La bugia è il Male della società
Della menzogna, come peccato originario, vero cancro delle comunità, facciamo esperienza anche in questi giorni *
Eminenza, desidero sottoporle un caso di esegesi biblica del capitolo V degli Atti degli Apostoli, l’episodio di Anania e Saffira, che frodarono Pietro per amore del denaro e morirono all’istante. Mi sono sempre chiesto, leggendo diverse interpretazioni dell’accaduto, perché ebbero un castigo così duro, ma soprattutto se il denaro che dovevano versare a Pietro rappresentasse una forma di comunione dei beni delle prime comunità cristiane.
Gabriele A. Ginnasi Milano
Gentile Cardinale Martini, mi aiuti a comprendere il significato di un episodio biblico, quello dell’Esodo 12,29-30, perché io possa a mia volta spiegarlo a mio figlio. Al rifiuto del Faraone di lasciare liberi gli israeliti Mosé riferì le parole di Dio e il volere di Dio fu fatto. «A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito della Terra d’Egitto...». Come ha potuto il Signore sacrificare i bambini?
Stefania Donadeo Milano
Comincio con alcune domande bibliche, così mi sento un po’ di più sul mio terreno.
I. Mi fermo anzitutto sulla prima delle lettere citate, quella che riguarda il comportamento di Pietro negli Atti degli Apostoli a proposito di Anania e Saffira (Atti 5,1-11). Ricordo che anch’io fui spaventato quando lessi per la prima volta questo episodio. I due, marito e moglie, cadono a terra morti, a poca distanza l’uno dall’altro, dopo aver mentito a Pietro sul prezzo del campo da loro venduto. Gli avevano dichiarato di consegnargli tutto il ricavato, invece avevano tenuto per sé di comune accordo una parte dei soldi ricevuti. La severità di Pietro appare tanto più difficile da comprendere in quanto lo stesso apostolo, pochi capitoli dopo, tratta con maggiore benignità un certo Simone. Questi vorrebbe acquistare per denaro la capacità di fare guarigioni (di qui il nome di «simonia» per il tentativo di acquistare con denaro un potere nella Chiesa). Anche in tal caso le parole sono forti: «Possa andare in rovina tu e il tuo denaro, perché hai pensato di poter comprare con i soldi il dono di Dio» (Atti 8,20). Ma a queste parole viene aggiunto l’invito alla conversione: «Convertiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l’intenzione del tuo cuore. Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell’iniquità» (Atti 8,22-23).
Anche Paolo, sempre negli Atti degli apostoli, tratta con severità un certo Elima, che cercava di distogliere il proconsole Sergio Paolo dalla fede: «Uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?» (Atti 13,10). Il castigo è la cecità temporanea, ma non la morte. Che cosa è dunque accaduto, secondo la mente dell’autore degli Atti, nel caso di Anania e Saffira? Essi avevano compiuto il gesto solenne e pubblico di donare tutto per la comunità, dalla quale sarebbero stati tenuti in grande onore e probabilmente anche mantenuti. La loro parola data a Pietro era una dichiarazione sacra di fronte a Dio. Si può pensare che in quei primi inizi fosse di grande importanza sottolineare il carattere sacro della comunità e l’autorità piena data agli apostoli. Confesso che questi argomenti, con cui tento di ricostituire la mentalità di quel tempo, non ci lasciano del tutto convinti.
