Egregio Governatore Mario Oliverio,
le scrivo questa lettera in qualità di giovane cittadina sangiovannese, per ricordarle le urgenze del mio paese, che è pure il suo, il luogo dove è nato, cresciuto e da dove iniziò la sua carriera politica.
Nel tempo si è registrato un regresso, la situazione peggiora con il passare dei giorni, degli anni. Tantissimi giovani, e non solo, preferiscono abbandonare i propri affetti, lasciando il cuore alle origini per cercare un futuro altrove, futuro che San Giovanni in Fiore non è in grado di offrire ai suoi "figli".
A distanza di circa quarant’anni, il fenomeno dell’emigrazione è ricomparso in nuove forme. Dispiace a a tutti vedere orde di ragazzi partire per disperazione, costretti ad andare perché il paese che ci ha visti nascere e crescere non è in grado di offrirci una vita dignitosa.
Come lei ben sa, Presidente, è il lavoro che nobilita l’uomo, che dà dignità alla persona. I giovani rappresentano la forza motrice di una comunità, la materia prima dello sviluppo culturale e sociale.
Che futuro avrà la nostra cittadina, senza la gioventù? Il sistema pubblico è al collasso: oggi sono smarriti il diritto al lavoro e il diritto alla salute, per i quali la generazione di mio nonno ha combattuto e le cui lotte oggi risultano vane.
A proposito del diritto alla Salute, che fine ha fatto il nostro ospedale? Che fine ha avuto il "Punto nascita", riferimento di tantissime donne?
Non è pensabile, in un paese di montagna a 1100 metri di altitudine e distante sessanta chilometri da Crotone e Cosenza, avere un ospedale che non può rispondere alle esigenze della comunità. Sembra di abitare in un luogo dimenticato dalle istituzioni, dalla politica. Qui vivere è una continua lotta per la sopravvivenza.
Anche i collegamenti sono scarsi o addirittura inesistenti. Come la tratta San Giovanni-Catanzaro, per la quale è prevista una sola corsa, nonostante siano parecchi gli studenti iscritti all’università del capoluogo regionale.
Presidente non so se lei voglia abitare a San Giovanni in Fiore, che tra problematiche irrisolte e disagi non è più un paese per giovani. Quei pochi rimasti devono lottare per realizzare i propri sogni in una terra così arida e povera. Gli altri invece partono, amici, conoscenti, compagni di scuola. Nei loro occhi si legge la tristezza, ma allo stesso tempo la speranza di ritornare.
Gentile Presidente, prenda provvedimenti affinché questo nostro piccolo comune non sia destinato a morire tra l’indifferenza delle istituzioni e l’abbandono dei sui “figli”.
Pia Rosangela Laratta, studentessa universitaria
Obbligo di dimora per il governatore della Calabria Mario Oliverio
Il provvedimento emesso nell’ambito dell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Cosenza in materia di appalti pubblici
di Redazione ANSA (COSENZA 17 dicembre 20180)
Il gip distrettuale di Catanzaro ha emesso un provvedimento di obbligo di dimora nel comune di residenza per il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, eletto nelle file del Pd. L’accusa è abuso di ufficio. Il provvedimento è stato emesso nell’ambito dell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Cosenza in materia di appalti pubblici. Al momento non è noto il reato che viene ipotizzato nei confronti del Governatore calabrese.
L’inchiesta sugli appalti pubblici coordinata dalla Dda di Catanzaro riguarda, secondo quanto si è appreso, due appalti, uno sul Tirreno Cosentino, ed uno riguardante un impianto sciistico in Sila. Nei confronti di alcuni indagati viene ipotizzata anche l’aggravante dell’articolo 7 per avere agevolato la cosca di ’ndrangheta Muto di Cetraro.
Complessivamente le misure emesse dal gip distrettuale su richiesta della Procura distrettuale antimafia catanzarese al termine delle indagini condotte dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria diretto dal colonnello Michele Merulli, sono 16, due delle quali riguardano l’ex sindaco di Pedace Marco Oliverio (obbligo di dimora) e l’imprenditore Giorgio Barbieri, già arrestato nel febbraio dello scorso anno nell’ambito di un’altra inchiesta perché accusato di essere intraneo alla cosca Muto.
