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Al di là della trinità "edipica" - e "mammonica" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006)!!!!

LUCETTA SCARAFFIA E MARY ANN GLENDON: CONTRO IL FEMMINISMO, RILANCIANO LA VECCHIA "DIABOLICA ALLEANZA" CON LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA. "NUOVA ALLEANZA"?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!! - a c. di Federico La Sala

Uscire dallo "stato di minorità" non significa mangiare un "piatto di lenticchie" ... né "sposare" il figlio!!!
venerdì 26 gennaio 2007
Un nuovo femminismo che tuteli la vita e non imiti soltanto i modelli maschili: un faccia a faccia ieri a Roma
Donne e Chiesa, nuova alleanza?
Nella storia del cristianesimo i primi casi di donne leader sul piano culturale e spirituale.
Per superare le incomprensioni è fondamentale proporre modelli di vera ed efficace complementarietà
Da Roma *
La Chiesa va d’accordo con le donne, ma non con il femminismo, se per femminismo intendiamo il movimento che si è sviluppato a partire dagli (...)

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> "NUOVA ALLEANZA"?! --- «Nuove sfide antropologiche» -- È sul ruolo delle donne che stiamo perdendo la battaglia culturale con l’Islam (di Lucetta Scaraffia)

martedì 12 aprile 2016

PIANETA TERRA: UNA sola UmaNItA’. È sul ruolo delle donne che stiamo perdendo la battaglia culturale non solo! con l’Islam...


È sul ruolo delle donne che stiamo perdendo la battaglia culturale con l’Islam

di Lucetta Scaraffia (L’Huffington post, 12/04/2016)

Non c’è dubbio: lo scontro con l’islam radicale non si gioca solo sul terreno politico, e tanto meno solo su quello religioso, ma anche sul piano della cultura quotidiana, dei modelli di vita che si contrappongono. E, come tutti i media in questo periodo stanno sottolineando, questa contrapposizione riguarda soprattutto il ruolo delle donne.

Polemiche recenti, quasi sempre solo centrate sull’aspetto, sul modo di presentarsi nella società - con velo o senza velo, vestite con "modestia" o svestite come vuole la moda - più che sulla reale posizione sociale delle donne. Abbiamo visto scoppi di ira contro quegli stilisti che, per garantirsi un pezzo di mercato in più, si sono messi a produrre linee di abbigliamento appetibili per le culture arabe più tradizionali, come se su questo si giocasse veramente la libertà della donna. In sostanza, secondo i media occidentali, la proposta vincente sarebbe quella di allearsi alle donne oppresse dalla cultura islamica e liberarle dal velo, rovesciando così il potere fondamentalista.

La fanno un po’ facile: dimenticano che, ad esempio, durante le guerre anticoloniali le donne tunisine e algerine, che non mettevano più il velo da decenni, lo rimisero di loro iniziativa per difendere la loro cultura originaria. Dimenticano che spesso non sono imposizioni paterne, ma sono le giovani donne di origine islamica emigrate che decidono per il velo, scegliendo di rompere la tradizione di "libertà" di mamme e magari anche di nonne. E che queste giovani magari preferiscono un fondamentalista che le chiude in casa ad un giovane "moderno", o addirittura partono loro stesse per il fronte di guerra di Daesh. Farhad Kossrokhawar, studioso iraniano che da anni, in Francia, studia l’emigrazione islamica, ha parlato dell’attrazione verso il fondamentalismo come di un nuovo Sessantotto.

In un mondo privo di ideali, di spinte romantiche, di speranze, i giovani ritrovano nell’islamismo radicale una utopia, valori apparentemente forti e una buona dose di esotismo. Secondo lui, la partenza per il fronte siriano per molti è un’esperienza simile a quello che, negli anni settanta, per gli hippyes era il viaggio in India. Rivoluzione sessuale compresa: le donne ritrovano divieti, pudore, regole rigide che in fondo danno valore e mistero all’atto sessuale, da noi diventato quasi una ginnastica piacevole e poco più.

Dall’altra parte, le giovani di origine islamica, o che vivono in paesi islamici, guardano all’occidente con un misto di desiderio e di inquietudine. Quelle che vediamo rispecchiarsi negli occhi di Malala, la giovane pakistana che ha lottato e rischiato la vita per studiare, e quindi combatte per l’accesso delle donne allo studio e all’emancipazione, ma che non rinuncia al velo e a un modo di presentarsi modesto. Anche se ora vive in Inghilterra, non ha optato per la minigonna, considerandola la soluzione di tutti i mali, come scrivono molti giornalisti - maschi - occidentali. Che non capiscono che molte donne islamiche che combattono per una maggiore autonomia e libertà in fondo non hanno nessuna intenzione di diventare come noi.

Le preoccupano infatti molti aspetti della nostra società, come il disprezzo della maternità, il disgregarsi delle identità sessuali, la mercificazione del corpo femminile nelle pubblicità e nella pornografia dilagante, la crescita continua della prostituzione. Donne che sanno che le giovani costrette a prostituirsi nelle periferie appartengono alle stesse etnie dei giovani immigrati che hanno infastidito le ragazze la notte di Capodanno a Colonia...Un corto circuito inquietante che dovrebbe farci riflettere, così come l’eccessivo ricorso all’aborto, l’utero in affitto, la compra-vendita degli ovociti, che dimostrano un disprezzo crescente nei confronti del corpo femminile e delle relazioni umane.

Alle donne islamiche non offriamo solamente un paradiso di libertà e di diritti, ma anche un sottile ma persistente disprezzo verso la specificità femminile, una penalizzazione di tutto ciò che non si omologa al maschile, divenuto il modello dominante.

Siamo proprio convinti, così, di vincere la battaglia sul piano culturale?


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