Forse occorre penetrare nel significato profondo della menzogna, come peccato originario, vero cancro delle comunità e della società. Ne facciamo esperienza anche in questi giorni. Gesù nel Vangelo secondo Giovanni (8,44) dice che lo spirito del male «è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui». Ma temo che questo tipo di riflessioni siano, per il lettore medio, piuttosto causa di nuovi problemi e perciò mi fermo qui. In ogni caso mi pare chiaro, come si vede dalla dichiarazione di Pietro (Atti 5,4) che si trattava di una qualche forma di comunione dei beni, non obbligatoria: quindi di una certa forma di «comunismo», che scomparve ben presto nelle prime comunità per dare luogo ad altri modi di aiuto reciproco (vedi la «colletta» in san Paolo, per es. 2a Lettera ai Corinzi, capitoli 8 e 9). Lo scrivente dice di aver trovato anche altre interpretazioni dell’episodio. Non mi stupirei di questa molteplicità, che era già nota agli Ebrei fin dai tempi più antichi. Essa non solo denuncia la nostra lontananza dai testi, per cui non riusciamo sempre a metterci d’accordo sul loro significato, ma mostra anche, in determinati casi, la ricchezza delle Scritture e la loro molteplice validità.
II. Come seconda lettera scelgo quella che riporta un passo ancora più duro dell’Antico Testamento: Dio colpisce tutti i primogeniti delle famiglie d’Egitto, causando un lutto incalcolabile e crudele. Noto anzitutto che non è del tutto esatto dire che Dio sacrifica «i bambini». Il primogenito, nelle famiglie numerose, era il più anziano di tutti i figli. Quindi non si tratta solo di bambini, ma di adulti e anche di bambini. In ogni caso Dio non intendeva condannare i primogeniti degli egiziani alla morte eterna, ma soprattutto (si consoli il mio interlocutore) queste morti dei primogeniti non fanno probabilmente parte della storia reale. Nei documenti egiziani non si trova traccia di questo misterioso giudizio di Dio. Si tratta di un racconto idealizzato, che vuol mettere in risalto lo straordinario aiuto di Dio nel far uscire gli Ebrei dall’Egitto. Noi non possiamo oggi sapere bene quale fu questo aiuto, ma esso rimase nella memoria del popolo come quello di un «inizio» straordinario della sua liberazione. Ancora oggi nella festa di Pasqua esso viene cantato da tutti i membri della famiglia riuniti a mensa nel ricordo di questi fatti.
Con questo noi abbiamo non diminuito, ma moltiplicato i problemi: le pagine dell’Antico Testamento non vanno sempre prese alla lettera, ma contengono anche una riedizione sacrale e aulica di una storia antica molto più semplice? Su questo argomento ci sarebbe molto da dire e da discutere, e per oggi me ne astengo. Ma rimane una difficoltà: prescindendo dal fatto, se esso sia avvenuto o no, come mai l’autore sacro ha riportato la notizia della morte dei primogeniti come un fatto sì doloroso, ma anche come qualcosa che Dio può fare senza condanna morale? Ebbene, quando noi leggiamo l’«Antico Testamento» dobbiamo considerare che esso è scritto «dalla parte di Israele», cioè con molta sensibilità per il benessere del popolo e con l’accettazione per gli altri del potere di vita e di morte che Dio ha e che esercita soprattutto sull’uomo peccatore. Si tratta di qualcosa che non è tanto «palatabile» per noi, ma che non faceva alcuna difficoltà per quel tempo.
* Corriere della Sera, 23 giugno 2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ALLA DOTTA BOLOGNA, NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO, LA "DEUS CARITAS EST" (UN FALSO FILOLOGICO E TEOLOGICO).
EQUIVOCATO O EQUIVOCO? BENEDETTO XVI O BERLUSCONI, NESSUNO COMPRERA’ LE NOSTRE PAROLE
AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta.
IL DIO MAMMONA (“CARITAS”), IL DENARO, E “IL GATTO CON GLI STIVALI”.
