Alcune riflessioni di Roberto Galullo a partire dal libro: Colletti sporchi di Ferruccio Pinotti e Luca Tescaroli

Il Pm antimafia Tescaroli e le nuove rivelazioni su Bruno Contrada e sulle inquietanti peripezie di Silvio Berlusconi

MAFIA, POLITICA, MASSONERIA E SERVIZI SEGRETI DEVIATI
domenica 21 dicembre 2008.
 

dal blog di Roberto Galullo

Non so voi ma a me l’idea che Bruno Contrada possa essere un mafioso toglie il sonno.

Lo dico seriamente e ne scrivo oggi, domenica 21 dicembre, proprio perché questa notte dormire non è stato facile. Ho bisogno di confrontarmi con i miei adorati amici del blog.

Per la testa questa notte mi giravano le pagine dedicate a Contrada - grande poliziotto spietato cacciatore di mafiosi o organico a Cosa Nostra? - da Ferruccio Pinotti e Luca Tescaroli nel libro “Colletti sporchi”. Edito da Bur, sono 440 pagine che ho divorato tra le pause di lavoro a Pescara - dove il Sole-24 Ore mi ha spedito a seguire il ciclone giudiziario - e il ritorno a casa.

Di questo libro due sono le cose che mi hanno tolto il sonno ed è per questo che voglio condividere con voi - amici di blog - i miei tormenti. So che come me, mettete onestà e legalità al primo posto nell’agenda dei pensieri e delle azioni.

La prima ve l’ho anticipata e ora la svilupperò, la seconda l’accenno e poi la riprendo: la figura del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Contrada dicevamo. Io non so se sia mafioso o meno (ma le sentenze vanno rispettate) ma di Luca Tescaroli vi traccio qualche pennellata biografica. Questo magistrato veneto, attualmente sostituto procuratore a Roma, è stato Pm nel processo di Capaci. Ha condotto le indagini sui mandanti occulti per le stragi e segue il processo Calvi-Ambrosiano. Ha già scritto libri su Falcone. Insomma: qualche titolo per parlare lo avrà no!

Bene. A colpire nel libro non sono tanto i continui riferimenti ai supposti tradimenti di Contrada (raccapricciante è l’episodio in cui un secondo dopo avergli formalmente stretto la mano nel corso di un incontro, Falcone si passa la stessa mano sui pantaloni come a pulirsi da quelle cinque dita sporche che aveva appena stretto) quanto la dura e precisa presa di posizione del magistrato a pagina 73 (in tutto il libro, comunque, si capisce perfettamente come Tescaroli la pensa su Contrada: irrimediabilmente pollice verso).

In quella pagina e in quella seguente, racconta un episodio che segna ancora i colpevolisti e gli innocentisti: la fuga da Palermo di un imprenditore bresciano, Oliviero Tognoli, nei confronti del quale era stato spiccato un ordine di cattura. Tognoli - non si capirà probabilmente mai - in un primo momento fece capire a Falcone che la talpa era stata Contrada, poi si rimangiò la cosa e disse che ad agevolare la sua latitanza era stato un altro supposto infedele servitore dello Stato, Cosimo De Paola.

Tescaroli rivela in quella maledetta pagina 73 che: “se l’attentato dell’Addaura fosse stato portato a compimento, i testimoni oculari delle accuse nei confronti dell’alto funzionario di Polizia, che occupò un ruolo importante all’interno di una delle strutture dei servizi segreti del nostro Paese, sarebbero stati soppressi”.

E’ chiaro abbastanza? L’episodio del fallito attentato all’Addaura il 21 giugno 1989 - contro il giudice Falcone, il pubblico ministero svizzero Carla Del Ponte, il giudice istruttore Claudio Lehmann, il commissario di Polizia Clemente Gioia e la segretaria Tatiana Brugnetti Guglielmini - acquista dunque una nuova luce, in cui le partite del riciclaggio del denaro sporco, il ruolo di Cosa Nostra, della Svizzera come lavatrice internazionale e di Contrada si incrociano pericolosamente. E chi toccava i fili non dico intoccabili ma addirittura inavvicinabili - come avrebbe potuto fare Oliviero Tognoli, già sotto processo in Svizzera con personaggi stramafiosi come Vito Roberto Palazzolo proprio per riciclaggio di denaro sporco e per i suoi non chiari collegamenti con Cosa Nostra - era destinato a morire. La fine di Tognoli, dunque, se avesse confermato il nome di Contrada, sarebbe stato segnato. Del resto era stato lo stesso Falcone a parlare di "menti raffinatissime" a proposito di quell’attentato fallito solo perchè la compagnia decise all’ultimo momento di non bagnarsi.

