Caparezza e le sue canzoni: "Nessuna razza", "l’età dei figuranti", "io diventerò qualcuno" ... le "dimensioni del mio caos".

MICHELE SALVEMINI, IN ARTE "CAPAREZZA". Quello che ho cercato di dire nella Ninna Nanna di Mazzarò: non addormentiamoci, rimaniamo svegli, vigili, critici, non facciamoci fottere da Mazzarò. Un’intervista di Stefania Scateni - a cura di Federico La Sala

mercoledì 20 maggio 2009.
 

Il mondo Caparezza e le sue canzoni

di Stefania Scateni *

Mescola Alessandro Manzoni e Alvaro Vitali, Andy Warhol e “Il mago di OZ”, i videogiochi e i libri di storia, perché «non sono un secchione e tutto fa parte della vita» e ha Zappa («il dio pagano della musica») nel cuore. Testi «politici», e anche esistenziali, ironici incazzati e controcorrente nei quali si ritrovano tanti ragazzi e altrettanti adulti. Michele Salvemini, in arte Caparezza, ha seminato ottimi rap e uno spiccato senso dell’intrattenimento e ha raccolto un successo crescente.

Un recente disco d’oro (Le dimensioni del mio caos) con un tour da tutto esaurito terminato da poche settimane e un nuovo tour in preparazione, un popolo di estimatori e appassionati che va dai 10 ai 99 anni. Non contano «soltanto» la qualità della sua musica e dei suoi testi, la passione messa nella sua arte, la capacità di trasformare ogni concerto in un grande teatro musicale che dà voce ai pensieri della gente e alle sue domande.

Per capire il successo trasversale di Caparezza c’è da prendere in considerazione un ulteriore perché. Ce lo dice lui: «Il perché è nella mia canzone La mia parte intollerante quando dico “ho un progetto in mente / rimanere adolescente”. Per adolescente intendo mantenere sempre uno spirito critico, non buttarsi nel mondo che cambia subendo passivamente tutto, ma avere la possibiltà di criticare sempre tutto. L’esercizio della critica rende non dico giovani ma almeno senza un’età. E fa bene alla comunità. Nulla cambia o peggiora il paese più del disimpegno e dell’indifferenza nei confronti di ciò che accade». «Meglio depressi che stronzi del tipo “me ne fotto”, quindi (citando ancora La mia parte intollerante).

Caparezza - classe 1974 - ha il gusto della critica e il vizio dello scrivere. Deve dire quello che ha in testa, deve dire quello che gli sta sullo stomaco. Ne ha bisogno. «Sto preparando il prossimo tour, doveva finire tutto a marzo però questo album è longevo, un po’ troppo per i miei gusti. Fino ad agosto poi basta perché ho bisogno di scrivere altri testi», confessa.

Nel frattempo, però, signor Rezza Capa, perché non aggiorna il testo di qualche sua canzone? Ha visto i nuovi avvenimenti politici in Italia, le ronde, i migranti rispediti d’imperio in Libia... Cosa aggiungerebbe per esempio a «Nessuna razza», scritta ormai nel lontano 2003?«La situazione è molto peggiorata. C’è un grande deficit culturale, forse di tutto l’Occidente, i sentimenti xenofobi sono esasperati, l’Italia sta diventando sempre più conservatrice, sino a un livello estremo, tanto che oggi il capro espiatorio dei mali della società è diventato il diverso. È aumentata la paura dell’altro, si demonizza l’altro e si arriva a proporre i posti a sedere in tram per i milanesi. Quando sento queste cose mi sembra di essere catapultato indietro a decine e decine di anni fa, mi ritrovo in un’atmosfera simile a quella che ha generato i grandi regimi. Non è positivo. A Nessuna razza aggiungerei anche che scientificamente l’uomo non ha una razza come gli animali. Le differenze che abbiamo tra noi sono frutto di adattamenti realizzati nel corso dei millenni. L’uomo ha una sola razza, la razza umana. È scientificamente provato. Sto facendo il brillante, ma non lo dico io, l’ho letto su Focus». GUARDA IL VIDEO DI "NESSUNA RAZZA"

Forse suona più autorevole dire averlo letto su «Science»...«Sì, è meglio».

