L’economista Napoleoni: il G20 ascolti Ratzinger
Esce a giorni il numero di novembre della rivista «Mondo e missione», diretta da Gerolamo Fazzini, interamente dedicato all’enciclica del Papa. Uno speciale di 100 pagine intitolato «Good economy» da cui qui anticipiamo la riflessione dell’economista Loretta Napoleoni.
DI LORETTA NAPOLEONI (Avvenire, 28.10.2009)
Al G20 tutti avrebbero dovuto leggere l’enciclica del Papa Caritas in veritate per capire il ruolo dell’economia nella società civile. Lo stesso che aveva prima della globalizzazione, lo stesso che ha sempre avuto e cioè di essere al servizio della comunità e non del singolo individuo.
Il Papa ci ricorda la bellezza e l’importanza del dono, è questo un linguaggio religioso che potrebbe suonare stonato a Piazza Affari, ma dietro i principi etici del cattolicesimo e di tutte le religioni ritroviamo i cardini della vita in società. Il dono si riferisce alla redistribuzione del reddito, un valore che in finanza è scomparso con l’avvento delle politiche fiscali neo-liberiste, politiche che hanno ridotto l’imposizione fiscale alle fasce più ricche della popolazione. Lo scopo era naturalmente quello di incoraggiarle a spendere e così facendo di sostenere la crescita economica. Ma la crisi del credito e la recessione hanno dimostrato che nessuno, neppure la mano magica del mercato descritta da Adam Smith, si può sostituire allo Stato: solo lo Stato, quale espressione della comunità, può vigilare che la filosofia del dono guidi l’attività economica.
Il Papa ci ricorda che aiutarci a vicenda è benefico per tutti, per la società, per i poveri ed anche per i ricchi. Un mondo dove non ci sono povertà, ingiustizia e discriminazione economica è un mondo felice. Ce lo siamo dimenticato negli ultimi anni perché in preda alla deregulation finanziaria abbiamo perseguito soltanto i nostri interessi personali. Non è vero che l’egoismo è la molla che fa crescere il mercato. Non era vero neppure ai tempi di Adam Smith. Se osserviamo la società che il padre dell’economia moderna studiava, ci rendiamo conto che non era equa. La ricchezza delle nazioni non può essere misurata con un numero, il Pil, e basta: bisogna anche tener presente come questa ricchezza è distribuita, quali opportunità crea per i meno fortunati. Se gettiamo uno sguardo oltre i nostri confini, alla periferia del villaggio globalizzato, ci accorgiamo che i sistemi economici che hanno sofferto meno a causa della crisi del credito sono proprio quelli dove il fulcro dell’economia era rappresentato dalla comunità e non dall’individuo: la finanza islamica e l’economia cinese. La prima ha schivato la crisi grazie al codice etico incorporato nella sua struttura finanziaria, un codice che s’ispira alla legge coranica, alla sharìa; la seconda ha tenuto a debita distanza l’alta finanza grazie ai principi economici del socialismo.
L’esperienza islamica e quella cinese provano che è possibile produrre un modello diverso da quello celebrato a Wall Street, che il mercato deve essere funzionale alla crescita economica equa e non può essere lasciato a se stesso. Lo scopo dell’economia non deve essere il profitto e basta, bensì l’uso della ricchezza per migliorare la società. Eppure queste verità sembrano non essere state raccolte dai potenti della terra, i quali - dopo essersi congratulati tra di loro per aver evitato una seconda grande depressione - non hanno fatto nulla per riformare il sistema economico e finanziario globale.
Le parole del Papa vanno dritte al nocciolo del problema: il sistema così com’è strutturato ha perso di vista la ragione per la quale esiste, ossia la comunità. Ecco perché le crisi economiche saranno sempre più frequenti e più serie. Quando lo Stato non è in grado di reagire, è giusto ascoltare le parole di chi protegge la nostra spiritualità. Al prossimo G20 inviterei il Papa a esporre i problemi dell’economia mondiale, è l’unico che sembra averli capiti.