LA LEZIONE DI EDOARDO SANGUINETI *
PURGATORIO DE L’INFERNO, 10. “Questo è il gatto con gli stivali”
Questo è il gatto con gli stivali, questa è la pace di Barcellona
fra Carlo V e Clemente VII, è la locomotiva, è il pesco
fiorito, è il cavalluccio marino: ma se volti pagina, Alessandro,
ci vedi il denaro:
questi sono i satelliti di Giove, questa è l’autostrada
del Sole, è la lavagna quadrettata, è il primo volume dei Poetae
Latini Aevi Carolini, sono le scarpe, sono le bugie, è la scuola di Atene, è il burro,
è una cartolina che mi è arrivata oggi dalla Finlandia, è il muscolo massetere,
è il parto: ma se volti foglio, Alessandro, ci vedi
il denaro:
e questo è il denaro,
e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie:
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente
Edoardo Sanguineti
* SI CFR. : KARL MARX E WALTER BENJAMIN - “PURGATORIO DE L’INFERNO”: IL DIO MAMMONA (“CARITAS”), IL DENARO, E “IL GATTO CON GLI STIVALI”. LA LEZIONE DI EDOARDO SANGUINETI
Federico La Sala
Sentenza esemplare per il finanziere autore di una frode da 65 miliardi di dollari
A breve all’asta l’appartamento, le ville, gli yacht, i quadri e i gioielli
Madoff condannato a 150 anni
Il giudice: "Crimine diabolico" *
NEW YORK - E’ stato condannato a 150 anni di carcere, la massima pena possibile, Bernard Madoff, il finanziare di 71 anni autore di una delle più grandi truffe della storia. La lettura della sentenza è stata accolta da un applauso. Madoff si è dichiarato colpevole di tutte le 11 imputazioni emerse da uno dei più grossi scandali della storia di Wall Street: le somme da lui frodate ammontano a 65 miliardi di dollari (l’equivalente di circa 46 miliardi di euro).
Si è anche scusato, nel corso dell’udienza odierna, l’ultima di un processo lampo durato pochissimi mesi (l’arresto del finanziere risale all’11 dicembre 2008), ma le scuse sono servite a ben poco. "Nessun altro caso di frode è comparabile con il caso Madoff", ha detto il giudice Denny Chin, precisando che "il simbolismo della sentenza è importante perché attraverso questa si invierà un messaggio".
Il giudice Chin ha definito quello di Madoff "un crimine straordinariamente diabolico". Dal 1995 Madoff, che era stato anche presidente del Nasdaq, aveva iniziato la sua attività privata promettendo tassi di interessi alti e sicuri (circa il 10%). Che puntualmente pagava, ma non perché il danaro venisse accortamente investito, ma soltanto perché arrivava danaro fresco dai nuovi clienti. E Madoff diventava sempre più ricco: se l’ammontare delle somme truffate è stimato in circa 65 miliardi di dollari, le cifre legate al suo impero economico ammontano a 171 miliardi di dollari.
Madoff, che ha passato gli ultimi mesi agli arresti domiciliari nel suo appartamento di lusso di Manhattan, del valore di 7 milioni di dollari, perderà tutto: le ville (una a Palm Beach, un’altra in Florida, una da 13 milioni a Montauk, sulla punta di Long Island), gli yacht e i beni personali, che verranno messi all’asta nei prossimi giorni. La moglie, Ruth, 68 anni, rimarrà senza casa e dovrà vivere d’ora in poi con i 2,5 milioni di dollari che le sono stati assegnati dal tribunale.
L’avvocato del finanziere, Ira Sorkin, puntava a una pena mite, al massimo 12 anni, dal momento che il suo cliente aveva ampiamente collaborato alle indagini. Ma si aspettava il peggio, anche sulla base delle richieste dei tanti truffati che hanno preso la parola in tribunale: "La cella deve diventare la sua bara", ha affermato uno degli investitori truffati. Un’altra vittima è scoppiata in lacrime dopo aver denunciato perdite per 5 milioni di dollari.
In questo clima l’appello e le scuse di Madoff sono cadute nel vuoto, e semmai sono state accolte con scherno: "Vivrò con questo dolore per il resto della mia vita - ha detto Madoff - Non posso chiedervi scusa per il mio comportamento: come puoi chiedere scusa per aver ingannato un’industria che hai contribuito a costruire? Come puoi chiedere scusa per aver ingannato una moglie dopo 50 anni di matrimonio?".
