Augusto figlio di dio
Appiano di Alessandria avrebbe potuto essere uno dei tanti cittadini dell’Impero romano dimenticati od anche mai conosciuti dai posteri. Se non fosse che, nel corso della sua vita di...
di Marco Sferini (La Sinistra quotidiana, 22 Settembre 2021)
Appiano di Alessandria avrebbe potuto essere uno dei tanti cittadini dell’Impero romano dimenticati od anche mai conosciuti dai posteri. Se non fosse che, nel corso della sua vita di uomo di legge e di procuratore, si interessò di storia - per così dire - “moderna” o “contemporanea“, se lo si vive calato esclusivamente nel suo tempo, astraendosi dal proprio presente. Questa sua passione la mise tutta nella redazione di una narrazione accurata delle Guerre civili: da Mario e Silla fino all’instaurazione del Principato.
In realtà, la sua monumentale opera, ben 24 libri, è arrivata fino a noi più che dimezzata: della “Ῥωμαικά” (“Rhomanikà“) rimangono solo 11 volumi, ma sono sufficienti per riuscire a ritrovare tutta una lunga serie di collegamenti con altri autori e con episodi della storia imperiale dell’Urbe.
Sappiamo che Karl Marx se ne interessò e che, molto probabilmente, soprattutto grazie alla lettura dei testi di Appiano imparò ad apprezzare oltre ogni modo la figura di Spartaco come “der famoseste Kerl“: tradotto dal tedesco, questo giudizio sul generale degli schiavi risulta essere “il tipo più in gamba“. Meglio di Garibaldi, si spinge il Moro nella comparazione con l’attualità che osserva in Europa e nell’Italia dei moti risorgimentali.
Appiano, come bene scrive Luciano Canfora nel suo “Augusto figlio di dio” (Editori Laterza, prima ed. 2015), è uno storico dilettante, ma tremendamente bravo e soprattutto ha accesso ad una vastità di fonti e di informazioni che, ancora oggi, rimangono un enigma per come siano state trovate, scoperte e utilizzate dall’alessandrino. Sembra essere, se non l’unico, almeno uno dei pochi cronachisti dell’antichità a conoscere situazioni così intime, segrete e particolari della corte augustea da mettere in discussione quel poco che sappiamo della sua vita.
La sorpresa di Marx davanti alla bravura di Appiano è nulla in confronto alle tinte di giallo che contornano questo avvocato dei tempi di Traiano, Adriano e Antonino Pio nel momento in cui si accinge a diventare uno scrittore, uno storico e lo fa con a disposizione dettagliatissimi resoconti della vita tanto privata quanto pubblica di Giulio Cesare ma, soprattutto, di Augusto.
L’opera di Canfora sul Princeps, sul rifondatore della Res publica, sul primo imperatore di Roma, è barocca, ricca di pieghe del tempo, di sovrapposizioni e intersezioni tra i personaggi di un passato che si rilegge nel tempo moderno ottocentesco, mentre prende corpo il marxismo, così come nel primo novecento mentre avanza lo spartachismo germanico. Sono pagine di meticolosa disamina della vita di Ottaviano, pur intervallate da viaggi nella quarta dimensione, accanto ad un Virgilio dantescamente ritrovato, seppure un bel po’ di anni dopo la sua morte, che però è - come scrive Marx ad Engels - «un egiziano tutto d’un pezzo».
Chi si dispone alla lettura dell’Augusto di Canfora, sappia fin dall’inizio che non è un libro semplice: necessita una certa conoscenza della romanità, tanto sul piano storico quanto su quello politico. Necessita pure una conoscenza, quanto meno di base, della letteratura latina, di autori come Seneca, Cicerone, Tacito ed anche il più leggero mondo svetoniano dei Cesari.
Non è una biografia né di Augusto e né di Appiano. Paradossalmente, però, riesce ad essere un grande affresco dinamicamente tinteggiato da tante sfumature di un mondo in continua evoluzione, che si riconosce proprio dall’atto fondativo prodotto dalle Guerre civili, dalla dittatura cesariana e dalla pax inaugurata da un Augusto scaltro, cui Appiano riconosce tutti i meriti del grande politico, camaleontico, capace di interpretare simultaneamente il difensore del Senato e della tradizione repubblicana della Roma che aveva cacciato i re ed essere il nuovo sovrano di un impero che viene rinnovato, completamente ristrutturato nella sua amministrazione ed anche nella preservazione della memoria, del sapere, dell’arte e delle lettere.
Augusto, ce lo dice Marco Antonio, ma lo sottolinea pure Canfora, deve un po’ tutto al suo nome: non a quello di nascita (Gaio Ottavio), bensì a quello del suo padre adottivo, il Divus Julius. Ottaviano ne è consapevole e fa di tutto per attribuirselo in ogni occasione, per farsi riconoscere dai Padri coscritti come l’erede di una volontà politica che difende la repubblica dai tentativi di restaurazione oligarchica dei cesaricidi.
In realtà, Luciano Canfora svela tante ambiguità di una storia romana che Appiano tuttavia non cela, non mistifica, non celebra inversamente, revisionisticamente, con quella accondiscendente sudditanza verso il potere, con una piaggeria che ci si aspetterebbe da uno scrittore che, per giunta, è un procuratore imperiale (anche se alcuni storici ritengono che questa carica gli venne assegnata più come titolo onorifico che come investitura vera e propria con pieni poteri).
“Augusto figlio di dio” è molto più di un libro sul primo imperatore di Roma: è un vero e proprio lavoro di ricerca storica, politica, sociale e morale tradotto in una biografia che ha il gusto piacevole del romanzo giallo, la fascinazione del prosa descrittiva di un passato mostrato con le tante similitudini del e nel nostro presente (in particolare, queste fanno riferimento alle caratteristiche più propriamente umane nelle declinazioni politiche, intellettuali e militari). Non ultimo, possiede il disincanto da una esposizione cattedratica che l’autore a volte è tentato di offrire a tutti i lettori nel proporre l’intersezione di tante difficili argomentazioni, ma che riesce sempre a coniugare con la cosciente pragmaticità della fruizione dell’opera da parte di un vasto pubblico dalle conoscenze più varie.
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.
STORIA E MITO. GIASONE, "L’OMBRA D’ARGO", E “VENTICINQUE SECOLI” DI LETARGO...
DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA.
FLS