Un’altra canzone, «L’età dei figuranti»...«L’età dei figuranti è già qui, perché i figuranti si occupano di politica. Se avessero una passione per la cosa pubblica non mi farebbe effetto; vedo invece persone che aspirano alla politica perché non hanno niente da fare o hanno una carriera di figurante andata a rotoli. Se poi a questo si aggiunge il trucco, cioè il voler essere sempre profumati e belli per dare una bella immagine di sé, ecco che mi torna la sensazione di essere scaraventato nel passato di cui sopra. L’età dei figuranti è qui e in qualche modo ci governa. E chi non è figurante deve farci per forza i conti: i figuranti li ritrovi anche nei programmi tv di approfondimento: vedi Tizi e Cai che non hai mai visto in vita tua perché non guardi i reality, poi scopri che sono scarti della Talpa o del Grande Fratello, e stanno lì come opinionisti. Ti senti fuori dal mondo e anche in trappola». GUARDA IL VIDEO DE "L’ETA’ DEI FIGURANTI"

Facciamoci del male: «Io diventerò qualcuno». «Questa è una canzone lungimirante. Quando l’ho scritta ho immaginato che tutti i partecipanti ai reality show sarebbero confluiti in un grande partito, il partito dei qualcunisti. Non qualunquisti, qualcunisti. Ho pensato al fronte dell’uomo qualunque nato nel dopoguerra, che si proponeva di tutelare le persone al di fuori del partitismo. E ho immaginato che nell’odierno clima di antipolitica potesse tornare il fronte dell’uomo qualunque. Poi ho capito che non sarebbe stato possibile: oggi nessuno vuole essere un “qualunque”, anche il più qualunque dei qualunqui vorrebbe essere qualcuno, farebbe qualsiasi cosa pur di diventarlo. Quando in un servizio del tg vedo le persone che stanno sullo sfondo che si sporgono da dietro il giornalista e salutano alla telecamera penso che noi siamo governati da quelli che si sporgono. Oggi contano quelli che salutano». GUARDA IL VIDEO DE "IO DIVENTERO’ QUALCUNO"

«Prof, il ventennio pimpamelo: scrivi che i partigiani quel tempo lo vissero di relax in pedalò, piedi nudi nei sabot; 25 aprile giorno dei caduti di Salò». Passiamo ora alla cultura: «Pimpami la storia». «È un pezzo sul revisionismo, ormai allo stato puro. Ogni 25 aprile e negli altri giorni dell’anno, l’onore che si rievocava è stato trasformato in pietà perché è politicamente più corretto: la pietà va a tutti, l’onore no. Oggi c’è anche il negazionismo, non solo quello riferito alla Shoah, ma il “negazionismo quotidiano”. Ovvero, il negare l’evidenza. Si fa una cosa e subito dopo si dice che non la si è fatta. Così vale aver detto che non si è fatta quella cosa e l’averla fatta non vale più niente. Do un calcio a una persona, lo vedono tutti, cinque minuti dopo dico che non è vero, che non l’ho mai dato e per tutti vale la mia versione».

Qualche ritocco a «La rivoluzione del Sessintutto» pensando alla vicenda di Noemi Letizia? «Per come sono fatto, per come la penso, quest’ultima vicenda di Berlusconi è quella che, di tutto ciò che ha fatto in questi anni, mi scandalizza di meno. Trovo paradossale che ci si scandalizzi solo per una storia di questo tipo e non per le leggi fin qui fatte dal governo sul lavoro, la giustizia, la guerra, la vita e la morte. Perché la gente si scandalizza per la diciottenne e non si è scandalizzata per come Berlusconi ha toccato e cambiato le esistenze concrete di tutti? Mi sembra di vivere nel paese dello spioncino, cioè del Grande Fratello. Alla fin fine mi scandalizza anche che una ragazza sia felice e contenta di festeggiare il suo compleanno tra le Mercedes e i collier».

