Inside Out
Se Cartesio sbarca al cinema
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 08.11.2015)
Sta circolando da qualche settimana in Italia il film Inside out, il cui titolo allude al tentativo della Pixar di “tirar fuori ciò che abbiamo dentro”. Cioè di mostrare visivamente i meccanismi mentali nelle loro componenti razionali ed emotive. I critici cinematografici, che evidentemente si intendono solo di cinema, l’hanno esaltato come un’esposizione quasi scientifica delle nuove frontiere neurofisiologiche, scomodando al proposito addirittura i nomi di Antonio Damasio e Oliver Sacks.
In realtà il film avrebbe fatto meglio a intitolarsi Outside in, perché non fa altro che “metter dentro ciò che siamo fuori”. Cioè ripete l’antico “errore di Cartesio”, che credeva che a guidare l’uomo fosse un homunculus dentro di lui, fatto a sua immagine e somiglianza in versione miniaturizzata. Il quale, come i protagonisti del film, sta seduto in un “teatro cartesiano” e osserva dal di dentro ciò che il suo principale a grandezza naturale percepisce dal di fuori.
Naturalmente, poiché un homunculus differisce da un homo solo nelle dimensioni, si può immaginare che nella sua testa ci sia un homunculissimus ancora più piccolo che lo osserva e lo dirige, e così via. L’ipotesi porta dunque a un regresso all’infinito, che non ha bisogno delle neuroscienze per essere confutato: basta la logica, in una delle innumerevoli variazioni del paradosso di Achille e la tartaruga.
Che fatica essere logici
Un omuncolo testardo si contrappone sistematicamente al buon ragionatore che c’è in noi. Lo dicono le scienze cognitive. La scuola deve fornire a tutti gli adeguati strumenti critici
di Roberto Casati (Il Sole-24Ore, Domenica, 8.11.2015)
«Prendiamo persone con la stessa gravità di disturbi (misurata, per esempio, attraverso i test di memoria) e li confrontiamo su due fronti: il livello di scolarità e il livello di compromissione cerebrale, rilevata monitorando l’attività metabolica nelle aree tipiche dell’Alzheimer. Cosa osserviamo? Che i soggetti a scolarità alta hanno un peggiore quadro cerebrale: a parità di disturbi manifestati, il loro cervello è più sofferente.» (Stefano Cappa intervistato da Michele Farina, Quando andiamo a casa? Milano BUR, pag. 149).
Quando faccio leggere questa frase, noto una certa sorpresa nei miei interlocutori: sembra che un modo di proteggersi dall’Alzheimer sarebbe quello di non impegnarsi negli studi. In realtà la frase dice esattamente il contrario. «Nonostante siano a uno stadio più avanzato della degenerazione cerebrale, i pazienti a scolarità più alta dimostrano le stesse capacità di memoria di chi presenta un cervello meno devastato e un livello culturale minore. Perché compensano meglio». Adesso, forse, le cose ci sono più chiare. Ma come diceva il biologo americano Stephen Jay Gould, anche se abbiamo capito il senso corretto della frase, se la rileggiamo ci sembra di sentire un omuncolo che va su e giù per nostro cervello a ripetere che è meglio non studiare troppo se ci si vuole proteggere dall’Alzheimer. C’è qualcosa nel testo con cui si apre questo articolo che ci impedisce di arrivare facilmente al senso inteso.
Di omuncoli dispettosi è popolato il cervello raziocinante. Un altro omuncolo ci fa voltare sistematicamente la carta sbagliata nel classico test inventato dallo psicologo britannico Peter Wason: quattro carte sul tavolo davanti a noi, una rossa, una blu, una con scritto sette e una con scritto sei. Sappiamo che le carte hanno un retro colorato in rosso o blu, e un fronte con un numero pari o dispari. Domanda, qual è il numero minimo di carte da girare per verificare la regola «Tutte le carte rosse portano un numero pari»? Pensateci un attimo. Voltare la blu non serve. La rossa va bene (ovviamente: se ci fosse un numero dispari sull’altro lato, la regola sarebbe invalidata). Quali altre? La maggioranza degli intervistati dice che a questo punto basta voltare la sei. Va bene? In realtà, se scoprite che ha il retro blu, questo non vi dice nulla sulla regola. La carta da voltare è la sette. Se il retro della sette fosse rosso, la regola verrebbe violata.
