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ARCHEOLOGIA FILOSOFICA E TEOLOGICA: "IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS". ITALIA, NATALE 2010: AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" con il suo "Popolo della libertà" (1994-2010).

ITALIA, NATALE 2010 d. C.: ARCHEOLOGIA EVANGELICA E COSTITUZIONALE. Il buon-messaggio di Giovanni e la preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli. Una nota di Federico La Sala

"Maria, che nella sua solitudine dice sì, è una donna, non quell’idolo di gesso o quel fantasma in cui più tardi una superstizione idolatrica degraderà spesso la sua immagine. Il suo compagno si comporterà come un vero uomo, virile e libero da tutte le prepotenze, convenzioni e insicurezze maschili; anche per questo si attirerà le pacchiane barzellette di tanti cretini" (Claudio Magris).
sabato 25 dicembre 2010 di Federico La Sala
"In quella capanna di Betlemme ci sono un figlio, una madre e un padre. Non c’è, per loro fortuna - è giusto che il figlio di Dio si sia concesso almeno questo privilegio- la consueta torma di suocere, zii, terzi cugini, suoceri di cognate, un clan talora caldamente protettivo ma spesso asfissiante e invadente" (Claudio Magris).

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4.1-8)
"Carissimi, non prestate (...)

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> ITALIA, NATALE 2010 d. C.: ARCHEOLOGIA EVANGELICA E COSTITUZIONALE. --- I TEOLOGI E I FILOSOFI HANNO TRADITO IL LORO COMPITO (di Roberta De Monticelli - Gli italiani e la sindrome della bandiera bianca)

venerdì 17 dicembre 2010

IL PADRE NOSTRO E’ AMORE NON MAMMONA. ROBERTA DE MONTICELLI URLA "BASTA" A MONS. GIUSEPPE BETORI, A BAGNASCO, E ALLA CHIESA CATTOLICA. L’abiura di una cristiana laica

-  IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI.


- Gli italiani e la sindrome della bandiera bianca

-  Il teologo Vito Mancuso era intervenuto nei giorni scorsi sul tema della questione morale.
-  Quella che segue è la risposta-riflessione della filosofa Roberta De Monticelli

- di Roberta De Monticelli (l’Unità, 17 dicembre 2010)

Caro Vito, in questi giorni in cui il disprezzo per le istituzioni repubblicane, l’etica e perfino la politica ha toccato il suo zenit, vorrei che cominciassero a riaprirsi le finestre almeno al vento fresco del pensiero. Prendo spunto dalla tua riflessione sulla questione morale (la Repubblica, 11 dicembre), e tento di tradurre in atto lo spirito di libertà, di ricerca e di critica che spero continuerà ad animare la nostra Università, anche con la tua presenza e il tuo aiuto. Nonostante l’ombra che la minaccia: il sospetto che brillanti centri di ricerca come il nostro siano accomunati con un imbroglio come l’università-Cepu, agli occhi del pubblico, dal fatto che attingano anche a risorse pubbliche.

Questo, io credo, tutti i docenti dovrebbero chiedere a gran voce, che fino all’ultimo centesimo l’erogazione di risorse pubbliche sia, in perfetta trasparenza, giustificata in proporzione al merito: ma l’abbiamo fatto? No, non l’abbiamo fatto, o non abbastanza fermamente e chiaramente, tutti, a una sola voce. E perché non l’abbiamo fatto? Per scetticismo. È solo un esempio, quello da cui riparto. Il saggio da cui ha preso spunto la tua riflessione cerca di identificare le radici dello scetticismo pratico che divora la vita civile del nostro Paese.

Lo scetticismo, cioè, che corrode non solo l’etica pubblica, ma ha invaso tutte le sfere dove il nostro agire è guidato dai nostri giudizi di valore. E soprattutto blocca ogni tentativo di ricostruire quella che ho chiamato l’unità della ragione pratica, vale a dire una fondazione nuova, e se possibile feconda di nuove scoperte, dei nessi fra etica, diritto e politica. Intese fra l’altro tutte come sfere aperte anche alla ricerca di conoscenza, cioè in ultima analisi di verità. So di trovarti su questo ultimo punto in sintonia con il mio tentativo.

Ma vorrei che si aprisse una discussione su quello che a me sembra continui a gravare, irrisolto equivoco, su questo tipo di ricerca. Perché da una parte le viene detto: l’etica è l’etica, la politica è la politica, e cercare il nesso fra le due già significa “criminalizzare l’avversario”, preparare lo Stato etico, Robespierre, la virtù e il terrore (interpreto così, magari nobilitandole un po’, le recenti obiezioni di Marcello Veneziani, il Giornale, 27 novembre e 4 dicembre). In altre parole, non c’è possibile radicalità etica, ma solo radicalismo politico, tanto più pericoloso in quanto giustizialista e moralista. Ma dall’altra parte le viene detto: c’è un enigma del male, cui è la politica che è chiamata a far fronte, e a volerlo combattere risvegliando le coscienze alla serietà dell’esperienza morale “si entra in monastero, non nel Parlamento italiano”.

Tu dici giusto: ma “serietà” è in primo luogo una proprietà che si riconosce all’esperienza morale, se la si considera vera esperienza del bene e del male, capace di nutrire vera conoscenza: e se non ricominciamo da qui, se non la prendiamo sul serio neppure noi filosofi, chi mai potrà farlo? A lasciar la mano ai cosiddetti realisti politici non si sta finendo per dire, ancora una volta, che nelle Città e nelle Istituzioni - tutte, comprese quelle del sapere e della ricerca, le nostre università, pubbliche e private, ferite ma anche colpevoli - che la ricerca di ragione e giustificazione là dove impera la forza è cosa da “anime belle”? Ma non è così che nel secolo scorso i filosofi hanno tradito il loro compito, e lasciato la civiltà in mano ai demagoghi?

Ecco: nell’insegnarci a chiedere “perché?” a noi stessi e agli altri, in ogni punto e in ogni momento del nostro dire, ma anche del nostro fare, è il cuore sempre pulsante della ragione e della filosofia. Socrate insegna a Eutifrone che non la tradizione, la religione o il mito sono risorsa normativa, ma lo è il fatto che vediamo il male. Dimenticarlo è una grande parte dell’equivoco, caro Vito: non hanno rimproverato anche a te una sorta di intellettualismo, di ignoranza del male di cui l’uomo è capace, contro il quale appunto nascono etica, diritto, politica? Come se Socrate, come se la filosofia o la ragione ignorassero il dato, il dato stesso che le risveglia: il male, appunto, che sappiamo fare.

Torti, ineguaglianze, illibertà, ingiustizie e altre cose che gridano vendetta.Perché li ha visti, e non perché li ignora, la nostra ragione è in grado di spiegare a ciascuno il perché di una norma che questi torti impedisce, o limita. Lungo la via di Socrate è cresciuto, nell’anima d’Europa, quasi tutto ciò per cui vale la pena di vivere: la libera ricerca nelle scienze e nelle arti. Ma per molto tempo ancora l’etica, il diritto e la politica sono rimasti fuori da questa via. Non sarebbe ora di riprenderla, tutti insieme?


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