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LINGUA, SCUOLA, E MONDO. C’era una volta una scuola in cui si insegnava a leggere opere come Ulisse, come Finnegans Wake. C’era una scuola pubblica e c’erano professori e maestri ....

A SCUOLA CON JOYCE. LEGGERE E RILEGGERE FINNEGANS WAKE. La bellezza dell’opera sta nell’invenzione di una lingua e di neologismi. Una nota di Nadia Fusini - a c. di Federico La Sala

Agli audaci che si apprestano a leggere prometto una cosa certa: dalla lettura usciranno più intelligenti di prima, più vivi, più accorti, più ricchi... Ne ho la prova con i miei studenti (Nadia Fusini).
giovedì 12 maggio 2011
[...] Nel Finnegans Wake non è soltanto Tim Finnegan, il muratore morto cadendo sbronzo da una scala, che bisogna vegliare, ma il linguaggio, perché si apra a una internazionalizzazione quasi da esperanto, perché non si provincializzi in usi proprii, stereotipati. È a quest’invito che bisogna rispondere leggendo questo libro, che è ormai una leggenda. Leggenda che la versione del poeta-traduttore Luigi Schenoni rinsalda, anzi amplifica; all’epica della creazione del capolavoro illeggibile (...)

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> LEGGERE E RILEGGERE FINNEGANS WAKE. - JOYCE, la lingua del sogno: "James Joyce e la fine del romanzo" (E. Terrinoni). Una nota di A. Zaccuri.

lunedì 4 aprile 2016

JOYCE, la lingua del sogno

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, 30 marzo 2016)

      • DOVE FINISCE IL ROMANZO? La fine del romanzo così come l’abbiamo conosciuto. O, se proprio si vuole essere precisi, la fine del novel, nobile genere letterario che fa la sua comparsa nella letteratura anglosassone con il Robinson Crusoe di Daniel Defoe e che non manca di dare segni di inquietudine già prima della duplice tempesta scatenata da Ulisse e Finnegans Wake. Nel suo James Joyce e la fine del romanzo (Carocci, pagine 176, euro 18) Enrico Terrinoni cita tra gli altri il caso dell’americano Nathaniel Hawthorne, che in pieno Ottocento lascia socchiusa la porta delle suggestioni oniriche poi spalancata dall’irlandese. Per dirla con il Joyce tradotto da Terrinoni - già autore di una eccellente versione di Ulisse per Newton Compton - il romanzo non finisce né inizia, ma finizia, continuamente.

E’ quasi un atto dovuto: si comincia con Finnegans Wake, il “libro impossibile” che James Joyce concepisce nella primavera del 1923, e subito ci si ritrova a parlare di altri libri. Composto in una lingua che è la somma - o forse la differenza, il resto - di tutte le altre lingue, l’estremo capolavoro del grande irlandese ha fama di testo intraducibile, nonostante Joyce stesso ne abbia tempestivamente rielaborato in italiano alcuni brani. E italiana è la versione parziale realizzata da Luigi Schenoni per Mondadori tra il 1982 e il 2011, e che ora verrà completata da Enrico Terrinoni e Fabio Pedone attraverso un progetto innovativo, nel quale saranno coinvolti anche gli utenti dei social network. Nel frattempo, a Macerata, la raffinatissima Giometti & Antonello ripropone i frammenti dello stesso Finnegans Wake volti in italiano da J. Rodolfo Wilcock nel lontano 1961 (pagine 142, euro 16).

Allestita dallo specialista Edoardo Camurri, la pubblicazione è completata da alcuni rari scritti joyciani dell’italo-argentino Wilcock e da un caposaldo della critica su Finnegans Wake, il saggio “Dante ... Bruno. Vico ... Joyce” nel quale, già nel 1929, Samuel Beckett metteva in guardia il lettore: «Qui la forma è il contenuto, il contenuto è la forma. Si protesterà che questa roba non è scritta in inglese. Non è affatto scritta. Non è fatta per essere letta, o almeno non solo per essere letta. Bisogna guardarla e ascoltarla. La scrittura di Joyce non è su qualcosa: è quel qualcosa».

