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CON KANT, FREUD, E LACAN, OLTRE! USCIRE DALLO STATO DI MINORITÀ E DALL’EDIPO - AL DI LÀ DELL’ETÀ DEL PADRE, DELLA MADRE, E DEL FIGLIO

GENITORI, FIGLI, E FORMAZIONE: AL DI LÀ DEL FALLIMENTO, COSA RESTA DEL PADRE? PER MASSIMO RECALCATI, OBBEDIENTE A LACAN, RESTA ANCORA (E SEMPRE) LA LUNGA MANO DELLA MADRE. Una pagina dal suo libro e un’intervista con Luciana Sica - a cura di Federico La Sala

(...) Ma a cosa è legata oggi la funzione del padre? «Se non può più essere legata al sangue, al sesso, alla biologia, alla discendenza genealogica, allora aveva forse ragione papa Luciani a sconvolgere secoli di teologia dicendo che Dio è anche madre» (...)
sabato 12 marzo 2011 di Federico La Sala
[...] «Lo schema edipico continua ad avere il suo valore, se però si abbandona il teatrino familiare. Intesa come legame "naturale",la famiglia composta da una coppia eterosessuale e dai loro figli non è più il nucleo immobile dei legami sociali. Esistono organizzazioni sociali e culturali sempre più complesse, l’importante è che non venga meno la funzione educativa del legame familiare che vuol dire umanizzare la vita, iscriverla in un’appartenenza, farla partecipare a una cultura di (...)

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> GENITORI, FIGLI, E FORMAZIONE -- La follia di Narciso divenuta trappola del nostro tempo. L’Io è diventato il nuovo idolo pagano (di Massimo Recalcati)..

lunedì 18 gennaio 2016

La follia di Narciso divenuta trappola del nostro tempo

-  L’epoca in cui viviamo ha esaltato la figura raccontata da Ovidio come emblema di un soggetto che basta a se stesso e che vorrebbe annullare la dipendenza dall’Altro.
-  L’Io è diventato il nuovo idolo pagano altrettanto superstizioso di quelli che la ragione critica dell’illuminismo è riuscito a smascherare
-  Lacan lo diceva a suo modo: il problema non è più quello di distinguere la preda dall’ombra, ma di essere tutti noi prede della nostra stessa ombra

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 17.01.2016)

Caravaggio, seguendo il mito raccontato da Ovidio, ci presenta il giovane Narciso affacciato sulle acque che gli restituiscono - in una perfetta simmetria avvolta dal buio - la sua immagine adorata. La bellezza di Narciso contiene, si capisce, una trappola mortale: la fascinazione per se stessi può essere fatale. È quello che accade anche nel mito: nel tentativo di afferrare la propria immagine riflessa il giovane Narciso sprofonda nell’abisso delle acque perdendo la propria vita.

Freud aveva coniato da questo mito una figura fondamentale della clinica psicoanalitica: il narcisista è colui che perde la propria vita restando alienato nell’infatuazione esaltata ma sterile per la propria immagine. Nel mito di Ovidio Narciso è, infatti, colui che suscita ammirazione e amore, ma che non può, a sua volta, né provare, né ricambiare in nessuna forma.

L’anestesia affettiva è un tratto anche clinico della personalità narcisistica che segnala la sua impossibilità di entrare in una forma di legame con l’altro in quanto tutta la sua libido appare sequestrata dal proprio Io. Non a caso per Freud l’Io è il primo oggetto di investimento libidico, il suo “serbatoio” originario. Il che significa che l’essere umano non nasce predisposto all’altruismo, ma, casomai, al culto di se stesso. Il narcisismo definisce la tendenza egocentrica dell’uomo che contrasta radicalmente con la tesi aristotelica dell’uomo come animale sociale: il nostro Io è il primo grande e insidioso idolo alla cui potenza immaginaria la nostra vita si consacra.

