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La ’ndrangheta crotonese domina la Sila

sabato 14 gennaio 2012.
 

I tentacoli della ’ndrangheta sulla montagna. La feroce criminalità crotonese ha da anni allargato i propri interessi lungo il massiccio silano.

La città più importante - San Giovanni in Fiore - è stata per un periodo il rifugio prediletto e sicuro di Guirino Iona, irriducibile e sanguinario boss di Belvedere Spinello. E nei boschi di faggi che da Aprigliano risalgono fino al luogo in cui visse l’abate Gioacchino, vennero arrestati, nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 2008, i due più temuti esponenti del "locale" mafioso di Cirò: Cataldo Marincola e Silvio Farao.

Vivevano nascosti in una casa colonica e avevano scelto l’impenetrabile bosco per sfuggire ai carabinieri. Avevano trovato rifugio un casolare nascosto tra la vegetazione. Raggiungibile solo attraverso una stradina sterrata che si arrampica tra la fitta vegetazione.

L’altopiano silano negli ultimi anni è stato pure utilizzato dalle cosche crotonesi per nascondere i corpi delle vittime della lupara bianca e per dare alle fiamme le salme dei "picciotti" condannati a morte dai tribunali della ’ndrangheta di Petilia Policastro, Cotronei, Belvedere Spinello, Cutro, papnice, Mesoraca e Cirò. È quanto emerge ormai con chiarezza dalle indagini condotte dalla pm antimafia Salvatore Curcio della Dda di Catanzaro.

La Distrettuale del capoluogo di regione indaga, infatti, su tre casi di omicidio. Il primo ha visto soccombere un macellaio di San Giovanni in Fiore, Antonio Silletta, 36 anni, trovato carbonizzato tra gli abeti austeri nel gennaio 2007. La scoperta del cadavere fece morire di crepacuore, poche ore dopo, la madre della vittima. Il secondo riguarda un fotografo napoletano, residente a Petilia Policastro: si chiamava Paolo Conte, aveva 44 anni, e venne trovato incenerito, il 29 agosto del 2006, all’interno della sua auto, nella boscaglia che lambisce il lago Ampollino. Considerate le condizioni del cadavere fu persino difficile capire come fosse stato assassinato. Solo dopo accuratissimi esami necroscopici, si scoprì che era stato ucciso con un colpo di pistola sparato alla nuca. Esattamente come Silletta. Il terzo caso afferisce all’uccisione di Gaetano Covelli, pure lui di Petilia Policastro, trovato carbonizzato, all’interno della sua auto, nell’agosto del 2004, in territorio di San Giovanni in Fiore. Pure lui venne assassinato con un colpo di pistola calibro nove, sparato alla nuca. Ignoti gli autori dei tre crimini, oscuro il movente. È d’altronde difficile per chiunque districarsi nella selva d’interessi, faide, traffici, alleanze, che fanno da sfondo ai tanti omicidi compiuti a cavallo del massiccio silano negli ultimi anni. La lotta tra lo Stato e l’antistato, tra i boschi, si combatte facendo i conti con i volti imperscrutabili degli allevatori, i silenzi dei pastori, le continue transumanze del bestiame e i rumori di potenti fuoristrada assurti a simbolo d’una ostentata ricchezza.

A San Giovanni in Fiore, è anche svanito nel nulla il tre settembre del 2005 Giuseppe Loria, giovane operaio del luogo. Pure lui ucciso. Magistrati e investigatori non escludono, inoltre, che sotto i maestosi alberi secolari del massiccio montuoso siano stati nascosti anche i resti di Annibale Alterino e Damiano Mezzorotolo, due cognati di Cariati, di cui non si hanno notizie da quasi cinque anni. Sostenere, dunque - come si è esercitato a fare qualche politico "buonista" in vena d’improbabili sortite - che la mafia calabrese non eserciti la propria influenza nella zona sangiovannese è davvero fuoriluogo.

Chi può dimenticare, per esempio, la fine che venne fatta fare all’allevatore Francesco Talarico e al nipote sedicenne Gianfranco Madia, trucidati nel 2000, a colpi di lupara, a due passi da San Giovanni? Oppure l’agguato teso, nel 2001 tra Camigliatello e San Giovanni, all’imprenditore Tommaso Greco? Le "lupare" in montagna non sparano da sole...

Arcangelo Badolati, La Gazzetta del Sud (11.1.2012), pag. 32


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