Ansa» 2008-04-23 18:39
COLLEZIONISTA TROVA UNA CARTOLINA FIRMATA ANNA FRANK
BRUXELLES - Il direttore di una scuola olandese ha trovato in un registro di cassa contenente vecchie cartoline postali del padre, commerciante di oggettistica, un biglietto di auguri e saluti firmato da Anna Frank. La scoperta, del tutto casuale, è stata fatta durante la ricerca di materiale interessante per gli studenti della sua scuola che avvieranno un progetto dedicato alla memoria di Anna Frank, in occasione delle giornate della memoria per le vittime della seconda guerra mondiale e della liberazione che si celebrano in Olanda il 4 e il 5 maggio. Lo ha reso noto la Fondazione Anna Frank di Amsterdam.
La cartolina era stata inviata da Aix-la-Chapelle (Germania occidentale), dove la ragazza visse nel 1937. E’ indirizzata a Sanne Ledermann, una delle amiche più care della Frank. Ritrae una campana natalizia con quadrifogli accompagnata da una frase d’augurio in lingua tedesca "Viel Glueck im neuen Jahr" (Auguri di buon anno).
"Abbiamo anche una copia identica di un biglietto che riporta la stessa data inviato da Anna a un’amica di Francoforte", ha aggiunto Mostart, portavoce della Fondazione Anna Frank. Non nutrendo alcun dubbio sull’autenticità del biglietto, la Fondazione mira ora a recuperare quel documento che andrebbe ad arricchire la collezione del museo di Amsterdam. "La prossima settimana incontreremo il collezionista, che non sembra puntare ad un guadagno monetario" ha detto il portavoce.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Miep Gies la nascose in casa con la famiglia
Fu lei a trovare il diario: "La ricorderò sempre"
L’angelo custode compie 100 anni
"Dipendevano da me, ero il loro unico contatto con il mondo. Fu un periodo straziante"
di Alberto D’Argenio (la Repubblica, 21.02.2009)
BRUXELLES «Con il tempo tutto passa, ma fino a quando ci saranno dei sopravvissuti il ricordo continuerà ad esistere». Anna Frank la chiamava la sua «protettrice», poi è stata ribattezzata la «guardiana della memoria». Miep Gies era la giovane donna dal viso dolce che dal luglio 1942 all’agosto 1944 ha nascosto Anna Frank e la sua famiglia, l’angelo che li ha tenuti in contatto con il mondo e ha portato loro le provviste e gli oggetti capaci di rendere la vita meno soffocante. Era lei che comprava la preziosa carta con cui Anna ha scritto il suo diario, che la ascoltava e rispondeva alle sue mille domande. Domenica scorsa Miep ha computo 100 anni ed è tornata a parlare al mondo.
Via e-mail ha concesso a Repubblica qualche domanda in bilico tra passato e presente. Ricorda Anna - «era il sole di quella casa, il motore che ha unito tutti» - e parla di oggi, del negazionismo, delle polemiche sui lefebvriani: «Le parole e i precetti della Chiesa cattolica mi sono indifferenti. Posso però dire di non essere d’accordo con tutte queste cose». Poi si tuffa nel tempo e parte da dove tutto è cominciato. Ci porta ad Amsterdam, nel 1933, quando è diventata la segretaria di Otto Frank, proprietario del magazzino al 263 della Prinsengracht.
Una vita dopotutto felice, per lei che a soli 11 anni era scappata dalla povertà post-bellica dell’Austria. Ma poi è arrivata una nuova guerra, i nazisti e la memoria si tinge di tragedia. C’è quel giorno del 1942 in cui Otto Frank la chiamò: «Miep, ti devo dire una cosa importante, un grande segreto. Ci stiamo preparando a nasconderci, qui, in questa casa: ci vuoi aiutare?». Il suo «sì» fu dettato da un sentimento naturale, spontaneo e noncurante dei rischi. Poi arriva il 9 luglio, il giorno della fuga. E’ lei a portare nel nascondiglio Margot, la sorella maggiore di Anna finita nelle liste dei nazisti. Ricorda: «Margot e la madre erano sotto shock, stavano sedute lì con lo sguardo perso nel vuoto. Era orribile. Anna, invece, era allegra e contenta come sempre». Eppure la vita era diventata una prigionia.
In che misura lo capì tempo dopo, quando venne invitata a trascorrere una notte nel nascondiglio: «Non ho chiuso occhio: solo allora ho capito davvero cosa volesse dire nascondersi. Eri schiacciato da una forte pressione, dalla paura. Mi sentivo incatenata e ho pensato: domani sarò di nuovo libera».
