Nella polemica dell’Arcivescovo di Reggio Calabria Giuseppe Fiorini Morosini. Ecco perché. Abbiamo letto con stupore sempre crescente il contenuto della lettera aperta che l’Arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini ha voluto indirizzare al Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri.
Il nostro stupore si giustifica per una serie di ragioni che cercheremo di esplicitare qui di seguito. Intanto, colpiscono i toni accesi, forti, spigolosi - diremmo violenti - di tutto lo Scritto e ciò sotto due diversi profili.
Il primo relativo alle dichiarazioni, alle asserzioni ivi contenute. Vi si trovano, infatti, ragionamenti che poggiano su premesse indubitabilmente errate, sbagliate, ma che - pur tuttavia - vengono riportate ed espresse (diremmo: urlate) con la sicurezza mediante la quale si è soliti esprimere un dogma. Ad esempio, l’Arcivescovo - sin dalle prime righe - riferisce che Nicola Gratteri avrebbe indicato la Chiesa come “unica responsabile” (e vale sottolineare l’attributo “unica”!), che Nicola Gratteri non avrebbe esplicitato il “benché minimo accenno all’azione positiva di lotta da parte di vescovi, sacerdoti e dell’intera comunità cristiana”, che Nicola Gratteri “non offre riferimenti a inchieste giudiziarie” dove vi sia il coinvolgimento di uomini della Chiesa.
Il secondo profilo cui facevamo cenno - per giustificare la nostra osservazione secondo cui i toni usati appaiono forti e decisamente fuori misura - è relativo alle considerazioni che Monsignor Fiorini Morosini fa scaturire dalle medesime premesse. Vi si trovano, invero - nello stesso Scritto di Monsignor Fiorini Morosini - delle improbabili incursioni nella sfera delle motivazioni che avrebbero portato Nicola Gratteri ad esternare queste riflessioni. Improbabili anche perché naturalmente - e trattandosi, evidentemente, di processi interiori - appare abbastanza velleitaria la pretesa di individuarne ed isolarne con tanta sicumera, con tanta presunzione, le motivazioni tout court. Ebbene - nonostante queste evidenze “strutturali” della mente umana - l’Arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini si spinge molto avanti. E così, afferma perentoriamente che Nicola Gratteri - “gettando discredito sulla Chiesa” - mirerebbe a “strappare qualche applauso”, che Nicola Gratteri avrebbe “interpretato secondo i suoi comodi” un passaggio di un’Omelia, che Nicola Gratteri “preferisce gettare fango su tutti i sacerdoti” (e vale sottolineare il verbo “preferisce” ed il pronome “tutti”!), che Nicola Gratteri avrebbe realizzato un “tiro al bersaglio” verso lo stesso Arcivescovo, non dimenticando, infine, di accusare lo stesso Magistrato di mistificare la realtà e, vieppiù, questa accusa viene portata con la tecnica delle affermazioni indirette ovvero quelle affermazioni che lasciano intendere il contrario ed, infatti, vi si legge la esplicita esortazione a “riportare contestualmente tutte le espressioni di elogio ...” come se, insomma, ci fosse stato un abile e strumentale occultamento di parte della realtà. Orbene, la prima osservazione vera e propria che ci sentiamo di esplicitare è la seguente: ma l’Arcivescovo di Reggio Calabria ha letto il Libro “Acqua santissima” del Giudice Nicola Gratteri e del Prof. Antonio Nicaso? Lo ha letto o si è limitato a leggere - qua e la! - qualche resoconto giornalistico o semigiornalistico relativo ad una dichiarazione di Nicola Gratteri?
Senza tema di essere smentiti ci sentiamo di dire che Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro di Nicola Gratteri e di Antonio Nicaso.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe appurato che Nicola Gratteri (così come il Prof. Antonio Nicaso) non ritiene - e come potrebbe! - la Chiesa “unica” responsabile della forza della ‘ndrangheta. Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti vi avrebbe trovato numerosi riferimenti a sacerdoti, prelati ed associazioni laiche che si sono battuti e si battono contro la criminalità organizzata. La lista di nomi citati positivamente da Nicola Gratteri è lunga, variegata e completa (c’è anche Sua Eccellenza Fiorini Morosini!) ed, in questa sede, sembra opportuno citare anche qualcun altro di questi Prelati: Don Giuseppe Campisano (citato a pagina 53), Don Emanuele Maggioni (pagina 55), Monsignor Luigi Rienzo (pagina 57), il Vescovo Domenico Tarcisio Cortese (pagina 59), Don Pino Demasi (pagina 74), Don Edoardo Scordio (pagina 75), Don Giorgio Fallara (pagina 125), Padre Gaetano Catanoso (pagina 127), Don Natale Bianchi (pagina 135), eccetera, eccetera, eccetera!