"Lascio alla mia famiglia un’eredità di vergogna, come hanno detto alcune delle mie vittime - ha proseguito il finanziere - Sono responsabile di molta sofferenza e molto dolore. Chiedo scusa alle mie vittime. Mi dispiace".
* la Repubblica, 29 giugno 2009
E ora il processo al sistema
MARIO DEAGLIO (La Stampa, 30/6/2009)
Chiaro. Limpido. Indiscutibile. Un truffatore perfido, uomo di successo, con una faccia da attore di successo. Una condanna colossale, 150 anni di galera, assurdi a orecchi europei, per una truffa colossale, assurda anch’essa nella sua semplicità con cui sono stati gabbati per decenni alcuni tra i più preparati investitori del mondo, le autorità di vigilanza, gli analisti, i guru, i media, i controllori, molte banche. Un giudice che parla di crimine diabolico e un imputato-diavolo che faceva il benefattore, era membro dei consigli di numerose istituzioni benefiche. E viene denunciato dai figli, terrorizzati dall’entità della frode. Quest’imputato-diavolo chiede il permesso di essere presente - impassibile - alla lettura della sentenza in camicia bianca, giacca e cravatta che, per il duro regolamento del carcere in cui sarà rinchiuso, probabilmente non indosserà mai più, o meglio indosserà tra 150 anni. Ex ricchi che si mettono a piangere, pubblico che applaude, un imprigionamento che diventa un atto liberatorio per un’America che vuole condannare, ripartire, dimenticare e continuare a fare finanza.
Fine del discorso. Fine della scena. Seconda scena in Italia. È fin troppo plateale il confronto tra una giustizia americana che ti scova il malfattore l’11 dicembre, lo rimanda agli arresti domiciliari dietro una cauzione gigantesca, lo riarresta in gennaio, imbastisce il processo in febbraio-marzo e te lo condanna con tutte le cerimonie, praticamente in maniera definitiva, il 29 giugno. Nessuna scarcerazione in attesa di gradi ulteriori di giudizio, dei quali, d’altra parte, ci sono pochissime possibilità; nessuna ricusazione di giudici, nessuna lotta per arrivare all’archiviazione per decorrenza dei termini. Nessun affidamento ai servizi sociali, nessun occhio di riguardo perché l’imputato ha più di settant’anni. Prevedibili dichiarazioni di politici. Di giudici. Di esperti. Forse accordo sulla necessità di riforma per i crimini economici. Chissà, magari qualche progetto di legge; è persino possibile l’istituzione di una commissione parlamentare. Fine della scena. Ebbene, né l’una né l’altra scena sono soddisfacenti.
I 150 anni di condanna non possono sostituire 150 o più processi o indagini non ancora partiti su come è stato possibile tutto ciò; su come venivano fatti i controlli; sul perché nessuno abbia dato retta a Harry Markopolos, un esperto che dieci anni fa si era rivolto alle autorità di controllo perché persuaso che fosse matematicamente impossibile che le società di Madoff realizzassero i profitti che dichiaravano di realizzare; sul perché per questi dieci anni uomini finanziariamente astutissimi (Madoff si è rifiutato di fare qualsiasi nome) sulle due rive dell’Atlantico continuassero a consegnargli un fiume di denaro. Spente le luci sul processo, molti interrogativi restano.
La distanza tra Stati Uniti e Italia rimane altissima, ma non è che oltre Atlantico tutto sia chiarissimo. La scena si deve spostare in avanti. Magari all’Aquila, al G8, visto che tutto ormai sembra rotolare verso questo vertice al di fuori del normale in un anno economicamente al di fuori del normale. Potrebbe essere questa la sede buona per affrontare una volta per tutte il problema dei mercati finanziari; che è poi il problema di quanti Madoff siano in attività nel mondo e di quanti possano sorgere in futuro.
