CROTONE - Si nascondevano in un casolare perfettamente mimetizzato tra i boschi della Sila i due latitanti catturati dai Carabinieri del comando provinciale di Crotone e dello squadrone eliportato Cacciatori Calabria di Vibo Valentia. Si tratta di Cataldo Marincola, 47 anni, e Silvio Farao, 60 anni, entrambi di Cirò, ritenuti i capi - insieme a Giuseppe Farao - dell’omonima cosca della ‘ndranghita che da anni estende il suo dominio su gran parte della provincia di Crotone e sul versante ionico di quella cosentina.
Dopo una serie di appostamenti e osservazioni, i carabinieri hanno individuato il casolare nel quale i due uomini si erano barricati e dopo avere sfondato la porta hanno fatto irruzione. I due latitanti, comunque, non erano armati. Cataldo Marincola era stato scarcerato nel dicembre 2006, dopo avere scontato quasi 11 anni di reclusione, grazie ai benefici previsti da ben due indulti.
Marincola era rientrato a Cirò, ma quando nel successivo mese di febbraio i carabinieri sono andati a cercarlo per notificargli un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale di Milano per un residuo di pena di 1 anno, 5 mesi e 10 giorni di reclusione, l’uomo si era reso irreperibile.
Probabilmente temendo che stesse per diventare definitiva una condanna all’ergastolo che gli è stata inflitta nei mesi scorsi per l’omicidio di Mario Mirabile, ucciso a Corigliano Calabro nel 1990 o quella a 20 anni di reclusione che gli è stata inflitta nell’ambito del processo “Dust”con l’accusa di aver gestito un ingente traffico di stupefacenti tra le province di Crotone e Cosenza.
Anche su Silvio Farao pende una condanna all’ergastolo che gli è stata inflitta per l’omicidio Mirabile e che potrebbe diventare definitiva non appena la Cassazione si sarà pronunciata. Prima di fare perdere le sue tracce Silvio Farao era stato sottoposto agli arresti domiciliari dal Tribunale di Crotone per le ripetute violazioni della misura della sorveglianza speciale cui era sottoposto.
Dell’esistenza di una struttura criminale organizzata, gerarchizzata e complessa, hanno ampiamente parlato diversi collaboratori di giustizia soprattutto nell’ambito delle indagini “Galassia” ed “Eclissi” che risalgono alla metà degli anni Novanta, finché una sentenza della Corte di Cassazione, nel marzo 2003, ha riconosciuto il Locale di Cirò come un’associazione di tipo mafioso, condannandone i capi ed alcuni affiliati.
L’organizzazione, comunque, ha continuato ad operare, come dimostra anche la recente operazione “Bellerofonte” del 24 maggio 2007, nel suo tradizionale territorio compreso fra la fascia jonica cosentina e la parte nord della provincia di Crotone. Sono emersi, inoltre, rapporti di “buon vicinato” tra il locale di Cirò e le altre consorterie della provincia di Catanzaro e di Reggio Calabria.
Col tempo gli interessi del sodalizio cirotano hanno valicato i confini calabresi e recenti attività investigative hanno dimostrato la presenza di “affiliati” attivi in Umbria (come dimostra la recente operazione, condotta dal Ros dei Carabinieri denominata “Acroterium”), ma anche in Lombardia e Toscana.
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«In Calabria il negazionismo ha due facce»
di Emiliano Morrone*
Possiamo ripeterci che la Calabria è bellezza, incanto, magia; agricoltura, gastronomia, olio e vini eccellenti. Possiamo esaltare l’umanità, l’accoglienza e la generosità del suo popolo. Possiamo dirci dell’antica tradizione della nostra terra, delle fatiche, dei sacrifici e del talento di giuristi locali, medici, accademici, imprenditori e artigiani, emigrati o residenti. Possiamo compiacerci ricordando la scuola pitagorica di Crotone, l’utopismo di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, la carità di Francesco di Paola, i natali dello scrittore Corrado Alvaro, del “Nobel” Renato Dulbecco, dello stilista Gianni Versace o del filosofo Ermanno Bencivenga. A compendio possiamo sbandierare le origini calabresi di uno degli intellettuali più famosi, Gianni Vattimo, o di artisti come Steven Seagal, Raul Bova, Chick Corea e John Patitucci.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l’ultima regione d’Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la ’ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L’amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono. In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell’organizzazione criminale e l’adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l’economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l’odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti. Per battere la ’ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.