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe rilevato che ci sono due Capitoli intitolati “I preti del coraggio” ed “I preti della denuncia”.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe compreso che l’analisi di Nicola Gratteri e di Antonio Nicaso è relativa a due secoli e non solo al periodo contemporaneo.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti non avrebbe detto che Nicola Gratteri “non offre riferimenti a inchieste giudiziarie” e ciò poiché, chi lo ha letto, sa benissimo che nel Libro si trovano precisi, puntuali e chiarissimi riferimenti a tante inchieste giudiziarie ed ai relativi coinvolgimenti di molti sacerdoti. Anche qui la lista è lunghissima e ci sembra opportuno citare solo qualche nome -come quello di Don Giuseppe Giovinazzo (citato a pagina 5), Don Nicola Politi (pagina 99), Don Antonio Esposito “il prete con la pistola” (pagina 105), Don Giovanni Stilo (pagina 109), Don Carmelo Memè Ascone (pagina 113), Don Antonio Scordo (pagina 117), Suor Mimma Rizzo (pagina 117), Don Salvatore Santaguida (pagina 120) - per poi rimandare direttamente alla lettura del Libro.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe visto quanti prelati si trovano citati nella pagina dedicati ai ringraziamenti. Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe letto che è proprio un Suo “Collega” - Monsignor Giuseppe Agostino, Arcivescovo di Crotone - che, in una famosa Lettera inviata ai parroci afferma testualmente: “non possiamo nasconderci che ... ancora nel presente, dentro i comitati di festa e tra i portantini ... vi siano persone ... appartenenti a organizzazioni mafiose”. Insomma, sono le situazioni che conferiscono alla ‘ndrangheta quel prestigio, quell’alone di potenza, quell’adesione di cui si nutre e di cui si avvantaggia nella sua sinistra “attività”. Ecco, ad esempio, uno dei possibili significati dell’espressione “’ndrangheta e Chiesa camminano per mano”.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe visto - sin dalla nutrita Bibliografia - quanti studiosi, giornalisti, criminologi, scrittori (oltre a Nicola Gratteri) si sono occupati dei rapporti tra malavita e Chiesa e quanti di essi hanno posto l’accento sulle storiche “connivenze” tout court della Chiesa. Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe letto i riferimenti al grandissimo e prezioso contributo che si auspica possa portare Papa Francesco.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe letto di alcuni passaggi che riportano termini elogiativi nei Suoi confronti. Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe trovato la fonte cui Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso hanno attinto la citazione che Lo riguarda e che tanto ha infastidito l’Arcivescovo di Reggio Calabria. Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro perché altrimenti avrebbe rilevato tanti altri elementi che contraddicono - in maniera pesante - le Sue dichiarazioni, i Suoi assunti.
Monsignor Fiorini Morosini non ha letto il Libro. Punto! E non che ne fosse tenuto. Solo che prima di “pontificare” (“arcivescovizzare” non sembrava il termine più indicato) ci si sarebbe aspettati un quid in più, sembrerebbe infatti buona norma informarsi, verificare, conoscere, valutare. Anche perché una intervista (ci riferiamo a quella di Gratteri dall’Arcivescovo presa a spunto della polemica) è solo un momento esplicativo che (quello si!) può essere facilmente decontestualizzato e, quindi, equivocato. Niente, l’Arcivescovo ha aperto il “fuoco” così, alla cieca, senza sapere. E lo ha fatto contro Nicola Gratteri, un Magistrato universalmente riconosciuto come uno dei pochi e sicuri baluardi, contro il malaffare, presenti in Calabria! Ecco da questa osservazione nasce la domanda più pressante, più stringente, più significativa. Era proprio il caso di scagliarsi contro Nicola Gratteri. Si, era proprio il caso di scagliarsi contro di Lui che è visto come “fumo negli occhi” da qualsiasi affiliato alla ‘ndrangheta, da qualsiasi “cretino di mafia” (così come li chiama Lui certi personaggi marginali all’organizzazione mafiosa)? Lui che è visto come un pericolo vero, serio, reale, da tutte le organizzazioni criminali sparse per il Globo?