E già che abbiamo citato Vito Roberto Palazzolo, veniamo a Berlusconi. Palazzolo, 61 anni, palermitano, vive beatamente in Sudafrica e l’ultimo cognome che gli era stato attribuito era quello del facoltoso uomo d’affari - con relazioni vastissime e coperture internazionali impensabili per noi poveri e onesti esseri mortali - è quello di Roberto Von Palace Kolbatshenko.

Apparte la vanità di inserire in questo improbabile cognome "finto nobile" la radice del proprio vero cognome (Roberto resta mentre Palazzolo diventa Von Palace), come a marcare la forza globalmente simbolica di quel nome, di Palazzolo sono stati perlustrati in lungo e in largo i contatti con uno degli intimi di Berlusconi, Marcello Dell’Utri (al quale il libro di Pinotti e Tescaroli dedica altre memorabili pagine e moltissimi collegamenti spazio-temporali alla massoneria e alla stessa mafia).

Ma - come per Contrada - è proprio il ruolo e la figura dell’attuale presidente del Consiglio che esce allo scoperto dalle pagine di Tescaroli con una dose di inquietudine che a me, ripeto, toglie il sonno. Tra le tante pagine che Tescaroli e Pinotti dedicano a Berlusconi, frutto di testimonianze note da tempo in processi di personaggi noti e che comunque (va sottolineato) non hanno mai portato in aula di Tribunale Berlusconi e sono state tutte sdegnosamente negate, sono particolarmente inquietanti quelle di due personaggi che a me, come suppongo a molti di voi, non dicono assolutamente nulla: Salvatore Cucuzza e Tullio Cannella.

Del primo i due autori - a pagina 135 - ricordano le conferme che Cucuzza, collaboratore di giustizia, diede sulle “dazioni di Berlusconi prima a Bontate, poi a Teresi, infine a Pullarà (mafiosi n.d.r.)”.

Del secondo, anche lui collaboratore di giustizia, gli autori sottolineano attraverso i suoi ricordi e le confidenze del boss Leoluca Bagarella, gli accordi presunti tra Berlusconi (non l’entourage, si badi bene, ma proprio lui pare di capire) con gli uomini di Cosa Nostra, sottolineando che “l’accordo era stato coltivato dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano”, potenti boss del quartiere palermitano Brancaccio.

Ora non so voi, ma io per l’amore che porto per il mio Paese, come posso dormire serenamente apprendendo nuovi particolari su Contrada (che attualmente, a quanto mi risulta, trascorre le giornate in famiglia) e così tante pagine sulla figura di Berlusconi (che attualmente, a quanto mi risulta, cura per conto nostro gli interessi del popolo italiano e nei confronti del quale non nutro alcun pregiudizio visto che faccio il giornalista e non il politico)?

Obiettivamente, credo, che continuerò ad avere molte notti travagliate anche perché la figura di Tescaroli, servitore dello Stato ed eroe della lotta alla mafia, per me è al di sopra di ogni sospetto. Oltretutto non è un reazionario comunista, non mangia bambini, è unanimamente stimato e ammirato per la sua integrità morale e onestà intellettuale e, dunque, perché mai dovrebbe guastare la vita (sua e nostra) ponendo così tante volte l’accento su questi due personaggi?

Vi racconto un episodio che lui stesso, con pudicizia, narra nel libro. Quella volta che - concedendosi una giornata al mare - fu salvato da morte sicura dalla scorta che sparò contro chi gli stava per togliere la vita.

Di quelle ore in una spiaggia al confine tra Basilicata e Calabria sapevano solo in due: Tescaroli e la sua fidanzata. Strana la vita no: lo sapeva anche Cosa Nostra. Ah, piccolo particolare: la talpa non poteva essere la fidanzata, visto che poi Tescaroli l’ha sposata e sono ancora coniugati. Sotto scorta.

roberto.galullo@ilsole24ore.com


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