di Luisa Muraro ("Alias”, 24 dicembre 2011)
Maria di Nazaret (Palestina) è tornata di moda. Dico tornata perché chi sa un po’ di storia religiosa la conosce come una figura che si è regolarmente prestata a interpretare esigenze del momento, provenienti dall’alto e dal basso, da destra e da sinistra.
La sua carriera comincia prestissimo, alle nozze di Cana, quando si accorge che manca il vino e chiede al figlio di provvedere. Il culmine lo raggiunge nel Concilio di Efeso, quinto secolo, quando i padri conciliari le danno il titolo di madre di Dio. Chi ha lottato per questo risultato?
Sorpresa, quel Cirillo di Alessandria al quale gli storici imputano una parte di responsabilità nell’uccisione della filosofa neoplatonica Ipazia. Cirillo era un politico spregiudicato,ma anche buon teologo. A lui interessava essenzialmente la dottrina su Gesù e la sua identità: doppia (uomo e dio) o una? Una, sosteneva Cirillo, quella divina; il titolo dato a Maria veniva di conseguenza. Non è finita lì, le peripezie continueranno, una storia in cui si trova di tutto, pensate soltanto alla Porta di Gaudí (la natività) nella Sagrada Familia di Barcellona, che fu concepita per recuperare alla religione le famiglie operaie.
La Maria di moda ai nostri giorni trionfa con il femminismo che combatte il patriarcato ancora annidato nella religione. Data la scarsa conoscenza del femminismo, dovuta più alla novità delle idee che all’ignoranza delle persone, vi capiterà di leggere che noi femministe eravamo contro la figura di Maria. No, non solo la mariologia fu un terreno di coltura del femminismo cattolico,ma anche le agnostiche si sono dedicate e strappare Maria alla devozione di tipo patriarcale. Penso al Magnificat di Rosetta Stella (Marietti), che ha convocato una schiera di amici a commentare il canto che Luca mette in bocca a Maria. Di Maria si è enfatizzato il protagonismo, la mobilità, l’autonomia. La sua verginità è stata interpretata in termini d’indipendenza simbolica dagli uomini.
Fondamentale è stato l’apporto di Luce Irigaray, che, dagli anni ’80, ha contribuito a diffondere un nuovo linguaggio religioso: memorabile quel numero della rivista “Inchiesta” (1989) da lei curato, Il divino concepito da noi, con numerosi testi mariani. Per i nostri giorni penso a Ivana Ceresa, fondatrice della Sororità, un ordine religioso posto sotto l’autorità di Maria, concepita come figura di donna potente. Riaffiora a questo punto il titolo esorbitante dato a Maria dai padri conciliari di Efeso: madre di Dio. E perché non Dio lei stessa? La donna che dà corpo a Dio, come non vedere Dio nel suo, di lei, corpo? Mi pare che ci sia una sentenza dell’ex Sant’Uffizio che vieta di pensarlo, ma come fermare le idee? Solo la mediocrità e la paura fermano le idee, altrimenti premono per svilupparsi.
Teresa di Lisieux (una femminista, qualcuno ha scritto di lei) va in quella direzione. In una sua poesia di meditazione sulla Vergine che allatta Gesù, dice: il serafino contempla Dio faccia a faccia, beato lui, io su questa terra che cosa posso vedere? un’ostia bianca come il latte... Ecco che cosa io posso vedere e godere: il latte della Vergine. Cirillo, vescovo di Alessandria e padre della Chiesa, aveva altro in testa, indubbiamente, ma la umana testa, per quanto robusta, sarebbe limitata, la fa grande e libera che la teniamo aperta al soffio delle idee.