A noi è sembrata una difesa quasi d’ufficio. Una difesa corporativa di una entità che ultimamente è interessata - come detto - da una profonda revisione ad opera di Papa Francesco. Una profonda revisione che - logicamente ed anche senza una eventuale conoscenza diretta - lascia intendere l’esistenza di una parte da abolire, annullare, tagliare, escludere. Una parte che - proprio perché da abolire, da annullare, da tagliare, da escludere - non è, evidentemente, connotata dalle caratteristiche cristiane che si ritrovano nei Vangeli. Ed è proprio una parte di quella parte da riformare che è oggetto dell’indagine editoriale di Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso! Ecco tutto!
Peraltro, riteniamo anche che, forse - se proprio si doveva pubblicare una siffatta memoria - era il caso di confrontarsi a quattr’occhi con Nicola Gratteri, era il caso di valutare insieme a Lui, era il caso magari di “scazzarsi”, di urlare in privato con Lui e, caso mai, di ottenere una eventuale precisazione in ordine a qualche dichiarazione che era sembrata non chiarissima. Precisazione che a noi però non sembra necessaria. A noi pare, infatti, che Nicola Gratteri sia stato sempre molto chiaro (basta conoscere la Sua storia di Magistrato e leggere i Suoi Libri per rendersene conto) ma non pare dubbio che un confronto privato sarebbe stato estremamente salutare e positivo.
In questo modo, con queste modalità si è invece accesa la miccia di una polemica che farà piacere soprattutto alla ‘ndrangheta e ciò per almeno due motivi. Il primo è che Gratteri è un fierissimo nemico della malavita e qualsiasi attacco può servire a quella nefasta “causa”. Il secondo è che - nella logica ‘ndranghetistica - è meglio che l’Arcivescovo ed il Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria stiano divisi e separati nella Loro lotta alla criminalità organizzata.
Dal nostro punto di vista, per altro verso, registriamo anche un altro aspetto alquanto imbarazzante, ma di carattere più generale.
Vogliamo dire che, tranne rarissime eccezioni, non ci è sembrato che le Istituzioni, l’Intellighenzia, il Popolo, i “soloni” dell’antimafia abbiano tanta voglia di prendere posizione in ordine a questa Vicenda. Tutti abbastanza estranei, qualche dotta precisazione sul “perdono” (ma che c’entra?) e poco altro.
Ecco, questa ci sembra un’altra carenza endemica della nostra amata Calabria. Nessuno prende posizione, tutti a nascondersi e, magari, a dar ragione nascostamente all’uno od all’altro dei protagonisti. Questa è la triste ed amara realtà.
E questo succede solamente quando a “confrontarsi” sono due Personaggi lontani dalla politica. Si, perché in quel caso - se a contendere fossero due antagonisti politici - il fiato alle trombe sarebbe assicurato dagli interventi della parte avversaria. Fiato alle trombe finalizzato alla conservazione e/o all’acquisizione dei voti, alla formazione del convincimento dell’elettorato.
Quando, invece, si discute di questione spinose - ma magari di grandissima importanza per il futuro della Regione - dove è meglio “tenersi al largo”, dove è meglio (!) “tenersi lontano”, immancabilmente ci si “tiene al largo”, ci si “tiene lontano”.
Insomma, appare innegabile che esiste la tendenza al calcolo utilitaristico circa la convenienza o meno di un eventuale intervento. E nella stragrande maggioranza dei casi si sceglie si stare zitti per mera convenienza. Ci si dimentica o, meglio, non si è affatto interessati al Principio, all’Idea, all’Ideale che sottende alla eventuale contrapposizione. Meglio rimanere neutrali! Questa è la “consegna” imperante in Calabra!
Salvo - come detto - nella contrapposizione politica. Lì si deve fare presa sull’elettorato. Si mira ai voti. Ed allora si interviene spesso e si interviene a sproposito ed anche in polemiche di nessuna utilità per il territorio e per la gente!
Se ci fosse stata la politica a far da sfondo, insomma, allora avremmo visto pletore di difensori d’ufficio di questa o di quella posizione. Come dire? Forse in Calabria la polemica esiste solo “su letto di politica” e solo su quello, un po’ come “storione su letto di patate” se ci è consentita una piccola similitudine di ordine gastronomico.