Quella notte le insegnò più di due anni in cui tutte mattine andava a raccogliere la lista della spesa dei Frank: «Anna era sempre la prima a dire: «Hello Miep, cosa c’è di nuovo?». Era così, era normale ed impulsiva. Ma io sentivo che loro dipendevano da noi, che mi aspettavano con ansia per parlare, per avere notizie. Lo trovavo terribile. Il fatto che fossero docili mi faceva male, era straziante». Fu invece di pomeriggio che capì il legame tra Anna e la scrittura: era salita nel nascondiglio fuori orario e trovò la bambina che scriveva «con grande concentrazione». Quando la vide, Anna le rivolse «uno sguardo ostile» e chiuse il diario sbattendolo. Lei rimase sconvolta.
«Quella era la Anna che scriveva». Poi arrivò la tragedia, il 4 agosto 1944. Miep era in ufficio quando la porta si aprì ed entrò un uomo armato. Pensò: «Ci siamo». Seguirono densi minuti di angoscia. Lei fece scappare i complici e rimase da sola: «Avevo sentito qualcuno parlare in tedesco, con un accento che conoscevo. Quando entrò mi alzai e dissi: «Lei è di Vienna, anch’io lo sono». L’uomo rimase a bocca aperta. Gli diedi i documenti e lui sbraitò: «Non ti vergogni? Stai aiutando della spazzatura ebrea! Sei una traditrice e dovresti morire». Rimasi in silenzio e lui a muso duro disse: «Per me puoi rimanere, ma se scappi prenderemo tuo marito». Desolata sentì i passi dei Frank che scendevano le scale.
In quelle ore fu lei a trovare il diario di Anna e a custodirlo. Glielo voleva restituire di persona, ma la piccola non tornò: sette mesi dopo lei e Margot morirono a Bergen-Belsen. Così lo diede a Otto Frank, l’unico sopravvissuto della famiglia. Lui lo fece pubblicare ma per anni Miep non lo volle leggere. Poi trovò il coraggio: «Una sensazione bellissima si impossessò di me. Questa era l’Anna che conoscevo, la sentivo di nuovo vicina: quel diario è Anna». Fu quello il momento in cui capì che la sua vita sarebbe stata dedicata alla memoria.
Dagli archivi nazisti emerge il testo che racconta la detenzione dell’autrice del Diario. A cui le SS scrissero la parola fine
L’ultima pagina di Anna Frank
Ecco il documento sulla prigionia
.dal nostro inviato MARCO ANSALDO *
BAD AROLSEN - "Frank, Annelies Marie Sara. Nata il 12 giugno 1929 a Francoforte. Residente ad Amsterdam, in Piazza Mervede 37, II piano. Nubile. Genitori: Frank, Otto Heinrich Isra, 12.5.1889. Hollaender, Edith Sara, 16.1.1900. Sorella: Frank, Margot Betti Sara, 16.2.1926". Due segni di morte, incisi a penna in cima e in fondo al foglio, stilizzati come croci uncinate, bollano in maniera inequivocabile la provenienza del documento. Così, infatti, le SS erano solite marcare le schede dei prigionieri defunti.
Precisione ad efficienza. È grazie alla disciplina inflessibile di tanti scrivani del Terzo Reich che i frammenti che continuano a uscire dal grande archivio sui crimini nazisti di Bad Arolsen, nel centro della Germania, aperto dopo sessant’anni ai ricercatori, contribuiscono ad arricchire l’immagine di quel periodo storico. Come i due documenti presenti qui su Anna Frank, una deportata fino ad allora come tutti gli altri. Sul primo, in alto a destra, compare una cifra e una data: il numero del dossier "127.266", e "8 agosto 1944". Sono passati dunque appena sette giorni da quando Anna ha scritto, senza saperlo, l’ultima lettera del suo "Diario", che termina incompiuto il 1 agosto 1944. E questa carta è la scheda personale che i nazisti avevano compilato, in Olanda, subito dopo la sua cattura.
