Antigone a Genova, la colpa è di Stato
di Ida Dominijanni (il manifesto, 29 settembre 2006 )
Don Francis Darbellay, il priore dello Chateau Verdun, lo sa che c’è una legge dello Stato e una legge della Croce, e quando non coincidono non ha dubbi, sceglie la seconda. Lo sa anche una delle due nonne di Maria, che frequenta la letteratura greca e cita le parole di Antigone contro Creonte: «Ci sono delle leggi superiori a quelle degli uomini che io devo seguire».
L’ambasciatore bielorusso non lo sa, e perentoriamente domanda che la corte d’appello di Genova riconosca la sovranità della Bielorussia. Le ragioni del sangue contro la ragion di Stato, il ghenos contro la Legge, come a Tebe?
Qui però non c’è un fratello da seppellire, ma una bambina da allevare; la bambina non è una figlia naturale, nelle sue vene circola sangue straniero; e la ragion di Stato non è univoca, trattandosi di una questione di confine fra due stati. Che cosa diventa la tragedia di Antigone sotto queste coordinate?
La legge bielorussa vuole che Maria sia restituita al suo paese d’origine; «senza condizioni», aggiunge l’algido ambasciatore. La legge italiana vuole che Alessandro Giusto e Chiara Bornacin, padre e madre aspiranti di Maria, rispondano del reato di sottrazione di minore. Non è perbene quello che hanno fatto, non ci si può «impadronire» di una bambina sequestrandola, e c’è una lobby di altri aspiranti genitori che non gli perdona di aver bloccato le loro pratiche di affidamento dei figli di Chernobyl rovinando i rapporti con la Bielorussia. Quell’affezione per la piccola Maria non meritava altre e più sapienti mediazioni?
I coniugi Giusto in verità non sembrano due pericolosi sovversivi. A fare le cose secondo la legge ci hanno provato: hanno ospitato Maria per la prima volta nell’estate del 2003, sono andati a trovarla nell’orfanotrofio di Vilejka, ne hanno chiesto l’adozione a gennaio del 2004. Non l’hanno ottenuta, e nel frattempo la piccola ha raccontato violenze fisiche e psicologiche accertate da medici e psicologi e ha minacciato di suicidarsi se la costringono a tornare in quell’istituto.
Nascondendola in Val d’Aosta, i Giusto non si sono impadroniti di un giocattolo o di un capriccio: hanno sottratto una bambina a una legge ingiusta e a una procedura irrazionale. Non hanno neanche difeso le ragioni del sangue contro la ragion di Stato: hanno affermato le ragioni di una famiglia meticcia, non consanguinea, contro lo jus soli di una sovranità anacronistica, che si vuole padrona dei suoi bambini dentro i suoi confini, salvo cederli per brevi soggiorni; e che oggi - parola ancora dell’algido ambasciatore - privilegia le adozioni nazionali su quelle internazionali perché si sente insieme minacciata dalla denatalità e rassicurata dalla ripresa economica.
Le vacanze dei bambini bielorussi, si sa, non sono solo una questione di buoni sentimenti ma anche una questione d’affari. A causa delle tortuosità delle leggi sull’adozione, si sa, sui bambini abbandonati si svolgono talvolta loschi traffici.
Quando le leggi sono irrazionali, il mercato se ne avvantaggia e non va per il sottile. Ma anche nelle pieghe del mercato nascono e crescono sentimenti, affetti, legami, che la legge colpevolmente tarda a riconoscere. E nelle pieghe della globalizzazione, dei suoi squilibri e delle sue ineguaglianze, nascono relazioni e forme sociali inedite, che la sovranità statuale si ostina a disconoscere.
Né la famiglia né lo Stato sono più quelli di una volta: ci sono bambini abbandonati in patria che trovano famiglia fuori, ci sono, nella complessa galassia dei migranti, figli che lasciano madri e padri e madri e padri che lasciano i figli per trovare lavoro altrove, ricongiungimenti familiari difficili, separazioni coniugali inevitabili, amori troncati e amori trovati. E’ il ghenos oltre il ghenos di oggi, quando anche lo Stato dovrebbe andare oltre lo Stato. A Genova un amore era stato trovato. Se viene troncato, la colpa è di Stato.
Piccolo Gulag
di Furio Colombo *
Finalmente sappiamo che cosa è successo a Vicka-Maria, la bambina bielorussa ospite a Cogoleto, in Italia, nell’unico breve e felice tempo della sua vita. Dalla Bielorussia, in cui era stata forzata a tornare contro la sua disperata volontà non dalle autorità di quella repubblica postsovietica tuttora priva di diritti civili, ma dalle autorità italiane, ci fanno sapere che la piccola sciagurata ha «confessato». Il verbo è testuale, viene dalle agenzie.
La bambina Vicka-Maria ha confessato di essersi inventata le violenze subite nell’orfanotrofio di Vilejka e di averlo fatto su pressioni o minacce della famiglia italiana presso cui trascorreva la sua piccola vacanza felice.
La notizia è di ieri. Dunque datata nel 2007. Ma la notizia è da gulag.
Chiedo ai lettori di ricordarsi di questa bambina, di anni 10, una dei trentamila piccoli che ancora portano tracce severe delle radiazioni di Cernobyl e per questo ogni anno, due volte all’anno, sono ospitati dall’Italia e dalle famiglie italiane. Molti di questi bambini non hanno più una famiglia. O meglio ce l’hanno solo quando trascorrono il loro periodo di sosta e di cura in Italia. Vicka (chiamata Maria nelle vacanze italiane e così identificata dai giornali) è una di queste. Il suo unico legame è un fratello tredicenne già adottato da brava gente bielorussa che ha detto «più di così non possiamo».
Vicka è cresciuta in uno dei famigerati orfanotrofi bielorussi detti "internat" e descritti spesso dalla stampa internazionale come luoghi di abbandono e di arbitrio ottocenteschi. Il suo si chiama Vilejka. Durante l’ultimo soggiorno italiano presso i coniugi di Cogoleto, Chiara Bornacin e Alessandro Giusto, unici esseri umani che, nella sua vita breve e infelice, si siano occupati di lei come "una mamma" e "un papà", Vicka ha commesso un errore che, a giudicare dalle conseguenze, è molto grave perché comporta sequestro, separazione, punizione da parte di due governi, quello italiano e quello bielorusso. L’errore è questo: la bambina ha confidato prima alla famiglia ospitante, poi a medici e psicologi di istituzioni pubbliche italiane di avere subìto abusi gravi nell’internat di Vilejka da cui proveniva e a cui avrebbe dovuto ritornare.