Queste sono le motivazioni per le quali riteniamo, come detto, di dover prendere posizione in questa Vicenda e riteniamo di prendere ferma posizione a favore di Nicola Gratteri. Troviamo, infatti, abbastanza gratuito l’intervento di Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini.
Ci pare opportuno - a questo punto - ricordare che ROMA ART MEETING è una realtà, una bella realtà romana, formata da tanti calabresi che occupano i “posti di comando” di questa Organizzazione che ha alle basi una Cultura profondamente Cristiana a partire dal sottoscritto Presidente che è stato organico all’Aziona Cattolica, catechista, educatore ACR, obiettore di coscienza presso il Don Orione, i cui figli frequentano scuole cattoliche della capitale. Diciamo questo per segnalare la nostra “matrice cattolica” e per evidenziare che non proveniamo da mondi ostili al clero. Tutt’altro. Ed è proprio da questa posizione di appartenenza alla Chiesa tout court e da questo osservatorio privilegiato che partiamo per affermare la nostra posizione a favore di Nicola Gratteri.
A noi pare che Nicola Gratteri abbia raccontato delle situazione, delle circostanze, dei fatti che sono ampiamente noti a tutti, che tutti conoscono, che sono accaduti ed accadono sotto gli occhi di tutti, che tutti - almeno una volta nella vita - hanno raccontato o sentito raccontare. Il problema è che queste cose a noi Calabresi - soprattutto a quelli che occupano posizioni di preminenza pubblica - piace raccontarcele in segreto, al chiuso di qualche stanza, lontano da occhi ed orecchie indiscrete. Quando vengono dette apertamente, chiaramente, inequivocabilmente, restiamo turbati, ci scandalizziamo, in maniera pubblica - se ci riguardano direttamente - oppure, più facilmente e più comunemente, dissertiamo al chiuso di una stanza, lontano da occhi ed orecchie indiscrete, se riguardano personaggi e situazioni che non toccano direttamente i nostri piccoli interessi di “bottega”.
Ecco questo mi sembra una situazione, un passaggio da indagare maggiormente a livello sociologico ma anche a livello psicologico individuale. Perché scandalizzarsi, puramente e semplicemente, senza effetti concreti, è anche passato di moda. Basta! Occorre avere il coraggio di dire “pane al pane, vino al vino” o di “dare a Cesare ciò che è di Cesare” o - se preferisce l’Arcivescovo - è ora di riconoscere tutti questi “sepolcri imbiancati” ed emarginarli nettamente dai posti di comando della Chiesa. Emarginarli prima che siano causa di ulteriori danni. Questa è la verità! Questa è la banalissima verità! Questa è la verità “rivelata” da Nicola Gratteri.
Scandalizzarsi e gridare alla lesa maestà è - secondo noi - un mero esercizio di stile, un controproducente esercizio accademico che nulla apporta alla vera lotta, alla lotta alla ‘ndrangheta. Tutt’altro!
Dal punto di vista più squisitamente giuridico (chiediamo scusa in anticipo per questa divagazione professionale) non si può non rilevare anche come tantissimi comportamenti che - secondo il comune sentire - hanno connotazione negativa, sono invece irrilevanti dal punto di vista penale. Ci riferiamo all’atto di offrire il caffè la bar al boss della città, all’ammissione ai sacramenti di spietati assassini che spesso sono padrini nei battesimi, all’invito a cena del capobastone, alla recita di omelie a favore di soggetti notoriamente affiliati alle cosche. Ebbene, questi atti, questi comportamenti, non sono rilevanti dal punto di vista del diritto penale ma - ciò nonostante - non v’è chi non veda come costituiscano linfa vitale o, meglio, humus venefico su cui prospera la “mala pianta” che attanaglia il meridione. Non c’è dubbio, insomma, che - sotto questo profilo - la Chiesa ha concorso a dare prestigio e posizioni di preminenza agli affiliati alla ‘ndrangheta.
