di Filippo Di Giacomo (l’Unità, 3 marzo 2011=
Stanno per iniziare le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Partiranno il 16 sera con una “notte tricolore” e, giovedì 17 marzo, con una messa nella “parrocchia nazionale”, la basilica di S. Maria degli Angeli a Roma. Per la prima iniziativa, Alberto Melloni sta chiedendo agli amici che fanno comunicazione di informare i sindaci che sul sito www.fscire.it/150 c’è un racconto video storico, (intitolato «L’unità degli italiani») con immagini (dagli archivi Luce e Rai) e musiche eseguite appositamente per tingere con i colori nazionali la notte d’inizio feste.
Invece è stato Giorgio Napolitano, anche lui invitato insieme alle più alte cariche dello Stato alla cerimonia religiosa, ad annunciare che alle celebrazioni nazionali si sarebbe unito, «in un certo qual modo», anche Benedetto XVI. Salvo errori, è la prima vota che un Presidente della Repubblica annuncia un intervento pontificio. E anche questo, probabilmente è un messaggio indirizzato ai cattolici italiani. La Conferenza Episcopale Italiana, d’altronde, era stata la prima istituzione nazionale ad esprimere una «convinta e responsabile partecipazione della Comunità ecclesiale a tale evento, in spirito di leale collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese».
I cattolici, anche a distanza di centocinquant’anni, hanno buone ragioni per ringraziare l’Unità d’Italia. Come ricordano gli storici più avvertiti, il Risorgimento ha restituito alla Chiesa il pieno diritto, e la piena libertà, di scegliere i propri vescovi. Un diritto che il giurisdizionalismo seisettecentesco aveva (specie nei Paesi cattolici) posto nelle mani dei governanti statali. L’acuirsi poi della “questione romana”, dal 1850 al 1900, ha fatto nascere in Italia ben 127 nuove congregazioni religiose. E ha arricchito il “movimento cattolico“ post-unitario del nostro Paese di strumenti utili per partecipare da protagonista alla modernizzazione dell’Italia. Don Murialdo e don Bosco a Torino, don Pavoni a Brescia e i tanti altri attivi nell’intera Penisola e nelle isole maggiori, fino a don Guanella (che sarà canonizzato proprio in quest’anno, durante il centocinquantesimo nazionale), monsignor Scalabrini, don Vanto, don Orione sono stati anche le risposte che la Chiesa italiana ha dato alle trasformazioni via via più profonde della società derivate dallo sviluppo economico, dal processo di industrializzazione, dai nuovi rapporti di classe, dalle trasformazioni nel mondo del lavoro, dal mutare dei rapporti fra mondo rurale e città, dall’urbanesimo....
Che tutto ciò venga ricordato dal Presidente della Repubblica, va notato e apprezzato. Perché in un Paese dove la storia - e le storie personali - vengono gettate come fardello su ogni presunto nemico, Giorgio Napolitano cerca di riportarci verso l’astrazione, cioè verso ambiti in cui non esiste alcuna dipendenza né dal contingente né dalla cronaca. Tra i cattolici, Napolitano è percepito come espressione di una possibile coerenza tra le regole e i comportamenti quotidiani (dai rom all’incontro con la famiglia Calabresi, alle morti bianche...). E questa percezione è tanto più forte quanto ostinata e tenace appare la volontà - tra i cattolici della politica - di teorizzare e praticare una netta differenza tra quanto si dice di credere e quanto, in privato, si sceglie di vivere.
Alla luce del pensiero di Papa Benedetto XVI, Giorgio Napolitano risulta per i cattolici, molto “attrattivo” perché testimonia la volontà di ricominciare dai principi. Anche dai cattolici, non è vissuto né come vecchio né come giovane, ma come un giusto, identificabile con l’incarnazione di quelle regole che rappresentano un “bene comune” sempre attuale, da difendere e da valorizzare. Perciò, a differenza forse di Sandro Pertini, non è visto come il “nonno d’Italia” ma è identificato con il simbolo dell’istituzione-Repubblica, del principio fondativo che vuole ogni “res publica” basata sul rispetto delle regole comuni, sugli “assoluti dello Stato”, cioè sulla cartina di tornasole della laicità delle intenzioni e dei fini repubblicani.
Così Giorgio Napolitano, di fronte ai tanti che si dicono cattolici nelle intenzioni e latitanti nelle applicazioni, viene percepito dai cattolici come garanzia perché i cristiani presenti trasversalmente in tutti i partiti, qualora lo volessero, possano operare concordemente a partire dalla propria responsabilità politica, e persino al di là degli stessi confini partitici, nelle questioni essenziali della politica. In un momento in cui rischiamo di allontanare ogniconsenso politico sulle grandi questioni etiche, che ci sia un presidente che ricordi che le leggi si fanno proponendo cose concrete e sincere, e non vantando frequentazioni altolocate, è una garanzia.