Gli adulti italiani, famiglia e medici, si sono trovati depositari di una grave notizia di reato (che ai medici è apparsa verificabile e attendibile) e subito l’hanno comunicata alle autorità. Quali autorità? Quelle italiane. Perché Cogoleto è in Italia, perché l’Italia riconosce e protegge i diritti umani e in particolare i diritti dei bambini, come firmataria della "Carta dei diritti di San Francisco" delle Nazioni Unite. E perché la bambina ha detto più volte, anche alle psicologhe che l’hanno voluta ascoltare «piuttosto che tornare all’internat mi ammazzo».
Qui la storia diventa strana e tuttora inspiegabile per il diritto, per il sentimento comune italiano, ma anche per il comportamento di un governo di centrosinistra che fa della solidarietà uno dei suoi cardini. Succede questo: appena informata di un reato commesso contro una bambina in una struttura dello Stato di Bielorussia la Procura dei minori italiana (Genova per competenza) avverte prontamente l’ambasciatore dello Stato di Bielorussia. Sarebbe come rivolgersi all’ambasciatore del Sudan riconsegnandogli una piccola cittadina di quel Paese che rifiuta di essere infibulata. Il paragone regge perché non sono i governi che eseguono le mutilazioni sessuali. Però sono pronti a condannare intromissioni e decisi a riprendere il controllo sulle persone che hanno dato un cattivo nome al Paese.
Infatti tramite l’ambasciatore la Bielorussia ha immediatamente richiesto in nome dei diritti dello Stato il possesso della bambina che ha subìto violenza fisica e sessuale in un orfanotrofio di Stato. Difficile crederci, ma le autorità giudiziarie di Genova hanno rifiutato di ascoltare la piccola e l’hanno messa a disposizione del governo italiano che nel giro di poche ore tramite la Digos l’ha messa a disposizione del suo Stato-padrone, la Bielorussia. È il primo caso, che si sappia, in cui un Paese democratico e retto da una Costituzione che garantisce i diritti umani e civili, consegna a uno Stato presunto colpevole un minore che ha denunciato di avere subìto sevizie in un orfanotrofio di Stato.
Quando raccontate la storia così (e purtroppo la storia è incontrovertibile) vi dicono che i coniugi Giusto in realtà amavano e volevano adottare la bambina e che dopo la denuncia di cui ho appena parlato - si sono rifiutati di restituire la piccola. La colpa sarebbe di avere ascoltato la supplica di Vicka, di avere doverosamente denunciato un delitto e di avere atteso una risposta umana, sensata, ma anche costituzionalmente corretta. La colpa sarebbe di non essersi fidati di giudici che non ascoltano e di ministri che riconosco i diritti di uno Stato, quello di Bielorussia ma non i diritti dei bambini. Quanto allo Stato di Bielorussia, usa, come si sa, i bambini come ricatto. Minaccia di non mandare più quei bambini in vacanza e cura in Italia, se non sarà eseguita la sua volontà. Quella volontà viene eseguita. In poche ore, su aereo speciale, come un sospetto terrorista, la bambina è stata confiscata, consegnata e sparita. Ora noi siamo il Paese e l’opinione pubblica che giustamente dibatte il sequestro in territorio italiano, e contro le nostre leggi, di un presunto terrorista. Ma ci affrettiamo a consegnare a uno Stato in cui un delitto è stato commesso in una struttura di Stato una minore vittima di quel delitto e colpevole di averlo denunciato a un altro Stato l’Italia che non ha voluto saperne niente.
Se sollevi il caso, in Parlamento, sui giornali, al ministro o alla Commissione bicamerale per l’infanzia, ti rispondono aprendo un convegno sulle adozioni internazionali. Ma le adozioni internazionali non c’entrano e non c’entra neppure il comprensibile e reciproco desiderio dei coniugi Giusto e della bambina di formare insieme una famiglia (sarebbe l’unica nella vita infelice di Vicka).
Noi, qui, adesso stiamo parlando del delitto di abuso e violenza. Da quando si consegna la vittima invece di proteggerla, magari lontano dagli aspiranti genitori, fino a chiarire l’evento, se possibile collaborando con l’altro Paese ma senza ostaggi e senza ricatti?
Ora veniamo a sapere che un piccolo gulag si è creato intorno alla bambina Vicka. Tutto il potere della Repubblica postsovietica e non democratica della Bielorussia pesa su di lei. Nella migliore tradizione di un brutto passato, la bambina Vicka-Maria, anni 10, ha confessato. Sola al mondo, di fronte al potere di una Repubblica indifferente ai diritti individuali ma preoccupata di salvare la faccia, la bambina ha «confessato» di essere stata obbligata dagli italiani a inventarsi tutto.
Per rispetto - suppongo - dei diritti dello stato Bielorusso, le psicologhe italiane tacciono. Per rispetto dei diritti di proprietà degli Stati sui cittadini, e in particolare sui bambini, i ministri italiani tacciono. Come ho detto, se insisti ti organizzano un bel convegno sulle adozioni internazionali, che sono un argomento importante ma un altro
argomento. E se insisti ancora ricevi lettere di associazioni, non si sa quanto cattoliche e quanto giuridiche, che in nome di tutti gli altri bambini che la Bielorussia tiene in ostaggio e minaccia di non mandare più a curarsi nell’unico paese - l’Italia - che si cura di loro, dedicano frasi di sdegno alla piccola che non ha saputo tenere la bocca chiusa e ha guastato la festa, mandano frasi di cattiveria ai due adulti di Cogoleto che - avendo avuto notizia di un grave reato - l’hanno denunciato.
Naturalmente disprezzo e insulto riguardano anche il parroco di Cogoleto, l’intero paese schierato con la bambina, il convento che l’aveva ospitata pensando che alla denuncia di un delitto segue una inchiesta, non la consegne della piccola vittima e poi la forzata ritrattazione. Minacce arrivano anche a chi scrive. Ma da quando è stato facile difendere il diritto di una sola, piccola persona senza bandiere che si permette di guastare i rapporti fra due Stati sovrani?