*Giornalista
‘NDRANGHETA: SI NASCONDEVANO NEL COSENTINO LATITANTI ARRESTATI
(AGI) - Crotone, 5 nov. - Erano nascosti in un casolare tra i boschi di Monte Nero, una localita’ nel comune di Aprigliano, nella Sila cosentina, i latitanti Cataldo Marincola e Silvio Farao, ritenuti a capo dell’omonima cosca di Ciro’, scovati l’altra notte dai carabinieri del comando provinciale di Crotone. L’edificio a due piani, che originariamente era di proprieta’ dell’Opera valorizzazione Sila, si trova vicino ad un gruppo di altre case tra i boschi di Aprigliano, una zona impervia di montagna alla quale si arriva da una strada sterrata. A rivelare i particolari della cattura di Marincola e Farao, nel corso di una conferenza stampa tenuta questa mattina, e’ stato il tenente colonnello Mario Conio, che guida i Carabinieri del comando provinciale di Crotone, il quale ha aggiunto che ora le indagini mirano proprio ad accertare chi abbia messo a disposizione dei due latitanti quell’abitazione e, dunque, a individuare la rete di fiancheggiatori e favoreggiatori della quale si avvalevano. Davanti al covo non c’erano autovetture ma in compenso il frigorifero era molto ben rifornito, persino di una torta che probabilmente a Silvio Farao, nato il 3 novembre 1948, serviva a festeggiare il compleanno se non fossero arrivati i carabinieri; gli armadi, inoltre, erano pieni di vestiti: tutti segnali insomma, che i due uomini si apprestavano a restare in quel rifugio per un lungo periodo. Nel momento in cui i militari dello squadrone Cacciatori, al comando del tenente Alessandro Albiero, hanno fatto irruzione nel casolare, dopo aver sfondato la porta, Farao e Marincola stavano dormendo, ma non erano completamente svestiti. I due uomini, che non erano armati, sono rimasti sorpresi, poi si sono complimentati con i carabinieri. Nel covo - ha spiegato il maggiore Luigi Di Santo che comanda il reparto operativo dell’Arma di Crotone - non sono stati trovati telefoni cellulari ne’ pizzini e neppure documenti falsi; su un comodino, invece, c’era una copia del vangelo. (AGI) AGI
Nel casolare in Sila rifugio dei due boss trovati un Vangelo e una torta nel frigo - Rivelati alcuni particolari sulla cattura dei ricercati
CROTONE - Su un comodino nella stanza da letto, i carabinieri hanno trovato un copia del Vangelo; in cucina invece, bottiglie vuote e tovaglie piegate sulla tavola ancora mezza apparecchiata, mentre nel frigorifero con delle confezioni di carne congelata c’era anche del vino e un pezzo di torta rimasta probabilmente dalla festa di compleanno di Silvio Farao che proprio lunedì 3 ha compiuto 60 anni.
Il giorno dopo la cattura di Cataldo Marincola (47 anni) e Silvio Farao (60 anni), i due boss di Cirò, rintracciati in una casolare tra i boschi di Monte Nero, in territorio del Comune di Aprigliano nel Cosentino, i carabinieri rivelano alcuni particolari relativi al blitz della notte di martedì.
Nella nuova sede del comando provinciale dell’Arma di Crotone, ospitato in un edificio accanto alla Stazione ferroviaria, in una saletta addobbata per l’occasione, con il colonnello Mario Conio comandante provinciale, ci sono anche il maggiore Luigi Di Santo comandante del Reparto operativo provinciale e il tenente Alessandro Albiero dello Squadrone eliportato Cacciatori di Vibo Valentia.
Mentre il colonnello introduce la conferenza stampa alle spalle degli ufficiali dei carabinieri, sullo schermo di un televisore scorrono le diapositive delle foto scattate dai militari fuori e dentro la palazzina colonica nascosta tra i boschi silani, dove avevano trovato rifugio i due boss del “locale” di Cirò.