Fino a quel momento la famiglia Frank era rimasta nascosta ad Amsterdam, insieme ad altri quattro ebrei, nel famoso "Alloggio segreto", sito al numero 263 della Prinsengracht, dove gli otto rifugiati riuscirono a strappare due anni di vita ai militari tedeschi che ignoravano la loro esistenza. Il 4 agosto però, dietro una "soffiata", il caporeparto austriaco delle SS, Karl Josef Silberbauer (poi scovato dal cacciatore dei nazisti Simon Wiesenthal), accompagnato da alcuni agenti olandesi della Gruene Polizei, faceva irruzione nell’ufficio di Otto Frank riadattato a rifugio. Celata da uno scaffale girevole, si apriva una porta segreta, con la lunga scala ripidissima - "la tipica rompigambe olandese", come aveva scritto Anna negli appunti tenuti in quel periodo - che dava accesso all’appartamento dove le famiglie avevano trovato riparo senza però più uscire di casa.
La scheda, redatta a macchina in lingua olandese, segna l’immediato internamento della giovane a Westerbork, il campo di raccolta destinato a radunare tutti gli ebrei dei Paesi Bassi, in attesa del trasferimento nei campi di sterminio in Polonia. Fra l’estate del 1942 e l’autunno del 1944, come ricorda lo studioso della Shoah, Frediano Sessi, nell’appendice al Diario pubblicata in Italia da Einaudi, partiranno 85 convogli, dei quali 19 diretti a Sobibor, e 66 verso Auschwitz.
"A Westerbork - dirà una sua compagna di prigionia, Lenie de Jong - Van Naarden, citata nel libro di W. Lindwer Gli ultimi mesi di Anna Frank (Newton Compton) - conoscemmo ben presto un gran numero di persone. Parlai con le ragazze Frank: Anne soprattutto era carina. Ti si spezzava il cuore, perché erano ancora così giovani e non si poteva fare niente per tenerle fuori da tutto ciò. Quelle ragazze si aspettavano ancora tanto dalla vita". "Otto Frank venne da me - racconta un’altra testimone, Rachel Van Amerongen-Frankfoorder - e chiese se Anne non potesse aiutarmi, il servizio interno era molto ambito. Anna era molto gentile e disse: "So fare tutto, sono pratica di tutto". Era davvero molto cara, un po’ più grande di quanto appaia sulle fotografie che conosciamo di lei, allegra e di buon umore. Credo che lei, dopo un paio di giorni, sia capitata con la sorella e la madre nel reparto batterie".
Il documento su Anna Frank compilato a Westerbork era perfetto nella sua essenzialità e accuratezza. Una scheda che, oltre a tenere tutti i dati fondamentali dell’internata, verrà aggiornata di continuo. Quel Lager verrà non a caso ricordato da molti come un esempio di brutalità e ottusità del regime nazista. "Di tanto in tanto - rammenta un altro compagno di sventura, Janny Brandes-Brilleslijper - scambiavamo due parole: per esempio quando spaccavamo batterie. Era un lavoro molto sporco, del quale nessuno capiva il senso. Dovevamo spaccare le batterie con uno scalpello e un martello e poi gettare il catrame in una cesta e la barretta di carbone che tiravi fuori nell’altra cesta. Oltre al fatto che questo lavoro ti faceva diventare terribilmente sporco, a tutti veniva la tosse perché si sprigionava una certa sostanza tossica. Il lato piacevole del lavoro con le batterie era che potevi parlare con gli altri. Le ragazze Frank spaccavano batterie sedute intorno ai lunghi tavoli. Si parlava, si rideva, il dolore lo tenevi dentro di te".
Non sappiamo se in quei pochi momenti di libertà che la ragazza trascorse in famiglia, e forse anche con Peter Schiff, il ragazzo di cui era innamorata del quale recentissimamente è emersa la foto, riuscì ancora a scrivere qualcosa per il suo diario. Gli storici propendono per il no. I nazisti riservavano pene durissime a chi cercava di tenere appunti.
Nella scheda personale su Anna si nota infatti una scritta più grande, aggiunta a mano, per traverso: "3-9-44". E’ la data dopo nemmeno un mese del suo successivo trasferimento, e quello della sua famiglia, ad Auschwitz, dove i Frank arrivarono assieme agli altri nella notte compresa fra il 5 e il 6 settembre. La selezione fu fatta subito, una volta fatti scendere dai binari, e uno degli otto rifugiati dell’Alloggio segreto, il signor Van Pels, fu immediatamente inviato alla camera a gas.
Il secondo riferimento ad Anna Frank presente nell’archivio tedesco esce invece da un corposo libro con la copertina nera contenente l’elenco di migliaia di ebrei, in transito da Westerbork verso Auschwitz. "Lista 40", dice l’intestazione in alto a sinistra. "Frank Annelise M.", si legge a metà della pagina. Ci sono i dati di nascita, l’indirizzo e la medesima data di trasferimento segnata sulla scheda personale: 3 settembre 1944.