* l’Unità, Pubblicato il: 10.02.07 Modificato il: 11.02.07 alle ore 17.19
Intervistata la bambina bielorussa e nei coniugi Giusto si riaccende la speranza "Non è vero che ho scelto di rimanere nel mio Paese. Vorrei partire subito"
Parla Vikha, la bimba bielorussa "Voglio ritornare in Italia" *
ROMA - Parla Vikha (o Maria come è stata soprannominata in Italia), la bimba bielorussa contesa tra la coppia genovese e il governo di Minsk: "Voglio ritornare in Italia", dice al telefono con il giornalista del Secolo XIX Paolo Crecchi che l’ha chiamata per "Radio 19". Da alcuni giorni le autorità bielorusse l’hanno affidata alla famiglia Vasilevski che già ospita il fratellino Sasha di 13 anni.
Maria, hai scelto dove vuoi vivere?
"Italia", risponde quasi stupita della domanda.
Quando pensi di tornare?
"Non lo so. Vorrei adesso".
Vikha preferisce parlare in italiano al telefono. Il giornalista genovese le chiede se, in casa, ci sono i genitori e lei accetta di rispondere dopo aver precisato che sono fuori. Si mostra un tantino seccata per l’insistenza con cui il giornalista le porge le domande ma, alla fine, dice con voce serena e divertita. "E’ la terza volta che mi telefoni". Poi scoppia a ridere.
E’ il mio lavoro
"E allora: buon lavoro"
Verrai in Italia con tuo fratello Sasha?
Vikha prima risponde di "sì", poi comprende meglio la domanda e precisa: "No, non con Sasha".
Ma i gornali scrivono che tu hai scelto di stare in Bielorussia.
"E’ una bugia. Io voglio tornare in Italia".
Era stato l’avvocato Diego Perugini, il legale italiano che cura a Genova gli interessi della Bielorussia, a dire che la bambina era contenta nella nuova famiglia adottiva: "Vikha ha espresso la volontà di stare insieme a Sasha - aveva detto - e abbiamo dato corso a questo desiderio".
Vikha però ha cambiato idea. Nell’intervista rilanciata ai microfoni di Radio 19, l’emittente radiofonica legata al Secolo XIX e rilanciata dal TG24 di SkyTv, la bambina è precisa: tra i coniugi Giusto di Cogoleto e i nuovi "genitori" Vasilevski di Zhodino, sembra non avere dubbi. "Voglio salutare Chiara", dice la bimba ricordando il nome della "mamma" affidataria italiana. "Io voglio bene a tutti lì in Italia. E’ lì che voglio ritornare".
Di certo le parole di Vikha riaccenderanno la battaglia legale sull’affidamento della piccola. La decisione del governo di Minsk di scegliere i coniugi bielorussi come futuri genitori, sembrava aver spento per sempre i riflettori sul caso. Ma l’intervista alla bambina, la prima resa pubblica nonostante i vincoli che proteggono il contatto con i minori, ravviva la speranza di Chiara e Alessandro Giusto che non hanno mai abbandonato il sogno di riavere a casa la piccola Vikha.
L’emozione dei coniugi Giusto. "Sentire la voce di Vikha è stata una emozione fortissima. Abbiamo letto il giornale e poi l’abbiamo sentita nelle registrazioni trasmesse da radio e tv. Non ci siamo persi neppure una parola". E’ stato questo il commento dei Giusto che non riescono a nascondere la loro gioia dopo aver sentito confermata dalla bimba, durante l’intervista telefonica, la sua volontà di tornare in Italia. "Una volontà - spiega Alessandro Giusto - che la piccola ha sempre espresso, da quattro anni almeno una volta alla settimana".
Sul futuro di Maria-Vikha, però, rimangono ancora molti punti interrogativi. La famiglia di Zhodino, intervistata dal Secolo XIX, chiarisce di non essere disposta a tenere la bimba. "Non sappiamo se il governo ci aiuterà finanziariamente - ha detto Sergej Vasilevski - Noi vogliamo bene ai bambini, ma ne abbiamo già due e lavoriamo. Insomma, preferiremmo che Vikha tornasse in Italia".
Da Cogoleto, intanto, i Giusto confermano di essere disposti ad adottare anche Sasha, il fratello di Maria. "Siamo pronti ad ospitarlo, ma bisogna fare molta attenzione alla rete di sentimenti del bambino: lui ha già una famiglia affidataria in Bielorussia e una in Italia. Bisognerebbe creare una rete di famiglie per rispettare i suoi sentimenti".
Dalla Bielorussia, comunque, non sono più arrivate notizie ufficiali circa la pratica di adozione che la famiglia Giusto ha avviato da tempo nei confronti di Vikha. "Non abbiamo sentito più nessuno - dice Alessandro Giusto - ma speriamo che questa intervista possa rappresentare un passo avanti importante. Ora tutti sanno che la bambina vuole tornare". (1 novembre 2006)
* www.repubblica.it, 01.11.2006
CONIUGI GIUSTO: GRANDE EMOZIONE SENTIRE LA VOCE DI MARIA *
GENOVA - "Sentire la voce di Maria è stata una emozione fortissima. Abbiamo letto il giornale e poi l’abbiamo sentita nelle registrazioni trasmesse da radio e tv. Non ci siamo persi neppure una parola". Alessandro Giusto e Maria Chiara Bornacin, genitori affidatari della piccola orfana bielorussa, non riescono a nascondere la loro gioia per aver sentito confermata dalla bimba, durante una intervista telefonica con un giornalista del ’Secolo XIX’, la sua volontà di tornare in Italia. "Una volontà - spiega Alessandro Giusto - che Maria ha sempre espresso, da quattro anni almeno una volta alla settimana".
Maria (il vero nome è Vika) ha scambiato poche battute con il Secolo XIX nel corso di una telefonata a Zhodino, una cittadina tra Minsk e Borisov, in Bielorussia, dove da lunedì é ospite della famiglia che già ha in affidamento il fratellino Sasha. "Ho scelto di vivere in Italia - dice la bimba, che ha chiesto di poter parlare in italiano -. Non so quando potrò tornare, vorrei adesso. Con il mio fratellino? No, Sasha no. Lui ha una famiglia". Al giornalista che le ha portato i saluti della sua "mamma" genovese, Maria chiede di poterle parlare e poi alla gente di Cogoleto dice "voglio bene a tutti". Poi, quando le viene riferito che i giornali scrivono che lei vuole rimanere in Bielorussia, Maria risponde "No, io ho detto Italia. Non è vero che voglio rimanere con Sasha. E’ una bugia".