Oscuro? Eppure, grazie alla scelta operata dall’italo-argentino Wilcock, l’impalcatura di quello che Joyce definiva work in progress, “lavoro in corso”, appare chiara, chiarissima. «La veglia di Finnegan è il sogno dell’umanità, presente e passata - spiega Wilcock -. Tutto ciò che in essa si legge è un sogno: i personaggi, i vocaboli, che somigliano a quelli del linguaggio corrente soltanto nel senso, e spesso sono parole deformate, di doppio o triplice significato».

Come quelle che una madre inventa per il suo bambino in fasce, insomma. E che la Mutter-Sprache, la “lingua della madre”, sia anzitutto lingua del sogno, dalla quale affiorano «le immagini riflesse di una spiritualità rivolta decisamente alla metafisica», è la conclusione consegnata dal grande linguista viennese Leo Spitzer al delizioso e profondissimo Piccolo Puxi, curato e tradotto da Anna Maria Babbi e Massimo Salgaro per il Saggiatore (pagine XVIII+96, euro 16).
-  Si tratta di un saggio apparso originariamente nel 1927, mentre Joyce è affaccendato nella sua Veglia. Studioso di Rabelais oltre che dell’italiano colloquiale, Spitzer (di cui lo stesso Saggiatore riporta ora in libreria il classico Lettere di prigionieri di guerra italiani. 1915-1918, a cura di Lorenzo Renzi, pagine 482, euro 30) riordina gli appunti presi a partire dalla nascita del figlio Wolfgang, al quale la madre e tutta la cerchia domestica attribuiscono presto l’appellativo di Puxi, a sua volta deformazione dello shakespeariano Puck. La ridda di invenzioni e variazioni di cui il volumetto dà conto non è diversa, in sostanza, da quella che si può riscontrare in ogni casa, solo che questa volta il pater familias ha le competenze giuste per rintracciare genealogie e prospettare ipotesi.

La principale delle quali è, appunto, quella per cui la lingua è un organismo vivo e affettivo, che non smette di svilupparsi e appassionarsi neppure nel sonno. E non è casuale che a Joyce e al suo maestro riconosciuto, il Dante della Commediae prima ancora del De vulgari eloquentia, faccia spesso riferimento Luca Salza nel suo Il vortice dei linguaggi (Mesogea, pagine 160, euro 12). Meticcia fin dalle premesse, condotta com’è da uno studioso italiano attivo in Francia, questa riflessione su “letteratura e migrazione infinita” ha, tra gli altri, il merito di far reagire l’opera di autori come Vico e Gadda con le istanze tipiche della nostra contemporaneità: la dimensione multiculturale, la necessità e i limiti dell’accoglienza, la ricomposizione di un “Tutto-Mondo” - è la felice espressione del franco-martinicano Édouard Glissant - comunque incommensurabile rispetto al mondo che abbiamo finora conosciuto.

Salza torna a ragionare di lingua materna e di lingua bambina, facendo propria l’affermazione per cui Finnegans Wake ha il potere di trasformare qualunque lettore in un “straniero”. Sarà per questo, osserva, che a Parigi il Jardin James Joyce sta a due passi dalla Biblioteca nazionale ed è molto frequentato dagli immigrati. Che è un modo elegante per ricordarci come, se si vogliono comprendere le avanguardie del Tutto-Mondo, occorra guardare alla letteratura d’avanguardia.


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

VICO CON NEWTON: "NON INVENTO IPOTESI"! E CON SHAFTESBURY, CON LA "TAVOLA DELLE COSE CIVILI"!
-  VICO, PENSATORE EUROPEO. Teoria e pratica della "Scienza Nuova". Note per una rilettura

DANTE: IL PARADISO TERRESTRE, UN PROGRAMMA PER I POSTERI. Note per una rilettura del "De vulgari eloquentia" e della "Monarchia"

GIORDANO BRUNO, LE "TRE CORONE" E IL VANGELO ARMATO.


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