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ERRATA - CORRIGE. SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO ...

IL NUOVO PAPA E IL NOME DI DIO: DAL "DEUS CARITAS EST" AL "DEUS CHARITAS EST"? Una nota di Cristiano M. G. Faranna - a c. di Federico La Sala

sabato 16 febbraio 2013
CARDINALE ANGELO COMASTRI: STEMMA - DEUS CHARITAS EST (al 26 dic 2012!!!).
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006). Materiali per riflettere
DIO E’ VALORE!IL MAGISTERO EQUIVOCO DI BENEDETTO (...)

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> DAL "DEUS CARITAS EST" AL "DEUS CHARITAS EST"? --- PAPA RATZINGER E PAPA BERGOGLIO: PROBLEMI DI CONVIVENZA. Di cosa parleranno i due Pontefici (di Vittorio Messori)

sabato 23 marzo 2013


Di cosa parleranno i due Pontefici

di Vittorio Messori (Corriere della Sera, 23 marzo 2013)

L’incontro di oggi a Castel Gandolfo tra il Papa regnante, Francesco, e quello emerito, Benedetto XVI, è del tutto inedito. Joseph Ratzinger si asterrà dai consigli a Jorge Mario Bergoglio, limitandosi semmai a richiamare l’attenzione su questioni restate irrisolte. Si parla di una sorta di promemoria riservato, preparato da Benedetto XVI per chi, dopo di lui, avrebbe portato il pesante fardello di Pietro.

In queste settimane vi è stato grande uso (e talvolta abuso) degli aggettivi «storico» ed «epocale». Ma l’evento di oggi merita un po’ di enfasi: l’incontro - e in un clima che sarà certamente di grande, solidale fraternità - tra il Papa regnante e quello emerito è del tutto inedito.

Come è stato ripetuto più e più volte, di questi tempi, non sono mancati esempi antichi di «rinuncia papale», ma in secoli turbinosi, come episodi da inquadrare nella lotta tra papi e antipapi. Il solo precedente assimilabile a ciò che ha avuto inizio l’11 febbraio scorso è quello di Celestino V. Il quale non ebbe certo abbracci dal suo successore in effetti, Bonifacio VIII si preoccupò di neutralizzare il dimissionario, temendo che revocasse l’abdicazione. Il risultato finale - dopo fughe per terra e per mare - fu che il già papa Pietro da Morrone finirà, a 86 anni, i suoi giorni, in una cella non di un monastero ma di una fortezza dove era tenuto rinchiuso. Nulla a che fare, insomma, con l’incontro previsto per oggi a Castel Gandolfo.

Probabilmente non ne sapremo nulla se non, chissà quando, dai diari postumi di Joseph Ratzinger o di Jorge Mario Bergoglio. Eppure assistere a quell’appuntamento senza precedenti sarebbe tra i desideri più vivi non solo di ogni cronista ma anche di ogni storico della Chiesa.

L’arcivescovo di Buenos Aires è stato creato cardinale nel Concistoro del 2001, dunque da Giovanni Paolo II. Ma è certo che sulla sua elezione ha pesato l’indicazione dell’allora Prefetto per la Fede: Ratzinger aveva molto apprezzato che Bergoglio fosse stato tra i pochi gesuiti sudamericani a non approvare le prospettive dei teologi della liberazione. Anzi, che fosse stato bersaglio di critiche e accuse, per questo, dai confratelli.

L’incontro attuale, dunque, non sarà tra un «conservatore» e un «progressista» - come vorrebbe la grossolana lettura ideologica - ma tra due servitori della Chiesa consapevoli che c’è differenza tra carità cristiana e lotta di classe, tra omelia religiosa e comizio politico, tra sacerdote di Cristo e guerrigliero. Non sarà neppure un incontro tra un «giovane» e un «vecchio»: Bergoglio ha quasi la stessa età del suo predecessore quando fu eletto.