Lei scrive rap di grande qualità. I suoi modelli letterari? «Non riesco a capire quali, mi avvicino alle cose in maniera bizzarra. Per le Verità Supposte, per esempio, mi sono interessato alla Scapigliatura ma per ragioni esclusivamente tricologiche e ho scoperto cose interessanti. Arrigo Boito scriveva testi molto simili alle costruzioni metriche del rap. C’è una sua poesia che si intitola Re orso e che dice “Re Orso / Ti schermi / Dal morso / De’ vermi”: che potrebbe essere tranquillamente un verso di un mio pezzo. La poesia è una canzone rap mancata è una specie di opera che sembra decifitare di un sostegno musicale, perché ha la musicalità in sé ma non viene insegnata a scuola, non viene percepita. La metrica è un elemento della musica. Di là mi sono appassionato alla poesia in genere e sempre in maniera disordinata, non da secchione, che non sono mai stato. A scuola ero abbastanza assente, c’ero ma assente, tanto che nessun professore si ricorda di me. Eppure sedevo al primo banco ed ero alto. Ho imparato dopo. E le citazioni colte che metto nei miei pezzi sono sempre accompagnate da altre pop, mescolo Manzoni e Alvaro Vitali perché tutto fa parte della vita. Mi piacciono i Promessi Sposi, di cui mi appassiona non tanto la soap opera di Renzo e Lucia ma il mondo che racconta, il periodo storico, la peste. E leggo saggistica».

Da cosa trae ispirazione e come nasce un suo pezzo?«Quando mi viene in mente una canzone vedo un’immagine, non sento la musica, immagino una situazione. Come stare in un cinema, vedere una scena e pensare alla colonna sonora di quella scena. Per me la musica è questo, un’atmosfera da tradurre. Ormai ho il vizio di scrivere quando faccio una riflessione, quando c’è qualcosa che non mi va e ho sempre ben presente la mia nemica principale, la retorica. Se voglio parlare delle Grandi opere devo stare attento a non parlarne come farebbe chiunque. Allora mi viene in mente di fare qualcosa di maestoso e di goliardico. Mi aiuta molto l’ironia. Mi piace, l’ho sempre seguita, da Petrolini in poi: tutto quello che è stato dissacrante nel mondo della musica è quello più interessante. Sebbene possa risultare anche noioso quando parlo di certi argomenti, cerco non di sdrammatizzarle ma di drammatizzarle ironicamente. Di schiaffarle in faccia in modo che ci si possa ridere su, non prendermi sul serio, evitare di essere il messia che non sono perché dico le cose che tutti sanno».

«Eroe», è l’unica canzone nelle «Dimensioni del mio caos» dove non c’è ironia...«Sì, lì non c’è. È stato il pezzo più difficile da scrivere del disco. Non ce l’ho fatta a mettere ironia parlando del problema più grande che abbiamo, la situazione lavorativa, talmente precaria che non mi permetteva di riderne. Ma non volevo nemmeno commuovere, volevo raccontare la storia di un uomo x, con una vita x e dei sogni x. L’epicità del pezzo è legata all’epica western perché mi sono ispirato a mio padre, che ha fatto l’operaio per tanti anni e che quando era giovane aveva nei cowboy del Far West i suoi eroi. Ha costruito questo parlallelismo tra l’eroe di altri tempi e quello di oggi per parlare di bisogni infranti, perché Luigi delle Bicocche sognava di viaggiare come fa Dennis Hopper in Easy Rider e invece si ritrova a fare l’operaio».