Se c’è una cosa che il caso Madoff mette in luce, è l’inutilità di controlli nazionali - e anche di sistemi giudiziari nazionali per crimini economici legati ai circuiti finanziari globali - e la necessità di un loro rapido superamento in favore di un’autorità internazionale di controllo. Che possa ficcare il naso nei libri contabili e fare domande di ogni tipo, in ogni Paese del mondo. Che gli americani hanno sempre avversato e che forse oggi avverserebbero un po’ meno. Madoff, insomma, deve essere un punto di partenza, non un punto d’arrivo. Non dimenticato fino a quando defungerà come il prigioniero matricola 61727-054 del Metropolitan Correction Center di New York in cui è detenuto, ma sempre presente nelle prossime mosse dei procuratori di giustizia.
Si potrebbe anche suggerire che chi si occupa di crimini economici si tenga sempre una foto di Madoff sulla scrivania o appesa sul muro dell’ufficio. Per ricordargli che deve capire davvero come ha fatto; per convincere collaboratori e vittime a raccontare tutto. Per evitare che si faccia un processo, per quanto sacrosanto, a una persona anziché un’indagine a tappeto, sicuramente necessaria, sul funzionamento di un sistema.
ANSA» 2009-06-29 13:24
PAPA FIRMA ENCICLICA CARITAS IN VERITATE
CITTA’ DEL VATICANO - Papa Benedetto XVI, dopo la preghiera dell’Angelus, ha confermato che la sua nuova enciclica sociale, ’Caritas in Veritate’, porterà la firma di oggi, 29 giugno e sarà presentata nei prossimi giorni.
"E’ ormai prossima la pubblicazione della mia terza Enciclica, che ha per titolo Caritas in veritate", ha detto Ratzinger parlando ai fedeli dalla finestra del suo studio su piazza San Pietro, dOpo aver concluso la messa di San Pietro e Paolo nella basilica vaticana.
"Riprendendo le tematiche sociali contenute nella Populorum progressio, scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967, questo documento, che porta la data proprio di oggi, 29 giugno, solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, intende - ha detto - approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all’umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti".
Sarà datata in ogni caso 29 giugno, festività dei santi Pietro e Paolo
Ultime limature all’enciclica del Papa: lotta contro il tempo per la stampa prima del G8
ultimo aggiornamento: 27 giugno, ore 16:12
Città del Vaticano - (Adnkronos) - Il terzo documento di Benedetto XVI, dal titolo ’’Caritas in veritate’’, affronta temi come giustizia, crisi mondiale, ambiente e relazioni Nord-sud. Non ancora certa la data di pubblicazione (il 4 il 6 o il 7 luglio): qualche problema per via delle traduzioni e della stampa
Città del Vaticano, 27 giu. - (Adnkronos) - Oramai è lotta contro il tempo in Vaticano per far uscire l’enciclica sociale di Benedetto XVI prima del prossimo G8 che si terrà in Italia a L’Aquila. Il testo, secondo quanto apprende l’ADNKRONOS, è stato ormai completato, anche se qualche ritocco potrebbe ancora essere compiuto da Ratzinger nelle prossime ore. L’enciclica porterà in ogni caso la data del 29 giugno, festività dei santi Pietro e Paolo.
Della ’’Caritas in veritate’’ (amore nella verità) - questo il titolo del testo - esistono del resto diverse bozze, come avviene spesso per le encicliche, ma quella definitiva è nelle mani del Papa. Restano le previsioni sulla data di pubblicazione. Il 4 il 6 o il 7 luglio. Insomma è questione di una settimana ma ormai è davvero una lotta contro il tempo perché oltre alle traduzioni, almeno quelle nelle lingue più diffuse a livello mondiale, c’è il problema dei tempi di stampa per un testo che dovrà essere distribuito in centinaia di migliaia di copie.