Tutto chiaro, ma la tentazione di voltare anche la carta pari è sempre in agguato. Questo omuncolo testardo è un po’ la maledizione dell’insegnamento della logica perorato con passione nel libro di Paolo Legrenzi e Armando Massarenti (La buona logica. Imparare a pensare, Cortina) che Ermanno Bencivenga ha commentato su queste colonne il 18 ottobre.
L’insegnamento della logica ci informa sulle procedure corrette da mettere in opera quando si affrontano problemi che richiedono di ragionare. Ma non ci mette al riparo dall’omuncolo testardo, che continua a farsi strada nel pensiero. Nella fattispecie, il nostro omuncolo potrebbe venir definito “antispreco”: egli cercava di far tesoro di tutte le informazioni che ha trovato nella formulazione del problema, e in particolare del fatto che si era parlato di una carta pari, il sei, quando si metteva alla prova una regola che richiedeva di pensare ai numeri pari. L’omuncolo antispreco fa parte di quello che oggi gli psicologi cognitivi chiamano il “Sistema Uno”, una batteria di moduli cerebrali che formano l’ossatura delle nostre intuizioni sul mondo, a tutti gli effetti un’eredità biologica che ci permette di risolvere al volo problemi pratici impellenti come scansare ostacoli o fare due conti su cosa ci conviene nel futuro immediato.
Le caratteristiche principali di questi moduli sono la velocità, l’automaticità, e una certa testardaggine; dopotutto, servono a trarci d’impaccio in situazioni in cui il tempo è prezioso, e non hanno molta voglia di star lì a discutere. Al Sistema Uno viene contrapposto il Sistema Due, un modo di operare più lento e modulato dall’attenzione cosciente. Quando attraversiamo la strada a Vicenza noi nati e cresciuti in Italia agiamo in Sistema Uno, ci fidiamo delle nostre intuizioni sul traffico, sappiamo stimare i tempi, non dobbiamo pensare per guardare dalla parte giusta prima di avventurarci sull’asfalto pericoloso. La nostra azione è fluida, agire e pensare fanno un tutt’uno. Quando andiamo a Londra l’ambiente nuovo ci sfida, poniamo invece attenzione a ogni passo: siamo in pieno nel Sistema Due, sincopato, lento e dubitativo. E nonostante tutto anche a Londra l’omunculo “della guida a destra” si fa sentire (è veloce, automatico e testardo) e bisogna cercare di metterlo a tacere se si vuole portare a casa la pelle.
Studiare la logica, fare esercizi come quelli che troviamo in un manuale, ci permette di vedere che il Sistema Uno non sempre dà i risultati migliori. Ma adottare una modalità riflessiva, ovvero esercitare il controllo proprio del Sistema Due, non è cosa che si guadagna facilmente anche dopo aver studiato logica: non dimentichiamo che gli omuncoli automatici devono venir continuamente inibiti. Questo perché la competenza non si riflette automaticamente sulla performance.
Cos’altro possiamo fare, allora, per risollevare i destini della nazione, renderla più raziocinante? Uno dei suggerimenti più interessanti degli ultimi anni viene dal lavoro di Dan Sperber e Hugo Mercier, che hanno messo in luce come la funzione cognitiva principale del ragionamento non sia di migliorare le conoscenze di un dato individuo ma argomentare, cioè convincere gli altri della bontà dei nostri argomenti e valutare gli argomenti altrui in modo critico al fine di essere convinti solo quando è necessario. Segue dalla loro ipotesi che i ragionamenti svolti in coppia o in gruppo danno risultati migliori che quelli effettuati in solitudine. Lavorare in gruppo è un toccasana logico!
Un altro dei fattori che possono rinforzare l’applicazione del pensiero critico è acquisire una certa consuetudine con le procedure di verifica empirica di un’ipotesi che son pane per i denti delle discipline scientifiche. Per esempio, imparare che bisogna sempre controllare i fattori che potrebbero aver influenzato una misura, o imparare a diffidare della ricerca automatica di conferme per le proprie ipotesi.
Un’altra strategia è legata al fatto che si fanno meno errori di ragionamento quando si conosce ciò di cui si parla: imparare bene qualcosa è il primo passo per imparare a pensare bene (contrariamente all’idea di una conoscenza logica generale, passepartout).
Ma direi che non c’è una soluzione definitiva, che ci possa dire che abbiamo finalmente “imparato” a pensare. Gli omuncoli testardi non possono venir eliminati né sconfitti. Possono solo venir tenuti a bada, ed è sulle tecniche per imbrigliarli che potrebbe focalizzarsi una pedagogia innovativa che, mi pare, dovrà necessariamente far uso di checklist.