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LA TEOLOGIA POLITICA CATTOLICO-COSTANTINIANA E IL LINGUAGGIO BIFORCUTO. Come fare cose con le parole (John Langshaw Austin, "How to do Things with Words"): parlare con franchezza e in spirito di carità ("charitas")!!!

LA PAROLA "ALLAH", LA MALESIA, E LA GEOPOLITICA DI PAPA RATZINGER. COME INGANNARE IN NOME DI "DIO" E TRASFORMARE IL MESSAGGIO EVANGELICO IN MESSAGGIO "VAN-GELICO" DI GUERRA E DI MORTE!!! Sul tema, articoli di Aldo M. Valli, di Stéphanie Le Bars, e di Giordano Stabile - a cura di Federico La Sala

MALAYSIA. Violenze anticristiane in Malesia a proposito dell’uso del nome di "Allah".
martedì 12 gennaio 2010 di Federico La Sala
[...] all’uscita dalla grande preghiera del venerdì, diverse centinaia di musulmani avevano manifestato la
loro opposizione all’utilizzo del termine “Allah” da parte dei cristiani.
Queste violenze sono legate alla polemica sull’uso della parola “Allah” da parte di non musulmani.
La disputa è esplosa il 31 dicembre 2009, data nella quale l’Alta Corte della Malesia ha autorizzato
un giornale cattolico, Herald-The catholic Weekly, edito in quattro lingue e con una (...)

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> LA PAROLA "ALLAH", LA MALESIA, E LA GEOPOLITICA DI PAPA RATZINGER. ---- NESSUNO PUO’ FARSI PADRONE DEL NOME DI DIO (di Giorgio Paolucci).

mercoledì 13 gennaio 2010


-  VIVA L’ITALIA!!! LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.

-  "PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!

-  IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI


LE PRETESE DEGLI ISLAMICI MALESI

NESSUNO PUÒ FARSI PADRONE DEL NOME DI DIO

di GIORGIO PAOLUCCI (Avvenire, 13.01.2010)

Quello che sta accadendo in Malay­sia sull’uso della parola ’Allah’ ri­flette le fibrillazioni politiche e reli­giose presenti nel Paese, ma è anche in­dicativo di una certa mentalità diffusa nel mondo islamico. Come noto, con una sentenza emessa lo scorso 31 dicembre la Corte costituzionale malese ha accol­to il ricorso del settimanale cattolico The Herald, edito dalla diocesi di Kuala Lum­pur, che contestava il divieto imposto ai non musulmani di utilizzare il termine ’Allah’ per indicare Dio. La vittoria dei ri­correnti è stata però di breve momento: tredici ong islamiche si sono sollevate contro la sentenza e il governo ha chie­sto la sospensione della sua esecutività in attesa dell’appello.

E in questi giorni, co­me Avvenire ha puntualmente docu­mentato, le chiese sono state prese di mi­ra da gruppi di estremisti musulmani. La giustificazione che accompagna gli at­tacchi, sostanzialmente condivisa dalle autorità di governo, è che l’uso del ter­mine Allah «può far crescere tensioni e creare confusione tra la popolazione mu­sulmana», fino alla ’classica’ accusa di proselitismo.

Ma la storia (e la ragione) parlano un lin­guaggio di tutta evidenza. Da secoli in Malaysia i fedeli islamici e cristiani, che rappresentano rispettivamente il 60 e il 10 per cento della popolazione, si rivol­gono a Dio chiamandolo Allah, un ter­mine di origine araba importato in quel­le terre in seguito all’arrivo dei seguaci di Maometto. Nella lingua malese non c’è altro termine per indicare Dio. E lo stes­so termine viene usato nella vicina In­donesia, il più popoloso Paese musul­mano del mondo (180 milioni di abitan­ti), come pure nei Paesi arabi dove vivo­no minoranze cristiane più o meno nu­merose.

Lì, nelle moschee come nelle chiese, si prega Dio chiamandolo Allah. Del resto, la parola è antecedente alla na­scita dell’islam. Con essa, molto tempo prima di Maometto, si indicava una del­le divinità più potenti tra quelle adorate dai politeisti che popolavano la peniso­la arabica. E, come ricorda Samir Khalil, uno dei massimi conoscitori del patri­monio letterario arabo-cristiano, il suo uso è attestato nella poesia pre-islami­ca anche da autori cristiani. Dunque Allah non è affatto una ’invenzione’ di Maometto o della religione musul­mana. Ma è indicativo di una certa mentalità ’esclusivista’ il fatto che i musulmani quando traducono il Co­rano nelle lingue occidentali, per indi­care la divinità usano questa parola, ri­fiutando di ricorrere ai termini Dio, God, Dieu, Gott, eccetera.

Quello che sta accadendo in Malaysia è dunque in qualche modo inquadrabile in un costume più generale, che po­tremmo definire ’appropriazione inde­bita’, anche se risente della particolare si­tuazione politica che il Paese sta viven­do. Il partito al potere da quarant’anni attraversa un momento di grande diffi­coltà, e secondo molti analisti la decisio­ne di impugnare la sentenza della Corte costituzionale favorevole ai cristiani ri­sponde al tentativo di guadagnare con­sensi nell’elettorato islamico, qui come altrove sempre più sensibile alle parole d’ordine del fondamentalismo. Para­dossalmente il partito di opposizione, che ha radici religiose molto più forti di quello maggioritario, contesta la deci­sione di sospendere la decisione dei su­premi giudici. E in questi giorni da al­cune associazioni musulmane ’mode­rate’ è partita la proposta di organizza­re ’ronde’ per proteggere le chiese da­gli attacchi dei gruppi radicali, a dimo­strazione di quanto la vicenda stia divi­dendo la popolazione.

La posta in gioco non è, con ogni evi­denza, di tipo lessicale. Dietro la possi­bilità di usare la parola Allah per riferirsi a Dio sta la grande questione del rispet­to della persona, dei diritti individuali e delle minoranze, che lì come altrove ve­de i cristiani nel mirino. E che, lì come al­trove, ripropone la sfida più bruciante per un islam chiamato a fare i conti con la modernità e con la libertà.


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