Giustizia

Caso Messina: condanna per Lembo e Mondello

venerdì 11 gennaio 2008.
 

Il verdetto dei giudici del Tribunale di Catania (presidente Francesco D’Alessandro) è arrivato solo alle 20 di stasera, dopo quasi nove ore di camera di consiglio, aperta dalla Corte dopo un’ora e mezza di spontanee dichiarazioni del principale imputato, Giovanni Lembo.

La condanna più pesante è quella di Marcello Mondello, ex capo dei Gip di Messina, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, con 2 anni di libertà vigilata.

Cinque anni per Giovanni Lembo, condannato per l’accusa di favoreggiamento dell’associazione mafiosa (riqualificata l’accusa di concorso esterno). L’ex sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia è stato assolto per non aver commesso il fatto dalle accuse di aver fatto pressioni su un brigadiere, mentre sono state prescritte le ipotesi di calunnia di falso e abuso d’ufficio.

Sei anni e 4 mesi la condanna per l’ex boss pentito Luigi Sparacio quale promotore dell’associazione. Due anni per l’ex maresciallo del Ros, assistente Antonino Princi, per il quale è stata esclusa l’aggravante ex articolo 7, e la sospensione della pena. Assolto il pentito Vincenzo Paratore.

Lembo, Princi e Mondello sono stati condannati al risarcimento dei danni in favore dello Stato, da liquidarsi in sede civile. Princi deve inoltre risarcire anche l’avvocato Ugo Colonna, parte civile, ed il pentito Paratore e deve pagare loro le spese processuali (45 mila euro a Colonna, assistito da Salvatore Li Destri, e 20 mila euro a Paratore, difeso da Fabio Repici). Gli imputati sono stati difesi dagli avvocati Renato Milasi, Luigi Giacobbe, Carlo Zappalà e Carmelo Passanisi. I pm Antonino Fanara e Federico Falzone, lo scorso ottobre, avevano chiesto 14 anni e 3 mesi per Lembo, 12 anni per l’ex capo dei Gip di Messina, Marcello Mondello, 6 anni per Sparacio, 5 anni per Princi e 2 anni per Paratore.

Arriva dopo 8 anni di processo la storica sentenza che chiude in primo grado il caso Messina. L’accusa principale è quella legata all’esistenza della cellula di Cosa nostra a Messina, rappresentata dall’imprenditore Michelangelo Alfano, morto suicida nel 2005, don Santo Sfameni di Villafranca, in contatto con la mafia palermitana e catanese. L’accusa per Lembo è quella di aver gestito la collaborazione di Luigi Sparacio in maniera deviata, così da tener fuori dalle dichiarazioni proprio Alfano.

A dare il via al caso Messina sono state le dichiarazioni del penalista Ugo Colonna, che nel ’96 denunciò la falsa collaborazione di Sparacio e la gestione deviata della sua collaborazione da parte dei magistrati. Alfano e Sfameni erano in contatto col boss messinese Domenico Cavò e, dopo la sua morte, con Sparacio, come hanno raccontato i pentiti, che hanno anche svelato i rapporti di Alfano con i politici e gli imprenditori messinesi.

A Mondello, invece, è stata imputato il collegamento con don Santo Sfameni. Concretizzatosi, secondo l’accusa, nell’archiviazione per Gerlando Alberti jr e Giovanni Sutera, poi condannati all’ergastolo per l’omicidio di Graziella Campagna, 22 anni fa. Nel processo d’appello in corso a Messina a carico dei due, il pg Marcello Minasi ha chiesto la riapertura del processo e l’audizione dell’ex capo dei gip di Messina.

Da Tempostretto.it


Rispondere all'articolo

Forum