La ’’Caritas in veritate’’ è la terza lettera enciclica di Ratzinger dopo la ’’Deus caritas est’’ e la ’’Spe salvi’’. Il testo del Papa toccherà diffusamente il tema della giustizia come uno dei punti centrali della riflessione sulle questioni sociali ed economiche del nostro tempo. Tuttavia la critica anche forte alle derive speculative del capitalismo mondiale non assumerà i toni della messa in discussione del ’’sistema’’ economico in quanto tale; in questo senso il testo si riallaccerà alle encicliche sociali di Giovanni Paolo II, la ’’Sollicitudo rei socialis’’ (1987) e la ’’Centesimus Annus’’ (1991), ma anche la ’’Populorum progressio’’ di Paolo VI (1967).
Insomma a finire sul banco degli accusati sarà il tracollo etico e morale che ha coinvolto il mondo della finanza e livello globale con l’ultima crisi. Ancora i temi del clima e dell’ambiente, cioè della salvaguardia del Creato, della pace, della povertà e del disarmo troveranno spazio all’interno del testo del Papa. Così come il sistema di relazioni economiche fra Paesi poveri e Paesi ricchi. E se pure vi saranno alcune indicazioni di carattere generale circa le risposte concrete da dare alle diverse situazioni, l’enciclica non sarà un testo da ’’economisti’’, ma anzi si muoverà lungo le direttrici dei grandi principi - quello della governance globale richiamato spesso dal Papa in questi mesi - e quello dei riferimenti etici di fondo relativo ai comportamenti dell’uomo, alla scelta fra il bene e il male, al messaggio cristiano che si invera anche nelle questioni sociali ed economiche.
Lo stesso Ratzinger inoltre aveva spiegato solo un paio di mesi fa che la forza della crisi economica e finanziaria a livello mondiale lo aveva indotto ad ulteriori approfondimenti del testo. Di particolare rilievo, per comprendere la riflessione del Pontefice su tutta la materia, quanto lo stesso Benedetto XVI disse rispondendo a una sacerdote lo scorso 29 febbraio proprio sui problemi della crisi economica: ’’E’ dovere della Chiesa - disse nell’occasione il Papa - denunciare gli errori fondamentali che si sono oggi mostrati nel crollo delle grandi banche americane. L’avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio ed è falsificazione dell’immagine di Dio con un altro Dio, Mammona’’.
’’Dobbiamo denunciare con coraggio - aggiungeva - ma anche con concretezza, perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta a capire che cosa si può in concreto fare. Da sempre la Chiesa non solo denuncia i mali, ma mostra le strade che portano alla giustizia, alla carità, alla conversione dei cuori. Anche nell’economia la giustizia si costruisce solo se ci sono i giusti. E costoro si formano con la conversione dei cuori’’.
Due questioni fondamentali emergono dalle parole del Papa: quello della nuova idolatria del denaro, dell’egoismo, dell’ingordigia e la questione dei ’’giusti’’: cioè la Chiesa dà il suo contributo attraverso la conversione dei cuori alla giustizia e alla carità, solo con un nuovo protagonismo umano fondato su questi paradigmi è possibile costruire strutture sociali giuste.
In questo senso fanno testo le parole pronunciate dall’arcivescovo di Monaco e Frisinga mons. Reinhard Marx, personalità ascoltata dal Papa, in una recente intervista dedicata appunto ai sociali: ’’Come Chiesa, ci riallacciamo alla grande tradizione della dottrina sociale cattolica. La missione della Chiesa è anche quella di rendere evidente il fatto che il mondo debba essere organizzato secondo diritto e giustizia, carità a misericordia.
I cristiani impegnati sono chiamati a cambiare le strutture ingiuste della società. L’impegno caritatevole da solo non basta, c’è bisogno anche di consolidamento attraverso la dottrina sociale cattolica, serve dunque un lavoro applicato alle riforme politiche’’.