«La nuova playlist del governatore “carioca”»
di Emiliano Morrone* (Corriere della Calabria, 21 giugno 2018)
Il governatore Oliverio si fionda a Roma e bussa al ministro Grillo. Chiede la gestione della sanità calabrese. Accusa i governi precedenti d’averlo gabbato, quasi dissociandosi dal remoto passato renziano, chiuso nell’immagine della cravatta mozzata in galleria. Acqua sotto i ponti (cadenti) di Calabria e il presidente della Regione è già “carioca”. Il creativo Pignanelli studia su “YouTube” il linguaggio di Taverna e Di Battista, pronto alla carica contro la burocrazia della “Cittadella”, i suoi Apicella, Fatarella (“off shore”), Zito e Pallaria. La rivoluzione dei due silani è iniziata, in vista delle prossime regionali; in sottofondo i “99 Posse” con «tutto poteva succedere, un imprevisto prevedibile e la mente si fa labile». Al momento le catene per Palazzo Chigi stanno chiuse in uno scantinato accanto all’Abbazia florense, controllato a vista dal placido Iacucci e dalla Guardia dei sangiovannesi transitati dalla Provincia di Cosenza. Di Napoli fotografa la scena, Mesoraca defilato, Romeo e De Gaetano passano furtivi.
Rientrato dalla capitale, Oliverio, assistito, riprova il copione. Sbirciando si legge in fondo la firma di Miguel de Cervantes, testo riadattato alla bisogna e parti cantate; da «mister Giamborino, non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare» a «siamo gente di montagna chi da vita nun si spagna, siamo gente di buon cuore, siamo a San Giovanni in Fiore». Poi dialoghi da musical, che riprendono brani di cantautori italiani e motti pubblicitari, da «sono depresso, lasciatemi» a «sempre un po’ di più Arena ti dà», sino alla cover suonata dai “Brancati del Mutuo Soccorso”: «Perché volete disturbarmi, se io forse sto sognando un viaggio alato».
Dunque le più dotte partiture di Panella: «La macchia tonda e dolce dei bicchierini, le scarpe décolleté, quel capogiro, che scossa agli orecchini, l’onda color dei vini». Quindi un pezzo gucciniano censurato, trasmesso da una mail dell’Asp di Vibo Valentia: «Il mercoledì delle “ceneri” ci confessarono bene o male che la festa era ormai finita e ormai lontano il carnevale». Dall’Asp di Catanzaro giungono perfino due contributi musicali correlati, uno sul buio vincibile della notte, l’altro di puro afflato: «Un padre e un figlio con un solo abbraccio squarciano il tempo, vanno oltre lo spazio cani randagi nella notte Scura, la vita no, non fa paura» e, parafrasando Tiziano Ferro, «hai Dell’Isola negli occhi». Non manca l’accenno liturgico, con «Benedetto colui che viene nel nome del Signore». C’è finanche un richiamo ad «Amici miei» di Vecchioni, che giunge dall’ultimo piano, storico, del “Mater Domini”: «Vorrei mandare in frantumi memoria, pensieri, almeno per un saluto; e avere ancora vent’anni, ancora tutto da dire per un minuto». Chiude il Pelide Achille da Cosenza: «Ne abbiamo avute di occasioni, perdendole, non rimpiangerle, non rimpiangerle mai. Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore».
C’è solo un problema, per questo spettacolo dell’anno. In un corridoio il ministro della Salute avrebbe proprio ieri intonato: «Anche se voi vi credete assolti, siete per sempre coinvolti».
*giornalista
«Il messaggio di Gioacchino da Fiore (per il Pd)»
di Emiliano Morrone (Corriere della Calabria, 11 aprile 2018)
Mi ha colpito un comunicato stampa della Regione Calabria sulla partecipazione al XXXI Salone Internazionale del Libro di Torino con i “suoi” «Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Telesio e Campanella, (...) le cui opere contribuiscono a fornire risposte utili a sciogliere i nodi posti dal tema del Salone», cioè «interrogativi sul presente e il futuro del nostro mondo» e «sulla precarietà che contraddistingue la società attuale», «alla ricerca delle positività e di soluzioni possibili».