Alla luce di queste ultime considerazioni, vieppiù, non si capisce come mai Monsignor Fiorini Morosini si lagni del fatto che Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso pongano l’attenzione su questi comportamenti, su questi atteggiamenti. E c’è di più, perché secondo noi porre l’accento su queste evidenze è anche molto didattico, molto propositivo e ciò poiché queste stesse osservazioni, questi racconti, appaiono finalizzati ad individuare un problema, ad indicare una situazione, a porre la questione. Ed è abbastanza noto che individuare un problema, indicare una situazione, porre la questione, costituiscono quella fase prodromica necessaria al raggiungimento della soluzione. Ecco perché siamo con Nicola Gratteri, ecco perché ci meravigliamo dell’uscita dell’Arcivescovo di Reggio Calabria e ciò anche perché essa - come detto - potrebbe essere strumentalizzata ed usata artamente a favore della ‘ndrangheta.
Questa è la nostra posizione. Siamo con Nicola Gratteri. Anche questa volta!
Avv. Domenico Monteleone
(Presidente Roma Art Meeting)
CHIESA COLLUSA CON LA ‘NDRANGHETA? LE POLEMICHE DOPO LE PAROLE DEL PM GRATTERI *
37401. REGGIO CALABRIA-ADISTA. Polemica a mezzo stampa fra magistrati e vescovi calabresi. Da una parte il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri (autore, con Antonio Nicasio, del fresco di stampa Acqua santissima. La Chiesa e la ’ndrangheta: storia di potere, silenzi e assoluzioni, Mondadori), che accusa la Chiesa di omissioni e talvolta collusioni con la ‘ndrangheta, puntando il dito anche contro alcuni vescovi tradizionalmente in prima fila nella lotta e nella denuncia delle organizzazioni mafiose, fra cui mons. Giancarlo Bregantini, già vescovo di Locri, ora a Campobasso. Dall’altro lato mons. Giuseppe Fiorini Morosini, successore di Bregantini a Locri e ora vescovo di Reggio Calabria, che risponde per le rime, accusando Gratteri di aver cercato l’applauso facile «gettando discredito sulla Chiesa». Il risultato complessivo è una polemica tanto violenta quanto inutile, che contribuisce solo a dividere ulteriormente un fronte antimafia, perlomeno in Calabria, già piuttosto diviso.
A dare fuoco alle polveri è Gratteri, con un’intervista al Fatto quotidiano (13/11), nella quale, dopo aver avanzato l’ipotesi che papa Francesco potrebbe essere nel mirino delle cosche per la sua opera di pulizia finanziaria all’interno del Vaticano, entra nel merito delle relazioni fra Chiesa e ‘ndrangheta. «Faccio il magistrato da 26 anni - dice - e non trovo covo dove manchi un’immagine della Madonna di Polsi o di San Michele Arcangelo. Non c’è rito di affiliazione che non richiami la religione. ‘Ndrangheta e Chiesa camminano per mano». E poi si lancia in alcuni esempi recenti: «Il vescovo di Reggio Calabria (mons. Morosini, che rimanda subito al mittente l’accusa: Gratteri «mi dica la fonte di questa sua gravissima accusa», ndr), anche dopo la condanna in Cassazione di un capobastone, ha detto che non poteva schierarsi perché magari si trattava di un errore giudiziario. Il vescovo di Locri (mons. Bregantini, ndr) ha sì scomunicato i mafiosi, ma solamente dopo che avevano danneggiato le piantine di frutti di bosco della comunità ecclesiastica di Platì. Solo che prima di quell’episodio, i boss avevano ammazzato migliaia di persone. Bisogna aspettare le piantine perché i prelati si sveglino?». E ancora: «Qualche anno fa la figlia di Condello il Supremo si è sposata nel duomo di Reggio Calabria. È arrivata pure la benedizione papale. A Roma potevano non conoscere il clan, ma in Calabria tutti sanno chi sono i Condello. Eppure nessuno ha fiatato. I preti, poi, vanno di continuo a casa dei boss a bere il caffè, regalando loro forza e legittimazione popolare. Alcuni dicono che frequentano i mafiosi perché devono redimere tutte le anime, senza discriminare. Capirei se la Chiesa accogliesse chi si pente davvero, ma così è troppo facile: continui a uccidere, a importare cocaina, a tenere soggiogata la gente e io, prete, ti do pure una mano».