Di lei dice di "stare bene" e che in Bielorussia "fa freddo". Poi racconta che all’istituto al quale è stata affidata dopo il suo rimpatrio forzato dall’Italia le hanno assicurato che "posso tornare". "Dalle parole di Maria si intuisce che è serena, e questa é la cosa più importante" ha commentato Alessandro Giusto. "Abbiamo sempre detto che la soluzione temporanea di un affidamento alla famiglia che ospita il fratello fosse la cosa migliore; si tratta di un’ottima famiglia, che dà a Maria serenità".
Sul futuro di Maria-Vika, però, rimangono ancora molti punti interrogativi. La famiglia di Zhodino, intervistata dal ’Secolo’, chiarisce di non essere disposta a tenere la bimba. "Non sappiamo se il governo ci aiuterà finanziariamente - ha detto Sergej Vasilevski -. Noi vogliamo bene ai bambini, ma ne abbiamo già due e lavoriamo. Insomma, preferiremmo che Vika tornasse in Italia". Da Cogoleto, intanto, i Giusto confermano di essere disposti ad adottare anche Sasha, il fratello di Maria.
"Siamo pronti ad ospitarlo, ma bisogna fare molta attenzione alla rete di sentimenti del bambino: lui ha già una famiglia affidataria in Bielorussia ed una in Italia. Bisognerebbe creare una rete di famiglie per rispettare i suoi sentimenti". Dalla Bielorussia, comunque, non sono più giunte notizie ufficiali circa la pratica di adozione che la famiglia Giusto ha avviato da tempo nei confronti di Maria. "Non abbiamo sentito più nessuno - ammette Alessandro Giusto - ma speriamo che questa intervista possa rappresentare un passo avanti importante. Ora tutti sanno che Maria vuole tornare".
* ANSA
La bambina sparita
di Furio Colombo *
Sto per scrivere ancora una volta a proposito della bambina di nazionalità bielorussa Viktoria-Maria. Per farlo devo rispondere alla domanda: se parlo di nuovo di questa storia oscura e dolorosa darò un aiuto a Maria oppure renderò ancora più grave il suo isolamento e il danno che dal suo isolamento potrà venire?
Confesso la mia ansiosa incertezza su questo punto. Ma dovrebbe essere evidente, ormai, che difficilmente si potrà essere più crudeli e più indifferenti di fronte a una bambina di 10 anni che ha subito gravi molestie (al punto di tentare il suicidio). Del suo Paese e dell’orfanotrofio in cui viveva ha trovato il coraggio di parlarne con le persone italiane che l’hanno ospitata, è stata visitata da medici che hanno trovato riscontri fisici e da psicologi (tutti di strutture pubbliche) che hanno verificato lo stato di estrema tensione e di vera paura di ritornare all’orfanotrofio in Bielorussia.
Ma non appena gli adulti italiani che l’avevano ospitata si sono rivolti alle autorità italiane, giudiziarie e amministrative, gli italiani (giudici e governo) hanno subito informato il governo bielorusso. E il governo bielorusso è stato autorizzato a prendere possesso della bambina come se fosse un quadro rubato, e nessuno (nessuno) ha voluto ascoltare la sua storia. I lettori sanno che - da senatore - ho presentato una interrogazione urgente al governo per sapere come è possibile che un Paese che ha firmato la carta dell’Aja sui diritti civili (che la Bielorussia non ha sottoscritto) e la carta dei diritti dei bambini delle Nazioni Unite, abbia deciso di consegnare una bambina a un governo contro la sua volontà. Una risposta sarà data al Senato nel pomeriggio di giovedì prossimo.
Ma i lettori sanno anche che, in un articolo pubblicato da l’Unità la scorsa settimana, avevo chiesto all’ambasciatore di Bielorussia Alexei Skripko la possibilità di incontrare Maria in Bielorussia.
La richiesta, come penso sia chiaro a tutti, non avrebbe violato in alcun modo regole, accordi o forme dei rapporti internazionali. Una risposta positiva sarebbe stato un gesto amichevole che avrebbe potuto svolgersi con estrema discrezione, avrebbe consentito alla piccola Viktoria-Maria di sapere che, a parte i suoi "genitori" (la coppia ospitante dei coniugi Giusto) esistono italiani responsabili che la vogliono ascoltare e si interessano alla sua volontà.
Sarebbe anche stato - da parte del governo bielorusso - un gesto amichevole per dissipare almeno un poco la sinistra impressione dell’improvviso trasporto notturno (un aereo di 136 posti giunto vuoto e partito nel cuore della notte con la bambina a bordo, l’equipaggio, due psicologhe e nessun passeggero) avvenuto prima che la Corte d’Appello di Genova avesse finito di redigere materialmente la propria opinione.
L’ambasciatore di Bielorussia, che gli italiani hanno imparato a conoscere come un uomo deciso a imporre la propria volontà e le richiese non negoziabili del suo governo (e a quanto pare in grado di farsi obbedire dalle autorità italiane al punto da mobilitare polizia e carabinieri per rimuovere la bambina da un pensionato di suore italiano al fine di farla tornare in un "internat" bielorusso, un incrocio fra orfanotrofio e riformatorio) ha detto immediatamente e francamente di no.
«Non fino a quando non sarà pronta», parole che - dette dall’ambasciatore di un Paese post-sovietico - mettono i brividi. Anche l’assicurazione che «Viktoria-Maria sta al momento affrontando un periodo di riabilitazione» mette i brividi. Una terapia detta "riabilitazione" si conosce in certe malattie fisiche.
Nessun esperto di psicologia, psichiatria, turbe e disturbi psichici di adulti e bambini ha saputo dirmi in che cosa consista una "riabilitazione" mentale. L’ambasciatore però ha voluto aggiungere che anche alla Croce Rossa è stato detto di no. Ho così appreso che - come si fa con gli ostaggi e i prigionieri di guerra - la Croce Rossa internazionale ha chiesto di veder la bambina Viktoria-Maria, forzosamente riportata dall’Italia in un orfanotrofio bielorusso dopo che erano state denunciate in Italia violazioni della sua persona, violazioni avvenute non in Italia ma in un orfanotrofio bielorusso.