Trova interessante o noioso essere di sinistra? «Mi viene in mente una differenza costituzionale tra destra e sinistra: a destra non si mette mai in discussione il leader mentre nella sinistra il leader viene bacchettato in continuazione. la sinistra è un popolo inquieto mentre quelli di destra hanno una venerazione per il capo, anche quando si comporta in maniera indifendibile sono tutti lì a giustificarlo. A sinistra in fondo ci sono i disobbedienti, a destra gli obbedienti. non mi sento rappresentato da nessun partito della sinistra. per le idee che ho trovo asilo politico in questa area perché sei costretto dal bipolarismo che non ti permette di prendere in considerazione oltre che la destra e la sinistra anche il sopra, il sotto o l’obliquo. appare tutto marcato, anche se non lo è. spero che ci possa essere nel futuro almeno un partito che difenda il laicismo. Almeno questo. parlandop a tutti senza aver paura di perdere i voti di chi è accecato dalla propria religione. la laicità è un valore assoluto. chi aderisce alla propria religione faccia le sue scelte ma non le imponga a tutti, non impedisca agli altri di fare le proprie».

C’è la sinistra in Italia?«Dalle persone che sento e che incontro direi di sì. Forse non c’è una sinistra rappresentata, forse non esiste una vera alternativa marcata e diversa. Essere moderati spesso non porta da nessuna parte. In Italia tutti sono moderati ma non ne ho ancora visto nessuno che lo sia veramente. Si usa questo termine a sproposito».

Deluso da Vendola?«Sul fronte ambientale come dicevano TozziMorandiRuggeri si può fare di più. Non ho seguito molto la politica regionale. Ho appoggiato Vendola ai tempi del duello con Fitto, poi mi sono stancato e staccato dal concetto di partitismo e ho deciso di andare per la mia strada cercando di parlare dei problemi tangibili e trovare delle soluzioni tangibili. Ideologia. Abbiamo paura di questa parola, ma è proprio giusto buttarla via se poi ci rimane solo l’affare? L’interesse privato non è di destra né di sinistra. Comunque io sono solo un cantante, faccio osservazioni come lo fa un uomo qualunque».

Mi scusi signor Rezza Capa, ma lei non è proprio un uomo qualunque... «So che ci sono tantissime persone che mi sostengono e che mi permettono di fare un lavoro che amo. Ma quando scrivo non ci devo pensare. Ho bisogno di scrivere per me e nel processo creativo mi sento sempre l’uomo che osserva le cose, che cerca di non addormentarsi. È quello che ho cercato di dire nella Ninna Nanna di Mazzarò: non addormentiamoci, rimaniamo svegli, vigili, critici, non facciamoci fottere da Mazzarò».

Finiamo in bellezza: Frank Zappa...«L’ho scoperto tardi, ne sentivo sempre parlare, era quasi materiale inconscio. Posseggo in maniera inspiegabile da quando ero piccolo un poster di Antonello Venditti che cammina per le strade americane. Tra i poster e i cartelloni che si vedono sui muri di queste strade ce n’è uno con su scritto “tonight Zappa” e non so perché da piccolo non guardavo Venditti ma quel manifesto. Tanto è vero che l’ho ritagliato e l’ho sistemato al centro del poster. ce l’ho dal 2001. poi è successo che quando ho registrato le verità supposte a casa di Carlo Rossi, c’era un libro di Zappa e ho cominciato a leggerlo e mi sono innamorato di Zappa, ho letto la biografia di Jerry Miles, ho comprato tutti i cd, ho visto i filmati dei suoi concerti e mi sono reso conto che è un personaggio inarrivabile e che in lui trovavo quello che stavo cercando faticosamente nei miei concerti perché le aveva già fatte, per me rappresenta qualcosa d’altro, è un artista altro, anarchico nel senso creativo, dissacrante, goliardico, aveva bene idea di cosa fosse l’intrattenimento. musicalmente non ho granché da spartire con lui perché lui faceva musica alta era tecnico, ma il suo approccio sì. C’era una vaga somiglianza fisica tra me e lui e poi lo guardavo e pur essendo etero mi attraeva. Anche questa attrazione mi ha portato a scoprire sempre di più. Il primo album dei Mothers è stato il primo concept, ha forse fatto il primo doppio, ha fatto un sacco di cose per primo. E mi sono appassionato al filone della musica a cavallo dei 60 e 70. Dal Giardino dei Semplici agli Alunni del Sole, poi i Led Zeppelin. Zappa è un dio della musica un dio pagano e anarchico della musica».

* l’Unità, 20 maggio 2009


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