L’economista Napoleoni: il G20 ascolti Ratzinger
Esce a giorni il numero di novembre della rivista «Mondo e missione», diretta da Gerolamo Fazzini, interamente dedicato all’enciclica del Papa. Uno speciale di 100 pagine intitolato «Good economy» da cui qui anticipiamo la riflessione dell’economista Loretta Napoleoni.
DI LORETTA NAPOLEONI (Avvenire, 28.10.2009)
Al G20 tutti avrebbero dovuto leggere l’enciclica del Papa Caritas in veritate per capire il ruolo dell’economia nella società civile. Lo stesso che aveva prima della globalizzazione, lo stesso che ha sempre avuto e cioè di essere al servizio della comunità e non del singolo individuo.
Il Papa ci ricorda la bellezza e l’importanza del dono, è questo un linguaggio religioso che potrebbe suonare stonato a Piazza Affari, ma dietro i principi etici del cattolicesimo e di tutte le religioni ritroviamo i cardini della vita in società. Il dono si riferisce alla redistribuzione del reddito, un valore che in finanza è scomparso con l’avvento delle politiche fiscali neo-liberiste, politiche che hanno ridotto l’imposizione fiscale alle fasce più ricche della popolazione. Lo scopo era naturalmente quello di incoraggiarle a spendere e così facendo di sostenere la crescita economica. Ma la crisi del credito e la recessione hanno dimostrato che nessuno, neppure la mano magica del mercato descritta da Adam Smith, si può sostituire allo Stato: solo lo Stato, quale espressione della comunità, può vigilare che la filosofia del dono guidi l’attività economica.
Il Papa ci ricorda che aiutarci a vicenda è benefico per tutti, per la società, per i poveri ed anche per i ricchi. Un mondo dove non ci sono povertà, ingiustizia e discriminazione economica è un mondo felice. Ce lo siamo dimenticato negli ultimi anni perché in preda alla deregulation finanziaria abbiamo perseguito soltanto i nostri interessi personali. Non è vero che l’egoismo è la molla che fa crescere il mercato. Non era vero neppure ai tempi di Adam Smith. Se osserviamo la società che il padre dell’economia moderna studiava, ci rendiamo conto che non era equa. La ricchezza delle nazioni non può essere misurata con un numero, il Pil, e basta: bisogna anche tener presente come questa ricchezza è distribuita, quali opportunità crea per i meno fortunati. Se gettiamo uno sguardo oltre i nostri confini, alla periferia del villaggio globalizzato, ci accorgiamo che i sistemi economici che hanno sofferto meno a causa della crisi del credito sono proprio quelli dove il fulcro dell’economia era rappresentato dalla comunità e non dall’individuo: la finanza islamica e l’economia cinese. La prima ha schivato la crisi grazie al codice etico incorporato nella sua struttura finanziaria, un codice che s’ispira alla legge coranica, alla sharìa; la seconda ha tenuto a debita distanza l’alta finanza grazie ai principi economici del socialismo.
L’esperienza islamica e quella cinese provano che è possibile produrre un modello diverso da quello celebrato a Wall Street, che il mercato deve essere funzionale alla crescita economica equa e non può essere lasciato a se stesso. Lo scopo dell’economia non deve essere il profitto e basta, bensì l’uso della ricchezza per migliorare la società. Eppure queste verità sembrano non essere state raccolte dai potenti della terra, i quali - dopo essersi congratulati tra di loro per aver evitato una seconda grande depressione - non hanno fatto nulla per riformare il sistema economico e finanziario globale.
Le parole del Papa vanno dritte al nocciolo del problema: il sistema così com’è strutturato ha perso di vista la ragione per la quale esiste, ossia la comunità. Ecco perché le crisi economiche saranno sempre più frequenti e più serie. Quando lo Stato non è in grado di reagire, è giusto ascoltare le parole di chi protegge la nostra spiritualità. Al prossimo G20 inviterei il Papa a esporre i problemi dell’economia mondiale, è l’unico che sembra averli capiti.