Segnalo la notizia sperando di smuovere il silenzio della maggior parte dei giornali italiani sulla grave negazione dei diritti di una bambina (il cui racconto ha trovato non solo riscontri fisici di medici delle Asl ma anche nel racconto dei altri bambini ospitati in luoghi e presso famiglie diverse e non in contatto fra loro) aggravato adesso dal fatto che al più neutrale degli enti - la Croce Rossa - è stata negata una visita che non si nega nei campi di prigionia.
L’ambasciatore è un uomo gentile, nei modi e nella misura della normale attività diplomatica. Ma due cose non nasconde: la ragione di Stato e non i diritti di una bambina sono la spiegazione del suo modo di agire (qui devo dare atto a Bruno Vespa, in un suo «Porta a Porta» della scorsa settimana, di avere con chiarezza illustrato sia la storia di Viktoria-Maria che il personaggio ambasciatore). E inoltre ha, comprensibilmente, il tono del vincitore. Violenza o non violenza su una bambina in un "internat" bielorusso, in Italia si fa come dice lui. Si sequestra la piccola che denuncia, si ignora la sua volontà, si evita che possa dirla, e si trasporta lontano, di notte, affinché non si veda mai più.
Ieri ha parlato il presidente bielorusso Lukashenko, e ha detto di dubitare che la bambina abbia mai voluto rimanere in Italia. Anzi, suggerisce, che lei non voleva. Lui lo può dire. Chi ascolterà mai più la voce vera della bambina?
Ci dicono per tranquillizzarci che sul posto ci sono due psicologhe italiane. Bene. Perché non parlano? Un loro messaggio di spiegazione chiaro e inequivoco verso l’Italia (e che ovviamente non coinvolgerebbe la bambina) direbbe alla opinione pubblica italiana umiliata e offesa che cosa è accaduto davvero, che cosa sta accadendo e - soprattutto - come spiegarlo.
Ma anche il loro silenzio è di pietra. È parte del muro che, d’ora in poi, sequestra Viktoria-Maria e la sua vita. Se noi staremo zitti, per sempre.
www.unita.it, Pubblicato il: 11.10.06 Modificato il: 11.10.06 alle ore 8.52
L’AMBASCIATORE BIELORUSSO: LE TELEFONO OGNI DUE ORE
«Maria sta bene. Ora gioca e studia»
(www.lastampa.it, 04.10.2006)
GENOVA. «Maria si è ambientata bene, gioca, studia e ha chiesto un insegnante di bielorusso». Lo riferiscono il legali dell’ambasciatore bielorusso Alexey Skripko, avvocato Diego Perugini e Sonia Battagliese. «L’ambasciatore - hanno aggiunto - è in contatto diretto, ogni due ore, con i responsabili della Casa del Fanciullo, dove Maria è ricoverata».
La bambina bielorussa di 10 anni, dopo essere stata nascosta per 21 giorni dalla coppia affidataria Giusto-Bornacin, e ritrovata dai carabinieri in Valle d’ Aosta, era partita da Genova venerdì scorso per tornare a Minsk. Intanto sembra in parte risolto il giallo sulla richiesta di adozione della famiglia Giusto: la pratica internazionale non è stata ancora depositata al consolato bielorusso.
I Giusto hanno avviato l’iter il 31 gennaio 2005 tramite l’Associazione per l’adozione internazionale Brutia Onlus, ma non è stata depositata a causa del blocco delle domande deciso dallo stesso Governo. I dettagli li psiega un un responsabile dell’ associazione Brutia Onlus. «Ha ragione il Governo bielorusso quando dice che la domanda di adozione per Maria non è stata depositata, ma ha torto quando sostiene che poteva essere presentata in quanto era impossibile, non solo per noi ma per tutti gli enti autorizzati a svolgere pratiche per queste adozioni».
«Nell’ ottobre del 2004 infatti - prosegue - la Bielorussia ha bloccato le adozioni internazionali. Nel dicembre 2005, è stato firmato un protocollo con il governo italiano in cui era scritto che c’erano 150 pratiche da definire e che solo dopo averle esaminate si sarebbero potute depositare nuove domande». Il responsabile dell’ associazione sottolinea: «Ma la Bielorussia ha preso tempo, e ha concluso solo 32 pratiche, così è stato impossibile presentare nuove domande fin dall’ottobre del 2004».
L’ERRORE PRINCIPALE DEI GIUSTO? PRETENDERE DI AVERE LA PICCOLA PER SEMPRE
L’affido è una cosa diversa
di Carlo Rimini (www.lastampa.it, 03/10/2006)
Maria è tornata in Bielorussia e la vicenda, almeno dal punto di vista giuridico, si è finalmente conclusa. Applicando la legge, non è stato un caso complesso. L’Italia infatti riconosce una regola fondamentale del diritto internazionale minorile: la protezione dei minori spetta solo ai giudici dello Stato della loro residenza abituale. Quindi la potestà sulla bambina compete agli enti bielorussi a cui la minore è affidata. Quando i coniugi italiani presso cui la bambina si trovava per un periodo di vacanza, rifiutandosi di restituirla hanno compiuto un illecito. Bene hanno fatto il Tribunale per i Minorenni e la Corte d’Appello a ordinare che la bambina fosse riconsegnata alle autorità bielorusse. Il fatto che gli affidatari temporanei abbiano nascosto la bambina, invece di metterla a disposizione dei servizi territoriali italiani competenti ha aggravato la loro posizione, pur umanamente comprensibile. Una volta ritrovata la bambina, questa non poteva che essere rimandata subito in Bielorussia.
