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IN MEMORIA DI ENZO PACI E DELLA SUA RISPOSTA A VICO....

IL PROBLEMA GIAMBATTISTA VICO. CROCE IN INGHILTERRA E SHAFTESBURY IN ITALIA. La punta di un iceberg. Una nota - di Federico la Sala.

Nel 1924, Croce è a Londra: alla “Modern Humanities Research Association” di Cambridge tiene la sua prolusione (...) Il titolo e il tema è “Shaftesbury in Italia”, vale a dire sul soggiorno di Lord Shaftesbury a Napoli (...)
martedì 4 marzo 2014
Quale Cebete Tebano fece delle morali, tale noi qui diamo a vedere una Tavola delle cose Civili; la
quale serva al Leggitore per concepir l’idea di quest’Opera avanti di leggerla, e per ridurla più
facilmente a memoria, con tal’ajuto della fantasia, dopo di averla letta.
G. B. Vico, “Spiegazione della dipintura...” (1730) *
Premessa. Il 26 agosto 1780, Pietro Verri, a cui Gaetano Filangieri da Napoli ha inviato la prima parte della “Scienza della Legislazione”, così (...)

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> IL PROBLEMA GIAMBATTISTA VICO. --- "Le radici pagane della Costituzione americana" (di Gaetano Pecora - Il culto americano).

domenica 9 febbraio 2014


Politica & religione

Il culto americano

di Gaetano Pecora

      • Nunziante Mastrolia e Luciano Pellicani (a cura di), Le radici pagane della Costituzione americana, Edizioni Ariele, Milano, pagg. 140, € 14,00

Cosa ne pensereste di un codice penale che esordisse così: «Chiunque adorerà un altro Dio che il Signore, sarà messo a morte»? Tutto potreste pensarne. Tutto. Tranne che lì gorgogliano sentimenti proclivi alla libertà religiosa. Eppure, di fatto, è precisamente questa la tesi di coloro che si sviscerano di amore per i puritani e che coccolano le loro prime comunità - quelle che essi allestirono nel Nuovo Mondo all’alba del XVII secolo - come altrettanti germogli dell’odierna tolleranza. Come se quella disposizione che letificava gli abitanti del Cunnecticut proprio non esistesse. E mille altre norme non esistessero dove il dio neroniano del Vecchio Testamento tempestava con altrettanta spietata iracondia.

Ben venga, dunque, questo libro di Nunziante Mastrolia e Luciano Pellicani i quali per tabulas (il volume raccoglie scritti inediti di Franklin, Jefferson, Madison e Paine) dimostrano che ben altra fu la tempera da cui uscì riscaldata la libertà di coscienza e di culto, e che né gli Stati Uniti nacquero assistiti dallo spirito della modernità né che a tale modernità abbia mai sorriso l’esclusivismo dei puritani.

Certo, più tardi contribuirono pure essi a costruire il «muro di separazione» (così Jefferson) tra lo Stato e le chiese, che poi è la pietra angolare di ogni architettura costituzionalistica; ma solo perché premuti da circostanze avverse che ricacciavano loro in gola l’hussitico grido di guerra contro i rinnegatori di Dio, del loro Dio si capisce. Frantumati come erano in mille piccolissime congregazioni, tutte pure, tutte infallibili, tutte fanaticamente convinte di riuscire esse sole gradite all’Eterno perché esse sole inflessibili depositarie dei suoi insegnamenti dogmatici, proprio per questa polverizzante debolezza di scomposizione, i puritani di ogni colore mancarono della forza necessaria per piegare lo Stato alla loro fede. Sicché non potendo, per il tramite del l’apparato pubblico, "purificare" gli altri si acconciarono all’unico sistema - quello separatistico - che se non altro impediva agli altri di "inquinarli" e di perderli con la loro contaminazione.

Ha ragione perciò Pellicani quando nella sua lucida introduzione scrive che «in America si erano formate le condizioni oggettive per garantire la massima libertà religiosa». Condizioni oggettive, badiamo bene, non soggettive. Fosse dipeso da loro, presbiteriani, quaccheri, episcopaliani, anabattisti e altri ancora, mai avrebbero avallato un regime giuridico per il quale non avevano ragione di spendersi in troppo tormentate vigilie.

Assai diversa la posizione dei Padri Fondatori, i quali muovevano incontro al separatismo correndo sulla linea diritta dei loro convincimenti, che per essere diritta non conosceva né le rientranze né le obliquità delle chiese cristiane. E, alla stretta finale, tali convincimenti giravano tutti nel cerchio di una un’unica fondamentalissima verità: che Dio aveva fatto dono agli umani del regalo più bello, quello della libera ragione. Sicché solo ciò che superasse il vaglio dell’indagine razionale andava raccolto nel deposito della fede. Niente miracoli, dunque, nessuna profezia e soprattutto nessun dogma («ordigni», come li trafiggeva Jefferson, che mutano il cristianesimo in un «semplice mattatoio»).

Cristiani, i Padri Fondatori? Sia pure. Ma a patto di slargare i confini del cristianesimo, fino a tirarvi dentro il «razionalismo sopranaturale» (così venne definito) degli antichi sociniani che ne furono i lontani progenitori e dei quali non a caso Jefferson raccomandò la ristampa americana dei loro scritti. E poiché, come notava Francesco Ruffini, nei sociniani «riviveva il principio della libertà religiosa quale era stato vagheggiato dai filosofi pagani», ecco che salendo per li rami non è improprio traguardare i Padri Fondatori come altrettanti «cristiani paganeggianti». Che è forse un intreccio di termini mal maritati e, addirittura, mal maritabili tra loro. Chissà però che proprio questa spuria contaminazione non li renda, se non più grandi, certo più vicini alla nostra sensibilità.


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