Quindici righe più sotto compare anche il nome della madre: Frank - Hollaender Edith. Sono passati qui solo 33 giorni da quando la quindicenne Anna aveva redatto quel capolavoro di profondità e delicatezza che è la pagina finale del suo diario: "Ho molta paura che tutti quelli che mi conoscono così come sono sempre scoprano che ho anche un altro lato più bello e più buono. Temo che mi prendano in giro, mi trovino ridicola, sentimentale e non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma solo la Anne "superficiale" ci è abituata e lo può sopportare, la Anne più "profonda" invece è troppo debole (...) Oh, vorrei tanto ascoltarli, ma non riesco, se sono silenziosa e seria tutti pensano che sia uno scherzo e devo salvarmi con una battuta di spirito, per poi non parlare dei miei familiari che pensano che io stia male, mi fanno inghiottire pastiglie per il mal di testa e calmanti, mi toccano il collo e la fronte per sentire se non ho la febbre, s’informano se sono andata di corpo e criticano il mio cattivo umore. Non sopporto, quando si occupano tanto di me, allora sì che divento prima sfacciata, poi triste e alla fine torno a rovesciare il cuore, giro in fuori la parte brutta e in dentro la buona e cerco un modo per diventare come vorrei tanto essere e come potrei essere se. nel mondo non ci fosse nessun altro".
Sono le sue ultime righe. Le due schede, con l’arresto e la deportazione, segnano l’inizio della fine di Anna. Alla fine di ottobre la ragazza prende la scabbia. Poco tempo dopo cade ammalata pure la sorella Margot. Sono in molti a notare l’aspetto pessimo delle due giovani Frank, che hanno macchie e vesciche sulla pelle, dove mettevano solo un po’ di pomata. La loro salute peggiora, e vengono trasferite al Kratzeblock, il blocco riservato agli scabbiosi. Sono separate dalla madre che, sola, morirà poco dopo, all’inizio di gennaio. Il 28 ottobre 1944 salgono su un vagone alla volta di Bergen-Belsen.
Nel nuovo Lager finiscono per essere ospitate in uno dei luoghi peggiori, le baracche destinate a raccogliere gli ultimi arrivi, per lo più donne giunte in uno stato di denutrizione e di spossatezza, dopo un viaggio durato giorni, stipate dentro vagoni bestiame zeppi di gente malata e dolente. In pieno inverno un’epidemia di tifo petecchiale colpisce i deportati. Senza cibo, senza medicine, deboli e affaticate, le due ragazze Frank vengono contagiate.
"Erano magrissime - ricorda ancora la sua compagna di prigionia Rachel - avevano un aspetto tremendo. Bisticciavano a causa della loro malattia. Avevano i posti peggiori della baracca, giù vicino alla porta". Anna, rammenta poi Janny, "stava davanti a me avvolta in una coperta e non aveva più lacrime. Raccontò che le bestioline nei vestiti la facevano rabbrividire e che per questo aveva gettato via tutti i suoi abiti. Radunai tutto quello che potevo per darlo a lei, affinché fosse di nuovo vestita. E da mangiare neanche noi avevamo molto. Ma ho cercato di dare qualcosa della nostra razione di pane".
I primi giorni di marzo del 1945 (la data è incerta), Janny va a controllare le ragazze. Margot è caduta dal letto sul pavimento di pietre, ormai senza vita. Anna muore il giorno dopo. La prima scheda compilata dalle SS porta infatti in fondo, accanto al segno che decreta il decesso del prigioniero, un ultimo appunto aggiunto a mano. Si legge: "Deceduta a B. B., ’45", cioè a Bergen Belsen.
Un unico documento contiene dunque tutta la tragedia di Anna Frank: il momento dell’arresto in Olanda, la schedatura assieme alla famiglia, la deportazione ad Auschwitz in Polonia, la morte in Germania nel campo di sterminio di Bergen Belsen. Solo molti anni più tardi la ragazza diverrà, del milione e mezzo di bambini morti nella Seconda guerra mondiale, il simbolo di tutti gli ebrei vittime del razzismo antisemita nazista. Il padre Otto fu l’unico dei rifugiati dell’Alloggio segreto a sopravvivere. Dedicherà il resto della sua vita alla diffusione del Diario, e alla vicenda di Anna, di cui queste carte continuano ancora oggi a ricordarne la storia.
* la Repubblica, 12 maggio 2008.