Note sul tema:
Federico La Sala
La modernità del pensiero francescano si conferma nella visione della natura come dono, concezione che si oppone a un consumo senza rispetto delle cose
DI DARIO ANTISERI (Avvenire, 27.01.2011)
Che il passato, cioè la tradizione, consista in un cumulo di pregiudizi, di errori da cui prendere sistematicamente le distanze, è - come ribadito, tra altri, da Hans-Georg Gadamer - un oscuro pregiudizio illuminista. La tradizione, infatti, può essere anche fonte di verità. Un solo esempio dalla storia della scienza: Copernico portò a nuova vita, traendola fuori dall’«immondezzaio della storia» in cui era stata sepolta, la teoria eliocentrica difesa nel V secolo a.C. da Iceta di Siracusa e Filolao e, un secolo dopo, da Eraclide Pontico ed Ecfanto il Pitagorico. E, con maggior frequenza che nella scienza, la stessa cosa capita in filosofia, come - tra molteplici altri - è il caso delle risposte che il pensiero francescano è in grado di offrire ad urgenti domande dei nostri giorni.
La difesa dei diritti e del primato della fede nei confronti delle presunzioni di una ragione che, ergendosi a dea-Ragione, calpesta la «creaturalità» dell’essere umano e la conseguente apertura all’esperienza religiosa; l’insistenza, all’interno del volontarismo di Scoto, sull’onnipotenza e libertà di Dio e insieme sull’autonomia e libertà dell’individuo; la difesa della libertà e responsabilità della persona umana da parte di Ockham contro quell’onnipresente tentazione liberticida che è diretta conseguenza della reificazione dei concetti collettivi; la consapevolezza, soprattutto da parte di Pier di Giovanni Olivi, relativa ai benefici effetti di un’economia di mercato - sono, questi, quattro filoni di pensiero che rendono fortemente attuale la tradizione del pensiero francescano.
Attualità su cui, con grande impegno e competenza, torna uno dei più noti esperti di filosofia medioevale, e cioè Orlando Todisco, con La libertà creativa. La modernità del pensiero francescano (Edizioni Messaggero Padova, pp. 590, euro 40). «’In principio la libertà’. È nella libertà la grandezza di Dio come la nobiltà dell’uomo». Questa, che è la tesi di fondo del libro, è un’idea centrale del volontarismo francescano, dove «sia il mondo che la storia sono l’uno frutto della libertà di Dio, l’altra dell’uomo». In tal modo, «muovendo dalla libertà, divina e umana, la vita acquista un altro colore e un’altra rilevanza. Siamo fuori del ’motore immobile’ che muove senza ’commuoversi’ ». Ma se tutto ciò che è - il mondo, noi, qualunque creatura - poteva non essere, se le cose sono in un certo modo perché qualcuno le ha volute, allora «la percezione dell’essere come dono» esige uno sguardo di gratitudine, di ammirazione e di rispetto.
È questo, fa presente Todisco, lo sguardo del Cantico delle creature - uno sguardo distante, anzi incommensurabile con la prospettiva di chi si pone di fronte alla realtà con l’intento di appropriarsene e di utilizzarla senza alcun freno, secondo le sue voglie. Significativo, a tal proposito, è un passo del Discorso del metodo di Cartesio: «Conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell’acqua, dell’aria, delle stelle, del cielo e di tutti gli altri corpi che ci circondano, con la stessa chiarezza con cui conosciamo i diversi mestieri dei nostri artigiani, potremmo, allo stesso modo, impiegare quei corpi in tutti i loro usi particolari e diventare così padroni e possessori della natura». Qui - commenta Todisco - c’è tutto, meno quel tipo di «illuminazione’ della realtà insito nei termini ’sorella’ e ’fratello’ con cui Francesco chiama tutte le creature.
Una visione, questa, di estrema attualità politica - ma, prima che politica, morale -, una decisa inversione di tendenza in un mondo dove, in nome della potenza della tecnica per cui, da più parti, si arriva a sostenere che è lecito fare tutto quello che è tecnicamente possibile fare. Ed esattamente puntando l’attenzione sulle disastrose e disumane conseguenze di siffatta concezione si è levato più volte il monito di Benedetto XVI: «L’uomo sa fare tanto e sa fare sempre di più; e se questo saper fare non trova la sua misura in una norma morale, diventa, come possiamo già vedere, potere di distruzione».