Ma sul piano umano la questione è più complessa. La grande solidarietà che hanno raccolto attorno a sé i coniugi affidatari attesta che qualche cosa non ha funzionato. Non si può, per risolvere il problema, affermare che bisognava trovare il modo per piegare la legge alla volontà e all’interesse della bimba. La legge deve tutelare gli interessi di tutti i bambini e non di una bambina sola. Si deve allora capire che cosa ha determinato una situazione in cui la legge appare così dura nei confronti di una bimba indifesa.
a) Maria è venuta in Italia con la formula dell’affidamento temporaneo. Dovrebbe trattarsi di una vacanza con persone che per altruismo la ospitano. Eppure abbiamo scoperto che la bambina considerava gli affidatari come la mamma e il papà. Abbiamo anche scoperto che questi avevano da tempo chiesto di adottarla. Ecco l’errore principale di tutta la vicenda: è molto rischioso trasformare l’affidamento temporaneo in una sorta di periodo di prova della futura adozione. Se ciò accade, durante l’affidamento temporaneo si creano legami molto più forti. Il bambino viene indotto a coltivare aspettative. Ma, con i bambini, le aspettative devono essere create solo quando vi sono i presupposti giuridici per soddisfarle. Altrimenti il danno è devastante. Gli affidamenti temporanei dovrebbero allora essere disposti solo a favore di persone che non hanno presentato alcuna domanda di adozione. Le domande di adozione dovrebbero invece essere vagliate con prudenza, ma in tempi più rapidi rispetto a quelli attuali. Il contatto fra il bambino e i genitori adottanti dovrebbe avvenire solo quando la procedura avrà dato un esito positivo.
b) Si è detto che la bambina ha subito nell’orfanotrofio violenze inaccettabili. E’ possibile che ciò sia accaduto. Le autorità locali dovranno su questo punto dimostrare di saper collaborare con le autorità di controllo internazionale per consentire la verifica delle condizioni in cui vivono i bambini negli istituti. Questo principio è stato affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con una sentenza del 2000, pronunciata in un caso che vedeva purtroppo protagonista proprio l’Italia, accusata di non aver vigilato sui responsabili di un istituto condannati per maltrattamenti e violenze sessuali.
Professore straordinario di diritto privato nell’Università di Milano
Ambasciatore mi faccia incontrare Maria *
di Furio Colombo
Egregio Ambasciatore della Bielorussia, le scrivo, in qualità di senatore della Repubblica italiana, per chiederle di incontrare in Bielorussia la bambina Maria e le spiego perché. Nelle scorse settimane abbiamo assistito alla inquietante storia della piccola Maria senza poter mai ascoltare - sia pure attraverso la mediazione di persone autorevoli e competenti - la voce della bambina. Mi permetta di riassumere la storia di Maria che a me, come a molti, appare una storia oscura e non a lieto fine. Nel corso di un programma di solidale e affettuosa assistenza da parte di famiglie italiane a bambini e adolescenti del suo Paese (un programma che è cominciato dopo che sono diventate note le paurose conseguenze di Cernobyl specialmente sulle persone più giovani) alla famiglia italiana Giusto è toccato di accogliere per l’estate la bambina Maria.
La bambina è proveniente da un orfanotrofio (non da un’altra famiglia) di Bielorussia per un periodo concordato di alcuni mesi, nell’ambito di un programma che riguarda centinaia di altri bambini e adolescenti.
Il caso di Maria è nato quando la famiglia ospitante si è resa conto che quella loro ospite dell’età di 10 anni ha confidato di avere subìto, nell’orfanotrofio da cui proveniva, la peggiore esperienza che possa toccare a un minore isolato e indifeso: violenza e sevizie.
Si tratta, a quanto pare, di un racconto coerente, espresso in modo consistente (senza apparenti invenzioni e alterazioni) e chiaro abbastanza da suscitare non solo attenzione ma grave allarme della famiglia (due coniugi e le loro madri o "nonne" della bambina) e di chi ha potuto ascoltare la piccola.
C’è stato, a questo punto, un appello che non ha violato in nessun punto né i doveri di ospitalità (che non sono patria potestà ma pur sempre dovere di prestare attenzione a un bambino e di accogliere una così grave segnalazione di pericoli), né quelli dei rapporti internazionali. Investigare, con sufficienti ragioni di sospetto un presunto mafioso italiano in Bielorussia non costituisce offesa all’Italia e non comprometterebbe i rapporti internazionali, più di quanto una preliminare verifica di quanto detto dalla bambina sulle vicende dello orfanotrofio bielorusso avrebbe costituito offesa o pregiudizio alle relazioni fra la Bielorussia e l’Italia.
Ma Lei, Signor Ambasciatore, ha scelto di minacciare l’Italia di interruzione di tutti i rapporti che coinvolgono migliaia di bambini e migliaia di famiglie. Non so spiegarmi perché il mio Paese abbia accettato la sua minaccia, abbandonando al suo destino una bambina la cui gravissima denuncia non è stata verificata e neppure ascoltata al di fuori della famiglia che ha scelto di difenderla, come qualunque adulto, in coscienza, ha il dovere di fare in simili circostanze.
Faccio notare a Lei, Signor Ambasciatore, ma anche ai miei concittadini, ai miei colleghi giornalisti e ai miei silenziosi colleghi parlamentari, che esiste una legislazione internazionale che consente di indagare ed eventualmente di processare e condannare in Italia un nostro cittadino che sia accusato di abusi su bambini in un altro Paese. Un principio fondamentale del diritto, quello del giudice naturale legato al luogo del reato, è stato trascurato pur di proteggere i bambini da gravi catene di reati (il turismo sessuale).
È evidente che un simile percorso giuridico non può che avere un risvolto di reciprocità: se un bambino ospite in un altro Paese denuncia di avere patito lo stesso reato in una pubblica istituzione del Paese da cui proviene, chi lo ospita (non solo persone, ma anche autorità e governo) non può svestirsi dello stesso dovere di protezione solo perché il gravissimo sospetto di reato viene scoperto dalla parte del bambino che ha subito il danno invece che dalla parte dell’adulto che lo ha commesso.
Dunque sarebbe stato giusto anzi doveroso trattenere la bambina temporaneamente lontana dal presunto pericolo. E sarebbe stato bello se Lei, Signor Ambasciatore, invece di minacciare l’intera rete di rapporti solidali e fraterni fra i due Paesi in materia di assistenza ai bambini ci avesse detto: «stiamo investigando».
Non solo ciò non è accaduto, non solo tante autorità e media sembrano essere volentieri e prontamente caduti nel gioco di immaginare la bambina bugiarda e l’ambasciatore il solo autorevole deus ex machina di tutta la vicenda. Ma si è mentito a tutti su tutto.
Si è mentito dicendo che la vicenda della bambina sarebbe stata verificata, si è mentito facendo pensare a un periodo di "decompressione" intelligente e pedagogicamente sensata intorno alla piccola Maria, prima di prendere una decisone sul suo futuro. Si è ovviamente mentito trasportando la piccola improvvisamente via dall’Italia, una vera e propria "rendition" realizzata da due governi che hanno voluto ignorare il diritto di una bambina in nome di buone relazioni, esattamente come avviene per le altre "renditions".
