"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI
NESSUNO PUÒ FARSI PADRONE DEL NOME DI DIO
di GIORGIO PAOLUCCI (Avvenire, 13.01.2010)
Quello che sta accadendo in Malaysia sull’uso della parola ’Allah’ riflette le fibrillazioni politiche e religiose presenti nel Paese, ma è anche indicativo di una certa mentalità diffusa nel mondo islamico. Come noto, con una sentenza emessa lo scorso 31 dicembre la Corte costituzionale malese ha accolto il ricorso del settimanale cattolico The Herald, edito dalla diocesi di Kuala Lumpur, che contestava il divieto imposto ai non musulmani di utilizzare il termine ’Allah’ per indicare Dio. La vittoria dei ricorrenti è stata però di breve momento: tredici ong islamiche si sono sollevate contro la sentenza e il governo ha chiesto la sospensione della sua esecutività in attesa dell’appello.
E in questi giorni, come Avvenire ha puntualmente documentato, le chiese sono state prese di mira da gruppi di estremisti musulmani. La giustificazione che accompagna gli attacchi, sostanzialmente condivisa dalle autorità di governo, è che l’uso del termine Allah «può far crescere tensioni e creare confusione tra la popolazione musulmana», fino alla ’classica’ accusa di proselitismo.
Ma la storia (e la ragione) parlano un linguaggio di tutta evidenza. Da secoli in Malaysia i fedeli islamici e cristiani, che rappresentano rispettivamente il 60 e il 10 per cento della popolazione, si rivolgono a Dio chiamandolo Allah, un termine di origine araba importato in quelle terre in seguito all’arrivo dei seguaci di Maometto. Nella lingua malese non c’è altro termine per indicare Dio. E lo stesso termine viene usato nella vicina Indonesia, il più popoloso Paese musulmano del mondo (180 milioni di abitanti), come pure nei Paesi arabi dove vivono minoranze cristiane più o meno numerose.
Lì, nelle moschee come nelle chiese, si prega Dio chiamandolo Allah. Del resto, la parola è antecedente alla nascita dell’islam. Con essa, molto tempo prima di Maometto, si indicava una delle divinità più potenti tra quelle adorate dai politeisti che popolavano la penisola arabica. E, come ricorda Samir Khalil, uno dei massimi conoscitori del patrimonio letterario arabo-cristiano, il suo uso è attestato nella poesia pre-islamica anche da autori cristiani. Dunque Allah non è affatto una ’invenzione’ di Maometto o della religione musulmana. Ma è indicativo di una certa mentalità ’esclusivista’ il fatto che i musulmani quando traducono il Corano nelle lingue occidentali, per indicare la divinità usano questa parola, rifiutando di ricorrere ai termini Dio, God, Dieu, Gott, eccetera.
Quello che sta accadendo in Malaysia è dunque in qualche modo inquadrabile in un costume più generale, che potremmo definire ’appropriazione indebita’, anche se risente della particolare situazione politica che il Paese sta vivendo. Il partito al potere da quarant’anni attraversa un momento di grande difficoltà, e secondo molti analisti la decisione di impugnare la sentenza della Corte costituzionale favorevole ai cristiani risponde al tentativo di guadagnare consensi nell’elettorato islamico, qui come altrove sempre più sensibile alle parole d’ordine del fondamentalismo. Paradossalmente il partito di opposizione, che ha radici religiose molto più forti di quello maggioritario, contesta la decisione di sospendere la decisione dei supremi giudici. E in questi giorni da alcune associazioni musulmane ’moderate’ è partita la proposta di organizzare ’ronde’ per proteggere le chiese dagli attacchi dei gruppi radicali, a dimostrazione di quanto la vicenda stia dividendo la popolazione.
La posta in gioco non è, con ogni evidenza, di tipo lessicale. Dietro la possibilità di usare la parola Allah per riferirsi a Dio sta la grande questione del rispetto della persona, dei diritti individuali e delle minoranze, che lì come altrove vede i cristiani nel mirino. E che, lì come altrove, ripropone la sfida più bruciante per un islam chiamato a fare i conti con la modernità e con la libertà.