Mi verrebbe da chiedere al governatore Mario Oliverio - e ai suoi consulenti culturali - in che modo le opere di Gioacchino da Fiore possano concorrere a fornire risposte utili sul tema del Salone del 2018. E vorrei capire, soprattutto dai consulenti di Oliverio, come l’Abate calabrese si ricolleghi alla precarietà, in vero fragilità ontologica nel - e del - tempo corrente, intesa con fretta e semplificazione nel riferito comunicato della “Cittadella”. Le due domande scavalcano il recinto della teoria e si collegano, nel mio discorso, al momento storico del Pd calabrese, che vuol ripartire ma ancora non sa bene da dove né con quale prospettiva e linfa.
Nelle settimane passate discussi in tv con Ernesto Magorno sulle ragioni della sconfitta elettorale del Pd, in soldoni da ricondurre all’abbandono spinto della propria tradizione sociale, per esempio da Gramsci a La Pira. Il Pd è diventato - anche in Calabria - il partito di riferimento del sistema del capitalismo monetario, finanziario e delle multinazionali. Lo si è visto con la vicenda della riforma costituzionale volta ad accentrare poteri e a rimuovere gli ultimi scampoli di rappresentatività democratica, Cnel compreso. Lo si è colto con la rivalutazione d’imperio delle quote di Banca d’Italia; con l’approvazione muscolare del «Jobs Act», ispirato (d)alle tesi blindate dell’economista Jean Tirole; con l’arrendevolezza della «Buona scuola» a un insegnamento funzionale all’offerta smisurata di prodotti (a breve termine) del grande mercato tecnologico; con la scandalosa forzatura del «decreto vaccini», coperta da una diatriba ad arte tra vaccinisti ed avversari.
Qui, a sud del Sud, nella terra di Cassiodoro, Gioacchino, Telesio, Campanella (e Vattimo), che il Pd sia remissivo ai padroni dell’«Impero», di negriana memoria, è confermato dal perpetuo attendismo del governatore Oliverio, intanto in materia sanitaria, protetto dal suo «guscio vuoto» di sostenitori interessati, dirigenti, funzionari e passacarte solidali (a scadenza).
In sintesi: Oliverio ha subito, come molti altri, la gestione aziendalistico-ragionieristica della sanità regionale, soggetta al vincolo costituzionale del pareggio di bilancio e ai tagli progressivi alla spesa pubblica derivanti dal «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria». Che cosa poteva fare il governatore, posto che nello specifico la minestra venne bell’e cotta nel lontano 2012? Di certo poteva tentare una mediazione politica col Pd di governo (centrale) e risparmiarsi l’annuncio a effetto d’incatenarsi sotto Palazzo Chigi, come obiettato(gli) da più parti. E poteva seguire una strada tutta politica, che forse gli avrebbe permesso di ricevere la delega quale commissario per l’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, tenuto conto che aveva un vice, Antonio Viscomi, molto capace di negoziare con pacatezza ed efficacia.
Oliverio, non ha (dimostrato di possedere) una visione sullo sviluppo della Calabria, sulla tutela dei diritti, dei disoccupati, dei deboli. Si dirà che, inevitabilmente, l’amministrazione regionale risente delle fasi del ciclo economico (e politico) nazionale e internazionale, ma il presidente della Regione non ha voluto saperne di alcune battaglie fondamentali. Mi riferisco a quella, intrapresa dalla deputata 5stelle Dalila Nesci, della ripartizione del Fondo sanitario sulla base dei dati di morbilità e co-morbilità relativi alla Calabria e all’intero Mezzogiorno. E alludo a un’altra, meno conosciuta, di Paolo De Marco, accademico italo-canadese che, con sforzi fissi e senza interessi di bottega, dialogando con l’Assessorato regionale per il Welfare ha provato a creare sbocchi di lavoro per centinaia di “paria” dell’interno montuoso, argomentando contro le misure temporanee che hanno alterato le statistiche dell’occupazione ed esteso la subalternità alla politica.