So benissimo, Signor Ambasciatore, che da parlamentare italiano non ho alcun diritto nel suo Paese. Ma da rappresentante dei cittadini italiani ho il diritto di sapere quando, perché la parte italiana di questa vicenda ha mentito. E a nome dell’ansia e incertezza di chi mi ha eletto, ho diritto di sapere se questa bambina, che ha avuto fiducia nei suoi custodi italiani, è davvero stata affidata a una struttura diversa da quella in cui ha subito tormenti. Infine vorrei portare direttamente alle autorità giudiziarie del Suo Paese la testimonianza resa da Maria alla sua famiglia italiana, in nome di quella posizione ormai prevalente fra le giurisdizioni democratiche, secondo cui i reati contro i bambini vanno perseguiti dovunque. E non possono mai essere lasciati cadere nel vuoto o annegati negli eufemismi e nelle finzioni diplomatiche.
Se c’è una buona fede in almeno una parte delle affermazioni che Lei ha ritenuto di fare, delle pressioni che ha esercitato e delle promesse (tutte finora non mantenute) che ha usato sia come persuasione che come minaccia, La prego di rispondere in pubblico a questa richiesta. Incontrare Maria non è che un tardivo rimedio alla grave decisione di farla partire in segreto, come se la parte tremenda della sua storia fosse avvenuta in Italia e non in una istituzione pubblica del Paese in cui la piccola è ritornata. La visita è importante e urgente perché a Maria sono state tolte le garanzie stabilite dalla Convezione Onu di New York sui diritti del Fanciullo del 20 novembre 1989 ratificata in Italia il 27 maggio 1991: «Al fanciullo capace di discernimento è garantito il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo riguarda; le opinioni espresse dal fanciullo devono essere prese debitamente in considerazione».
La prego di rendersi conto che incontrare la bambina Maria, così ingiustamente trattata come un oggetto, significa almeno fugare la tremenda impressione della sua scomparsa dentro un universo irraggiungibile e ignoto. Sarebbe un evento non tollerabile nel diritto italiano e certo anche in quello del Suo Paese.
Resto, come molti altri italiani, in attesa di una Sua risposta e della indicazione tempestiva di una data in cui l’incontro con la bambina sarà reso possibile.
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www.unita.it, Pubblicato il: 02.10.06 Modificato il: 02.10.06 alle ore 9.01
Il ministro dell’Educazione di Minsk disponibile ad esaminare la richiesta dei Giusto. Dall’orfanotrofio di Vileika respinte le accuse di violenza pronunciate da Maria. Bambina bielorussia, governo possibilista: "Esamineremo la domanda di adozione" Dal pulpito della chiesa di Cogoleto il parroco guida un comitato a favore del rimpatrio. La Croce Rossa vuole incontrare Maria nella "casa del bambino" dov’è ricoverata. *
MOSCA - Il ministro bielorusso dell’Educazione Aleksandr Radkov parla di Maria, la bambina rimpatriata tre giorni fa dall’Italia dopo un lungo braccio di ferro con la famiglia affidataria: "Se i coniugi di Genova la rivogliono - dice il ministro - ne facciano richiesta e noi esamineremo la domanda in base alla legge". Dopo la rigida posizione mantenuta nei giorni scorsi davanti ai magistrati, l’apertura dell’esecutivo bielorusso arriva inaspettata e coglie di sorpresa anche l’avvocato della famiglia affidataria.
"E’ comunque un atto di umanità che ci fa grande piacere, ci rincuora moltissimo", ha detto Giovanni Ricco, legale dei coniugi Giusto. "Credo che sarà nell’interesse nostro e soprattutto della bambina cercare di riaprire tutti i canali possibili".
In questi giorni Maria è ricoverata in una struttura pubblica in Bielorussia, una "casa del bambino" come viene chiamata. E’ seguita, insieme all’équipe della struttura, anche da due psicologhe italiane dell’Asl che l’hanno accompagnata nel viaggio di ritorno in Patria.
L’opinione pubblica italiana è divisa sulla vicenda. C’è chi sostiene che nascondere la bambina alle autorità bielorusse sia stato un’illegalità che ha danneggiato non solo il futuro di Maria ma anche quello degli altri 40 mila bambini bielorussi che sperano di essere adottati dalle famiglie italiane che già li ospitano, e c’è chi invece è convinto che il rimpatrio della piccola sia stato un "tradimento".
Il parroco di Cogoleto dove abita la famiglia guida da giorno una battaglia a favore del rimpratrio della bambina. Dal pulpito della chiesa di Santa Maria ha invitato i fedeli ad esporre lenzuola bianche alle finestre per protestare contro la decisione di rimpatriare la piccola: "Continueremo a cercare Maria - ha detto don Danilo - perché in questo momento si sente tradita da noi". Ad ascoltare la predica, ieri mattina, c’erano anche le "nonne" che hanno nascosto la bambina venti giorni nel convento di Saint Oyen in Valle d’Aosta. "Siamo indignati: abbiamo dimostrato di essere forti con i deboli e deboli con i forti", ha detto il parroco denunciato per sottrazione di minore insieme alle due "nonne" e a don Francis Darbellay, priore della casa di accoglienza del Gran San Bernardo dove la bambina è rimasta ospite nei giorni di fuga.
Dalla Bielorussia, il direttore dell’istituto di Vileika dove la famiglia genovese sostiene che Maria sia stata vittima di gravi violenze, liquida come "menzogne" le accuse dei coniugi Giusto. Intervistato da un’emittente moscovita, Nikolai Volchkov respinge le accuse: "Lo ripeto: non c’è stato nessun abuso nell’orfanotrofio".