Si vede l’esterno della palazzina a due piani che fa parte di un piccolo conglomerato di edifici rurali un tempo appartenuti all’Opera valorizzazione Sila, ma anche l’interno della casa arredato e dotato di impianto elettrico, mentre il televisore è collegato a un’antenna satellitare parabolica. Non sono state trovare armi nel casolare, né telefoni cellulari. Nessun veicolo era posteggiato nelle vicinanze della casa. Segno che i due ex ricercati, godevano di una rete logistica di fiancheggiatori che curava anche i loro spostamenti. Lo sottolinea il colonnello Conio che ribadisce come l’attenzione degli investigatori sia adesso puntata a scoprire i componenti della rete che dava sostegno logistico a Silvio Farao e Cataldo Marincola. «Due esponenti di spicco del locale di Cirò», tiene a ripetere il comandante provinciale dell’Arma. «Al di là - aggiunge - dei provvedimenti per i quali erano ricercati».
Marincola era latitante dal 7 febbraio del 2007. Quel giorno i carabinieri erano andati a casa sua per notificargli un ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti dalla Procura generale di Milano per un residuo di pena di un anno, 5 mesi e 10 giorni di reclusione, che doveva scontare. Ma il 47enne non s’era fatto trovare. Silvio Farao aveva invece fatto perdere le sue tracce dall’autunno scorso. I militari dell’Arma non erano riusciti a notificargli un’ordinanza di custodia ai domiciliari per ripetute violazioni alla misura della sorveglianza speciale cui era sottoposto. Ambedue sono stati condannati nei mesi scorsi all’ergastolo per l’omicidio di Mario Mirabile avvenuto a Corigliano nel 1990. Lo ricorda il colonnello Conio.
L’ufficiale sottolinea poi che il fatto che i due condividessero lo stesso nascondiglio, smentisce ogni ipotesi di una scissione nella cosca. Dopo l’omicidio il 26 settembre scorso a San Giorgio sul Legnano in Lombardia, di Cataldo Aloisio, nipote di Silvio Farao e genero di Giuseppe, era circolata la voce di una possibile frattura interna alla ‘ndrina. E gli investigatori dell’Arma avevano dopo quel delitto intensificato le ricerche sia di Marincola che di Silvio Farao anche per scongiurare, come rivelano, lo scoppio di una faida interna alla cosca. Ma l’ipotesi delal rottura tra Farao e Marincola è ormai superata: «Se stavano insieme - osserva il colonnello Conio - è anche perchè volevano lanciare il messaggio che non c’è mai stata alcuna frattura in seno alla cosca».
Il comandante provinciale dei carabinieri, il maggiore Di Santo e il tenente Albiero, rivelano poi che da quest’estate l’attenzione dell’Arma era rivolta alla Presila ed alla Sila Crotonese, come possibile area di rifugio dei due ricercati. Il lavoro di “intelligence” fatto di pedinamenti, appostamenti e osservazione ha portato nella notte tra martedì e mercoledì gli investigatori del Reparto operativo provinciale al comando del maggiore Di Santo e i “cacciatori” del tenente Albiero, in quel tratto di altopiano silano poco lontano dal lago Ampollino, scelto come rifugio dai due boss.
«Non siamo arrivati li per caso», osserva il maggiore Luigi Di Santo che ribadisce, l’importanza della cattura di Silvio Farao e Cataldo Marincola. I due dormivano quando alle due e mezza di martedì notte come racconta l’ufficiale dei “baschi rossi”, i carabinieri dopo aver cinturato il casolare e “congelato” ogni via di fuga, hanno sfondato la porta e fatto irruzione nella casa colonica. Né Farao, né Marincola, hanno fatto resistenza. E uno dei due s’è anche complimentato con i militari.
Luigi Abbramo
Ma quali mafiosi ??? Sono semplicemente dei poveri e bravi "fungaioli" ! Ma cosa state ad inventarvi ? Denunciati dal solito Ispettore Coordinatore capo del Nucleo Operativo Territoriale della Sila e del Nucleo Investigativo Antibracconaggio, i due sono stati accusati unicamente d’ aver seppelito qualche "rifiuto"...
Il territorio silano è, e resta, puro e immacolato !
Nel frattempo si è sparsa "la Voce" che si è dato alla fuga un "gallinaccio" con tanto di coppola e baffi. Altri "porcini" e "rositi" si sarebbero avvistati in località Pettinascura,Serralonga, Nocella sottano e Mellaro. Fra poco, vedrete, Morrone e Alessio scriveranno di una nuova mafia (mafia del fungo), che avrebbe persino coniato un suo slogan : "se voi mettete in pericolo la nostra latitanza, noi diventiamo velenosi".