Parole estremamente severe, in più di un caso fondate, come l’episodio del matrimonio di Caterina Condello e Daniele Ionetti, figli di due noti boss reggini (v. Adista n. 102/09) o come la vicinanza, di antica data, della ‘ndrangheta al santuario della Madonna di Polsi a San Luca in Aspromonte, spesso luogo di riunione dei capi-mafia (v. Adista Notizie n. 64/10); ma totalmente fuori bersaglio in altri, probabilmente frutto di una sintesi troppo superficiale e semplicistica, poco attenta alle distinzioni e all’impegno di tanti parroci e di tante realtà della Chiesa di base calabrese, impegnate sul fronte anti-‘ndrangheta. Come per esempio le accuse a mons. Bregantini, molto attivo contro la criminalità negli anni, dal 1994 al 2007, in cui è stato vescovo di Locri, dove ha anche dato vita ad un consorzio di cooperative sociali di lavoro, il Goel, finalizzate fra l’altro al recupero degli ‘ndranghetisti fuoriusciti. Tanto che l’episodio, richiamato da Gratteri, quello della scomunica ai mafiosi «solamente dopo che avevano danneggiato le piantine di frutti di bosco della comunità ecclesiastica di Platì» non è affatto isolato e si colloca all’interno di un percorso coerente di lotta alla ‘ndrangheta da parte del vescovo (e fra l’altro le piantine di frutti di bosco danneggiate non erano quelle «della comunità ecclesiastica di Platì», bensì quelle di due aziende agricole, “Frutti del sole” e “Agrisole” di Platì, che facevano parte del Consorzio Goel, v. Adista n. 53/02).
A Gratteri, con un lungo articolo pubblicato sul quotidiano L’Ora della Calabria (17/11), replica pochi giorni dopo mons. Morosini, respingendo ogni accusa - sia personale che generale, anche riportando parole di encomio pronunciate qualche hanno fa dal magistrato proprio nei suoi confronti - ma anch’egli senza distinguere, nella complessità ed eterogeneità che esiste nella Chiesa, i diversi atteggiamenti nei confronti delle mafie che vanno dalla denuncia senza tentennamenti ai silenzi più o meno colpevoli; e alzando un po’ troppo i toni, tanto più nei confronti di un magistrato molto esposto sul fronte del contrasto alla ‘ndrangheta. «Signor procuratore - scrive Morosini -, ho letto il suo ennesimo intervento a proposito dei rapporti Chiesa-mafia sui quali ama ritornare nei suoi interventi e pubblicazioni, offrendo all’opinione pubblica l’immagine di una Chiesa unica responsabile della ‘ndrangheta in Calabria». Ma «si ferma su indicazioni generiche: preti che vanno a prendere il caffè a casa dei mafiosi o che ricevono contributi per restauri di chiese. Lei, come un fiume in piena, travolge tutto al suo passaggio: il caso di un prete diventa la Chiesa. Eppure lei, come magistrato, ha un immenso potere investigativo e punitivo, inviando avvisi di garanzia, arrestando gli ecclesiastici che camminano tenendosi per mano con i mafiosi. No, preferisce gettare fango su tutti i sacerdoti, colpevoli solo di esercitare il loro ministero in Calabria». «Ma non si accorge di quale fango sta gettando sulla Chiesa? Tanto più sporco perché gettato da un uomo delle istituzioni qual è lei?», chiede Morosini, che poi conclude: «Signor procuratore, gettando discredito sulla Chiesa lei potrà strappare qualche applauso, ma non certo contribuire alla lotta comune contro quel male che lei chiama “la mala pianta”».
A riportare un po’ di equilibrio nella polemica è don Ennio Stamile, parroco di Cetraro (Cs), più volte oggetto di intimidazioni mafiose per il suo impegno anti-‘ndrangheta (v. Adista Notizie n. 5/12). «Non è corretto estendere alla Chiesa comportamenti che riguardano alcuni suoi membri, con l’elementare equazione consacrato=Chiesa», scrive il parroco sul Quotidiano della Calabria. «Se dovessimo applicare questo concetto anche alla magistratura», anche qui «dovremmo di conseguenza distinguere una magistratura “ammazza sentenze”, collusa e corrotta, da un’altra che invece compie il suo dovere fino in fondo, usque ad sanguinem». Piuttosto è vero «che membri dell’una e dell’altra a volte tradiscono con le loro devianze l’essere servitori dello Stato e figli e servi della Chiesa. Anche per tale motivo i padri della Chiesa hanno ribadito che essa è semper reformanda». (luca kocci)
* Adista Notizie n. 42 del 30/11/2013