Nel 2004 - e Oliverio dovrebbe ricordarlo - Gianni Vattimo, il padre del «pensiero debole», intervenne al congresso del Centro internazionale di studi gioachimiti. Parlò della progressiva emancipazione collettiva dalla violenza del potere, che legò alla profezia, di Gioacchino da Fiore, dell’avvento dello Spirito e della possibilità del compimento della giustizia nella storia. Quella lezione del filosofo torinese, originario di Cetraro (Cs), fu dimenticata alla svelta. Seguì, anni dopo, la “bufala” della citazione dell’Abate calabrese da parte di Barack Obama, alla quale, presumo, partecipò in buona fede l’allora deputato del Pd Franco Laratta. Nel 2004 Vattimo aveva già rotto con i Ds, di cui era stato parlamentare europeo. L’attento giornalista Aldo Varano lesse la successiva candidatura del filosofo quale sindaco di San Giovanni in Fiore (Cs) come una specie di vendetta personale nei confronti di Massimo D’Alema; anche perché Vattimo, come rammenta Aldo Cazzullo del “Corriere della Sera”, è difficile da interpretare: si diverte con motti di spirito, provocazioni e una compiaciuta autoironia.
Come deve agire il Pd calabrese, se vuole uscire dal pantano della conservazione dell’ordine interno? Detto da me, che, terzo, non nascondo simpatie per il movimentismo in chiave meridionalistica, forse assume un valore di verità meno relativo delle analisi (“esterofile”) dell’amico Luigi Guglielmelli. Il Pd parta dal messaggio autentico di Gioacchino da Fiore, che Vattimo spiegò mirabilmente nella sua spiazzante attualità. Il partito guardi allora agli ultimi, che sono la maggioranza. Ne ascolti la voce, anche se rotta o scomposta. Comprenda che non si può continuare con la recita a soggetto, come per gli ospedali di Trebisacce (Cs) e Praia a Mare (Cs), aperti nell’irrealtà. -Costruisca un progetto politico dal basso e per le comunità, rinunciando a servire i pochi forti. Si faccia trasformare dal grido di dolore che proviene dal corpo sociale maggioritario, sempre più omogeneo per debiti, privazioni e pesi economici. Trovi, il Pd, il coraggio di lottare contro la criminalità con la passione di Peppino Impastato, che sapeva quanto la mafia provocasse diseguaglianze terribili. Il Pd rinunci, insomma, all’idea del potere come privilegio, come strumento per l’utile delle élites. Perciò si apra al confronto, sui programmi, con le espressioni dell’attivismo civile, purtroppo ancora ignorate.
*giornalista
Messaggio al Pd locale: chiarire sulle nomine in Comune
di Emiliano Morrone *
Liberiamo il campo dalle fantasie. Non esistono poteri forti, occulti o deviati nemici dell’amministrazione di San Giovanni in Fiore. Secondo, non ci sono seminatori di zizzania o d’altre piante che vogliano il male della maggioranza di qui. Infine non abbiamo traccia alcuna di stregoni, iettatori e Gargamella, di pozioni e fatture contro il governo locale, la segretaria Greco e la sua vice Bafaro.
Ci sono fatti, invece, che meritano chiarimenti in dettaglio e non dogmi d’infallibilità papalina cui Pd e alleati ricorrono, d’ufficio, quando si chiede conto della loro gestione della cosa pubblica.
Due le questioni attuali: l’affidamento, il secondo, della responsabilità della Ragioneria del municipio a un dipendente di altro Comune, che lavora a mezzo tempo, e l’assegnazione provvisoria del comando dei Vigili urbani a un interno che avrebbe meno titoli di un collega e al quale, suo malgrado, l’atteggiamento della giunta nominante sta procurando un’indesiderata attenzione popolare sulla propria sfera privata. Domenico Elliani, nuovo capo della Polizia municipale, è, per dirla alla Alessandro Manzoni, il «promesso» consuocero del governatore della Calabria, Mario Oliverio. Elliani è persona per bene; come del resto Oliverio, sino a prova del contrario. Perciò il vigile non deve pagare per la sua vita personale, per gli affetti che coltiva e per rapporti esterni alle funzioni pubbliche di sua competenza.
