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FILOLOGIA E TEOLOGIA: "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO" NON E’ L’EVANGELO!!! E la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas"), l’amore evangelico ("agàpe"), non è il "caro-prezzo" del Dio "Mammona" ("Deus caritas est", Benedetto XVI, 2006)!!!

PER CARITÀ!!! Prof. Giovanni Reale, si svegli dal sonno dogmatico!!! L’amore evangelico è "charitas", non "caritas"!!! Alcune note - a cura di Federico La Sala

lunedì 1 febbraio 2010 di Federico La Sala
[...] Credo che l’ultima enciclica che Giovanni Paolo II avrebbe scritto, se fosse sopravvissuto, sarebbe stata proprio quella sull’amore. E giustamente la prima enciclica di Benedetto XVI si intitola Deus caritas est. Penso che questa sia la migliore prova delle precise intenzioni di Benedetto XVI di voler fermamente proseguire, con il suo pontificato, sulla linea spirituale e morale del suo grande predecessore [...]
ECCLESIA DE EUCHARISTIA vivit (Giovanni Paolo II, 2003).
CONTRO LA FEDE (...)

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> PER CARITA’!!! Prof. Giovanni Reale, si svegli dal sonno dogmatico!!! ---- una nuova edizione del "Commento al Vangelo di Giovanni" di Agostino (di Armando Torno - Agostino, padre di Europa).

sabato 12 febbraio 2011

Premessa sul tema. Una nota:

Del "Commento al Vangelo di Giovanni" di Agostino, Giovanni Reale ha curato una ’nuova’ edizione, basandosi sul classico testo dei Maurini, in cui è dato al Nome del Dio di Giovanni ("Deus charitas est) il nome della tradizione del "latinorum":"Deus caritas est".... E così - per la gloria del sacro e romano cattolicesimo - fa scomparire la traccia greca della Grazia e delle Grazie e celebra le "radici cristiane" dell’Europa!!!


Agostino, padre dell’Europa

Parte da lui il pensiero di Schelling, Hegel e Kierkegaard

di Armando Torno (Corriere della Sera, 12.02.2011)

Quindici anni di lavoro, forse più. Centoventiquattro discorsi, dei quali una abbondante cinquantina furono prediche proferite a braccio e messe per iscritto dai tachigrafi, mentre i restanti vennero dettati e poi letti da terzi. In cifre e schemi si possono così riassumere le pagine che Agostino ha lasciato sul quarto Vangelo, quello di Giovanni, nel quale la rivelazione cristiana abbraccia e trasfigura il messaggio della cultura greca. Un insieme di chiose e di considerazioni imponente, ma allo stesso tempo inquietante, sconvolgente, tra i più ispirati del santo.

Giovanni Reale ne ha curato una nuova edizione, basandosi sul classico testo dei Maurini, cercando di ricostruire e riprodurre il ritmo del parlato, i possibili silenzi, le riprese della voce. Ha posto titoli a ogni capitolo e ai paragrafi, intervenendo su un’opera che si presenta magmatica, concepita sovente di getto da una mente che piegava la sintassi e le regole retoriche ai propri bisogni. In tal modo, è riconsegnato ai lettori uno dei momenti più alti del lascito di Agostino, quel Commento al Vangelo di Giovanni (Bompiani, 2 volumi in cofanetto, pp. 3.278, e 50) che corre come un filo rosso nella cultura occidentale. L’ariosità restituita ai discorsi li rende comprensibili, quasi in grado di evocare gli accenti che li hanno plasmati.

Nel saggio introduttivo si esaminano la struttura logica, i fondamenti metodologici, filosofici e teologici dell’opera e si evidenzia in cosa consista il sovvertimento del pensiero filosofico antico pagano qui attuato; e per quali ragioni, come ha sostenuto Maria Zambrano, Agostino debba essere considerato il padre spirituale dell’Europa (e, aggiungiamo, uno dei massimi riferimenti per l’arte, come prova il primo volume dell’Iconografia agostiniana. Dalle origini al XIV secolo, appena pubblicato da Città Nuova).

Ma cosa trova il lettore di oggi, impigrito da una letteratura inconsistente, in questo universo di considerazioni su Giovanni? Il testo rivela il bisogno di amore e la necessità di capire il mondo, di trovare un senso alla morte. Con il Commento si chiarisce il metodo di Agostino e si intuisce un’ulteriore chiave di lettura dell’ultimo libro delle Confessioni. La tarsia di citazioni, dove è riunita tutta la Bibbia, mostra come il santo cercasse di cogliere dal punto di vista allegorico il mistero della creazione attraverso la Parola rivelata.

C’è qualcosa di rivoluzionario in queste pagine? Certo, basta leggere le parti sulle domande che non hanno ancora una risposta e le considerazioni sull’amore, giacché quello cristiano ha bisogno della carne, non è un mero fatto spirituale. Di carne si riveste Dio, con la carne dialoga il Cristo e di carne necessita la resurrezione. «Questo è il mio corpo» contrasta con il platonico «tutto ciò che è umano non è degno di molta considerazione...» . Dal momento in cui sull’Acropoli di Atene si scoprì che c’è una realtà oltre quella tangibile, nacque il desiderio di trovare un mediatore che in essa conduca e la illustri. Platone lo individuò nell’eros, vedendolo non come dio ma come demone.

Nel Commento a Giovanni, Agostino tenta di più spiegando come Dio stesso diventi il demone-mediatore, facendosi uomo. La novità rispetto agli altri vangeli? Questo Commento ricorda che i sinottici hanno mostrato soprattutto l’umanità di Gesù, leggendo Giovanni il santo capisce che è tempo di ritoccare le prospettive: in ogni momento della vita di Cristo, anche nei particolari, si vede Dio. Perché Dio abita in ogni azione di Cristo e il Figlio diventa il contemporaneo di ogni uomo (lo ripeterà Kierkegaard).

Agostino, che ha avuto una prima conversione con i platonici, ora ha smesso di credere che Dio sia corpo infinito, ma è tale in spirito. Leggendo Plotino e Porfirio si è accorto che l’aldilà c’è veramente e che per raggiungerlo occorre attraversare un mare. Comprende che solo il lignum crucis fa superare queste acque: non mostra l’aldilà, ma in esso conduce. Già, lignum crucis: emblematica sintesi della totalità delle sofferenze dell’uomo.

Ci sono poi delle intuizioni accecanti che Reale evidenzia, presenti anche in Hegel (Filosofia della religione) e in Schelling (Filosofia della rivelazione): Cristo ha preso su di sé la morte e, accettandola, l’ha uccisa. Sulla croce, quindi, la morte di Cristo segna la morte della morte. Per questo non ha abbandonato il legno del supplizio: rimanendovi l’ha sconfitta, solo restando appeso poteva divorarla. Kierkegaard dirà che se fosse sceso avrebbe negato di essere il Figlio di Dio, diventando un pagliaccio.

Per Platone l’amore mette le ali all’anima, rendendola in grado di volare sempre più in alto; inoltre, il cocente sentimento è tanto grande quanto lo è l’oggetto che si ama. Il messaggio cristiano che Agostino urla nel Commento capovolge la prospettiva: l’amore è tanto più grande quanto più è piccolo l’oggetto amato. Da acquisitivo si fa donativo. Per questo Dio ama l’uomo sino a indossarne la carne e a morire per lui. Credere in Cristo - quest’opera cerca di spiegare il modo in cui gli uomini devono farlo - significa portare il logos dei filosofi greci sino a Dio, quindi toccarlo quando si fa carne e infine, seguendo disegni lontani dalla ragione, vederlo immolarsi per amore.


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