccezione per la mistica, l’autrice polemizza con l’esito di una cultura cristiana anestetizzata, che considera trascendente solo ciò che «sfugge alle nostre percezioni sensibili, solo ciò che è disincarnato». Maria, concependo e crescendo nel suo corpo l’invisibile divino, mostra la realtà del divino dentro l’umano e testimonia la necessità di coltivare le percezioni sensibili interiori ed esteriori, una «cultura del toccare» sensibile e carnale versus le politiche dell’immunizzazione, dell’astrazione e dell’indifferenza.

Luce Irigaray, Il mistero di Maria, Paoline, pp. 58, Euro 11,50


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