Ciò precisato, vogliamo sapere, intanto dall’assessore al Personale, Milena Lopez, se sia o meno fondata la ricostruzione formale del sindacato Csa sul riconoscimento a Elliani delle mansioni superiori per lo svolgimento dell’incarico di vertice della Polizia municipale. Vogliamo sapere, cioè, e lo vogliono sapere i cittadini, in nome di una trasparenza necessaria, perché il sindaco Giuseppe Belcastro abbia proposto alla giunta la nomina di Elliani invece che quella di Rosario Marano, che in passato aveva peraltro svolto, a termine, il ruolo di capo dei Vigili urbani. Vogliamo sapere, quindi, in che modo siano stati comparati i rispettivi curricula e perché quello di Elliani è stato ritenuto migliore. Questo non è sciamanesimo, non è insinuazione, non è sfottò e non è una sciocchezza. Non lo è per un motivo semplice: il sindacato Csa ha riassunto un quadro preciso, leggendo il quale si deduce che Marano ha più titoli di Elliani: laurea breve, corso professionalizzante, certificato europeo sull’uso del pc, pregressa responsabilità del servizio in parola e qualche patente di guida in più dell’incaricato.
Inoltre il Csa ha contestato la procedura di nomina, ritenendola contraria alle norme regolamentari dello stesso Comune. Tertium non datur: o quella nomina è legittima o non lo è, punto. Ci aspettiamo, pertanto, che la Lopez - o chi per lei - dica a chiare lettere che il Csa ha torto e perché. Ad una prima lettura degli atti pare, infatti, che Elliani sia stato preferito soltanto per anzianità di servizio, il che non sarebbe, di per sé, un argomento sufficiente; atteso che, nonostante l’area di discrezionalità delle scelte del sindaco, lo stesso deve risponderne comunque ai cittadini e spiegarne il perché, possibilmente senza affermazioni apodittiche.
Su questo specifico Belcastro si gioca tanto, in primo luogo con il sottoscritto, che non ha mai fatto sconti a nessuno nel commentare le azioni dei vari governi locali e che, piaccia o meno, ha un’evidente stima pubblica per l’onestà e l’equilibrio intellettuale a lungo dimostrati. Da qui l’invito al sindaco, esplicito, a riferire compiutamente. In quanto all’ennesima nomina di Emilio Dante Martino quale responsabile della Ragioneria comunale, si pone in primo luogo un problema politico, acuito da un infelice, recentissimo comunicato stampa della giunta locale, nel quale è scritto: «L’ennesimo riferimento alla procedura utilizzata per attribuire l’incarico temporaneo di responsabile del Servizio Finanziario è superfluo e pretestuoso, in particolare la dott.ssa a cui si fa riferimento dipendente Lpu ribadiamo che non ha il requisito dell’esperienza relativa alla redazione di un bilancio di previsione ne tanto meno alla predisposizione del rendiconto e del conto economico e patrimoniale, avendo la stessa sempre svolto mansioni relative ad altri aspetti della contabilità comunale».
La domanda nasce spontanea: chi ha finora redatto i bilanci del Comune di San Giovanni in Fiore? E, ancora, la risorsa Lpu in argomento ha lavorato da precaria per una ventina d’anni in municipio, nel settore contabile. Questo periodo non è bastato per acquisire capacità e professionalità in materia di bilancio?
Alla giunta comunale ricordo che per il 2018 lo Stato ha inviato 50milioni per la stabilizzazione degli Lsu-Lpu, subordinata all’effettiva utilità dei singoli per l’amministrazione dei rispettivi Comuni e alla concreta possibilità degli enti di pagarne gli stipendi. La Funzione pubblica è stata netta, in un parere di qualche settimana fa: chi non verrà stabilizzato, tornerà nel bacino regionale di appartenenza. Quale migliore occasione, allora, andato in pensione il ragioniere del Comune, Franco Scigliano, per sostituirlo a tempo pieno con una lavoratrice in possesso di laurea e master e di un’esperienza pluridecennale nella Ragioneria del municipio? Nessuno ci ha pensato? Quanto ancora questa persona, figlia di uno storico missino, dovrà attendere per uscire dalla precarietà in cui ha vissuto e vive, insieme a migliaia di altri Lsu-Lpu?
E che dice il nuovo segretario del Pd locale, Pino Marra, il quale coi migliori propositi ha ereditato un partito che negli ultimi anni ha saputo bruciare un patrimonio di consensi acquisito per talune importanti battaglie, per esempio sulla sanità e sul lavoro, dimenticate con la duplice conquista del governo regionale e cittadino?
Il 4 marzo è vicino, poi non ditemi che non l’avevo scritto.
*Fonte: Emiliano Morrone, 22. 02. 2018 (ripresa parziale - senza immagini).