Ma i coniugi non demordono: Alberto Figone, uno degli avvocati della famiglia Giusto, ha predisposto un ricorso alla Corte di Strasburgo, mentre la CRI italiana chiede di incontrare Maria in Bielorussia: ’’Siamo pronti ad esercitare pressioni sul Governo bielorusso e su quello italiano", ha detto Massimo Barra, presidente della Croce Rossa. "Se ci sarà consentito, una nostra delegazione sarà presto in Bielorussia per incontrare la bambina’’. (2 ottobre 2006)
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www.repubblica.it, 02.10.2006
Amare un bambino non è quello che ho visto
Maria non è una merce
quei “genitori” hanno sbagliato
di Maria R. Calderoni (www.liberazione.it, 29.09.2006)
No. «Voi cosa avreste fatto al posto dei ”genitori?». E’ il titolo-domanda comparso ieri su Liberazione. Semplice, non ho il minimo dubbio. Avrei fatto esattamente l’opposto dei surrettizi genitori della piccola Maria. E quindi avrei tenuto un comportamento esattamente opposto da quello così ampiamente e appassionatamente propugnato dalla mia amica e compagna Elisabetta Mondello appunto sul nostro giornale. L’avrei festeggiata, cullata, baciata e abbracciata, la mia piccola Maria, e incoraggiata a tornare a casa, colà dove io avrei continuato ad assisterla e ad amarla, da lontano, amorevolmente e dolcemente. L’avrei rassicurata, prendendole la manina, e aiutandola ad incamminarsi, l’avrei circondata di carezze e di fiabe. Le avrei fatto capire - i bambini, come diceva Rodari nelle sue poesie, sanno capire le cose grandi - che intorno a lei c’è tanta gente che le vuole bene e la protegge. Sia qui da noi, che là, al suo paese. Un paese - le avrei detto e ripetuto, fino a farla sorridere - dove non ci sono orchi.
I bambini non sono proprietà dello Stato, certo. Ma non sono proprietà nemmeno dei genitori, naturali o adottivi, che non ne possono disporre a proprio arbitrio o piacimento, vuoi come oggetto di troppo, o di troppo poco, amore; vuoi come esibizione di narcisismo; o vuoi come ostentato possesso esclusivo. O vuoi - ciò che spesso accade persino nelle nostre “famigliole felici” del lombardo-veneto (non solo nella barbara Ucraina) - come materia di ricatti tra le coppie in crisi. Amare un bambino è un esercizio delicato e immenso, una fatica e una gioia che richiedono pudore, gentilezza, forza, immaginazione, generosità; anche il raro equilibrio di saper dire i no e i sì giusti nei momenti giusti.
Amare un bambino, perciò, non è quello che ho visto nei dintorni della coppia Giusto-Bornacin; in loro ho visto uno spasmodico desiderio di genitorialità a tutti i costi, un esagitato sovrapporsi alla correttezza, al lecito e persino alla legge. In nome di un diritto affettivo, di un patrocinio e di “un far da te” protezionistico che collima con la violenza. I Giusto-Bonacin, che si sono esercitati in una sorta di appropriazione indebita, tanto più grave perché l’oggetto del contendere, egregi signori, non è un una merce di scambio, né un premio in palio, ma un bambino. Solo un bambino.
Devo anche dire che vi ho visto persino il riflesso di una revanche di sapore razzistico, il riflesso della famosa pretesa “superiorità” occidentale, e magari cattolica, rispetto ai “barbari” dell’Est.
No. Ai Giusto-Bornacin, oggi come oggi, non darei la piccola Maria. Nè nessun altro bambino.
Portata via venerdì notte con un jet privato. La disperazione della famiglia: "Non finisce qui. Dovranno pagarla". E promettono il ricorso alla Corte di Strasburgo
Maria riportata in Bielorussia con un blitz. I Giusto: "Hanno giocato con la sua vita" *
GENOVA - Adesso è rabbia e disperazione per la famiglia Giusto. La piccola Maria (il vero nome è Victoria), la bambina bielorussa, è stata riportata nel suo Paese con una specie di blitz: è già arrivata a Minsk ed è stata accolta in una struttura nuova e più piccola rispetto all’orfanatrofio di Vileika dal quale proveniva e dove sembra aver subito violenze.
Ma per Alessandro Giusto e sua moglie Chiara Bornacin, da venerdì notte non c’è più pace. Victoria, dopo il ritrovamento in Valle d’Aosta da parte dei carabinieri, è stata esaminata da medici e psicologi che, evidentemente, hanno dato via libera al rimpatrio. L’operazione si è svolta con rapidità sospetta, Maria-Victoria è stata imbarcata su un jet privato all’aeroporto "Cristoforo Colombo" di Genova accompagnata dalle due psicologhe italiane che l’hanno seguita in questi mesi e che dovranno verificare il rispetto degli accordi da parte della Bielorussia. I Giusto, che speravano in qualche giorno di tempo per poterla salutare o tentare altre strade per impedirne la partenza, si sono trovati spiazzati e si sono precipitati all’aeroporto. Ma non sono riusciti a vedere la bambina.
E nella sala partenze dello scalo genovese si sono svolte scene di disperazione con Chiara Bornacin che urlava e piangeva e il marito Alessandro che gridava la sua rabbia: "Hanno giocato con la vita di una bambina di dieci anni. Dovranno pagarla, la pagheranno tutta". "Sono disgustata, mi vergogno di essere italiana" ha aggiunto la donna. I Giusto ce l’hanno col governo italiano e con il sistema giudiziario che, anche venerdì mattina si è espresso contro di loro. La corte d’appello di Genova ha infatti sentenziato che la bambina doveva essere rimpatriata. Ora, ha annunciato il legale della famiglia, faranno ricorso alla Corte di Strasburgo.
E il dolore dei Giusto è stato ingigantito anche dai tempi del rimpatrio: "Avremmo voluto salutare Maria-Vicoria - hanno spiegato - parlarle e rassicurarla. Ci è stato impedito. Non possiamo perdonare". Ma Alexei Skripko, l’ambasciatore della Bielorussia, ha scelto questa strada e a Minsk, adesso parlano apertamente di violenze "inesistenti" e di "fantasie della famiglia italiana che voleva adottare la bambina".
Sulla vicenda e nei confronti dei Giusto, anche l’opinione pubblica italiana si è divisa. Completo sostegno dalla comunità di Cogoleto dove abita la famiglia e della parrocchia. Comprensione e pena sul piano umano, da parte di tutti. Ma anche pesanti critiche dalle organizzazioni che seguono da anni le vacanze in Italia di bambini da Ucraina e Bielorussia e, soprattutto, dalle altre famiglie "affidatarie" che giudicano molto negativamente l’azione dei Giusto e il loro tentativo di nascondere la bambina e di evitarne il reimpatrio. (1 ottobre 2006)
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www.repubblica.it, 01.10.2006.