Conoscendo la delicatezza dell’uomo Ratzinger, c’è da credere che si asterrà dai consigli, limitandosi semmai a richiamare l’attenzione su questioni restate irrisolte. Si parla di una sorta di promemoria riservato, preparato da Benedetto XVI per chi, dopo di lui, avrebbe portato il pesante fardello di Pietro. Può darsi, ma c’è da supporre che pure in questo caso l’intenzione sia stata informativa e non, come dire?, pedagogica, quasi che il nuovo Pontefice avesse bisogno di essere guidato.

Il Papa ora emerito lo ha detto con chiarezza, prima del congedo: sua intenzione è «sparire dalla vista del mondo», continuare a servire la Chiesa con la preghiera e non con una, seppur discreta, collaborazione al governo della Chiesa.

Certo, resta pur sempre la domanda che molti si sono fatti: restare nel «recinto vaticano» non rende più difficile un simile proposito di nascondimento?

Devo dire che pur non attendendo, almeno per ora, la decisione della «rinuncia», più volte avevo riflettuto su quale avrebbe potuto essere il rifugio di un eventuale Benedetto XVI costretto dall’età e dal peso dei problemi a lasciare il suo servizio. Mi era istintivo pensare innanzitutto a un ritorno nella sua Baviera, dove - in posti magnifici, spesso in foreste circondate da alte montagne - sopravvivono abbazie ancora abitate da monaci benedettini. Ma l’età e la salute fragile dell’uomo non consigliavano certo un severo clima alpestre.

Il Sud italiano, allora? Mi veniva di pensare alla Calabria, alla Certosa di Serra San Bruno, dove tra l’altro giace il corpo venerato dello stesso fondatore dell’Ordine, san Bruno, appunto. Benedetto XVI si è tra l’altro recato in pellegrinaggio in quel luogo sacro.

Ma una Certosa non è il luogo indicato per un anziano, bisognoso - soprattutto in una prospettiva futura - di assistenza costante. I monaci vivono isolati, in una casetta che da una parte dà sul grande chiostro e dall’altra sull’orto-giardino che coltivano essi stessi. La piccola infermeria non può certo bastare.

Se mi avessero chiesto di indicare un luogo per il possibile nascondimento del Papa divenuto emerito, non avrei esitato, puntando il dito sulla Provenza, dipartimento della Vaucluse, ai piedi del Mont Ventoux: per l’esattezza, nella località detta Le Barroux. Qui non solo la temperatura è ideale e il paesaggio incantevole ma qui, dal 1970, è sorta una abbazia talmente cara a Joseph Ratzinger che, da cardinale, spesso vi soggiornava qualche giorno, ora in incognito ora in visita ufficiale.

In effetti il fondatore, dom Gérard, non accettando che anche i benedettini, dopo il Concilio, dovessero abbandonare il latino per la liturgia, aveva lasciato il suo monastero per crearne uno che continuasse la Tradizione e tornasse al severo rispetto della Regola. Qui il canto Gregoriano è eseguito con tale perfezione che le registrazioni su cd sono apprezzate in tutto il mondo e molti sono i giovani che si aggregano come novizi, attratti dall’austerità della vita. Avendo io pure frequentato quel luogo di straordinario fascino, seppi dai Superiori che, prima il cardinale e poi anche il Papa, aveva confidato che quello avrebbe potuto essere il luogo per il suo rifugio finale.

E invece, ecco un provvisorio Castel Gandolfo e, forse definitivi, i giardini del Vaticano. Il Papa emerito ha fatto capire che anche questa vicinanza fisica alla tomba di Pietro è un segno che non lascia di certo la Chiesa, che continua a lavorare per essa col servizio della preghiera.

Problemi di convivenza, ha fatto anche capire, non ve ne saranno, vista la sua vita ritirata. Il problema sembra secondario ma non lo è, come ben sa chi conosce l’ambiente ecclesiale, con le sue sfumature. È chiaro che da parte di papa Francesco vi sarà totale accoglienza, quale che sia la scelta del suo predecessore, ma è probabile che nell’incontro privatissimo di oggi si parlerà anche di questo aspetto inedito in una Chiesa che, in due millenni, credeva di avere tutto sperimentato. Tutto ma non il singolare «condominio», nel chilometro quadrato scarso della Città del Vaticano, di un pontefice emerito e di uno regnante.


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