L’illusione narcisistica vorrebbe cancellare il tabù della dipendenza dell’uomo dall’Altro. Il suo fantasma è partenogenetico, esclude ogni fecondazione dell’Altro. Il suo disegno è quello dell’auto-costituzione, dell’auto-fondazione, dell’auto-realizzazione. Mai nessun tempo come il nostro ha esaltato a dismisura la figura di Narciso come emblema di un soggetto che basta a se stesso, indipendente, autonomo.

È una patologia non solo individuale. Narciso può, come nel mito di Ovidio, innamorarsi solo di ciò che gli assomiglia, solo della propria immagine ideale; egli non conosce l’alterità, non conosce l’amore come esposizione assoluta verso il dissimile. Il fantasma di autoconsistenza che governa la vita di Narciso ispira da capo a piedi il mito neo-liberale del “farsi un nome da sé”. Esso domina le nostre vite come una vera e propria forma pagana di idolatria. L’ideale seduttivo dell’auto-generazione vorrebbe negare ogni debito, ogni provenienza dall’Altro nutrendo la credenza folle dell’Io che basta a se stesso.

Tuttavia, il mito di Narciso non si limita a mostrare la potenza seduttiva dell’illusione di farsi un nome da sé, ma ne evidenzia anche il rischio mortale. Narciso vorrebbe cancellare la distanza che lo separa da se stesso, reintegrare il suo doppio che vede riflesso, negare quella divisione che attraversa tutti noi impedendoci di credere troppo al nostro Io. Nessuno di noi, infatti - salvo i grandi paranoici - può pensare di coincidere perfettamente con l’Io che crede di essere. Nel tentativo di realizzare questa coincidenza, Narciso perde la sua vita. Per questa ragione Lacan ha messo in evidenza il carattere profondamente suicidario del narcisismo umano: idolatrando la propria immagine, perseguendo il sogno onnipotente di cancellare l’alterità, il sogno di Narciso naufraga nell’abisso oscuro delle acque.

Credere di essere un Io è, infatti, la malattia umana per eccellenza, la follia più grande, la forma più subdola e pericolosa di idolatria. Se la modernità ha segnato il tempo della giusta emancipazione dell’Io dagli oscurantismi irrazionali della superstizione, se la voce di Kant ha definito la stagione dei lumi come l’uscita necessaria dell’uomo dal suo stato di minorità, l’epoca ipermoderna, quella in cui viviamo, non ha forse trasformato l’Io stesso in un nuovo idolo pagano, altrettanto superstizioso di quelli che la ragione critica dell’illuminismo ha smascherato nella loro impostura?

Bisognerebbe forse rileggere in questa luce un testo di immutata attualità com’è la Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer per cogliere sino in fondo la portata di questo ribaltamento epocale: l’Io si emancipa dalle ombre della superstizione religiosa per trasformarsi esso stesso in un’ombra altrettanto inquietante. Lacan lo diceva a suo modo: il problema non è più quello di distinguere la preda dall’ombra, di emanciparsi dall’ombra, ma di essere tutti noi prede della nostra stessa ombra.

Narciso è l’ombra spessa di cui l’uomo ipermoderno è preda. La sua passione furiosa, la sua superbia capricciosa, vorrebbe annullare lo scarto che lo separa da se stesso negando ogni forma di dipendenza dall’Altro. Questa è la sua follia mortale che il nostro tempo ha elevato ad una sorta di nuovo comandamento sociale. Senza dimenticare però che le forme forse più nocive del narcisismo sono quelle passive, della falsa umiltà, del rigetto dell’ambizione, della vita schiva, ma avvelenata.

Si tratta, in realtà, solo del retro di una stessa medaglia: lo sguardo torvo del risentito - scolpito magistralmente da Nietzsche ne La genealogia della morale - odia la vita capace di realizzarsi invocando l’umiltà e il nascondimento solo come segni grigi della sua impotenza rabbiosa. In essa dimora più che mai lo spettro narcisistico che anima, al suo fondo, ogni forma di invidia umana.


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