Ansa» 2008-05-17 17:52
L’ADDIO DI NISCEMI A LORENA
NISCEMI (CALTANISSETTA) - Le note del silenzio suonate da un trombettista hanno accompagnato la bara bianca con la salma di Lorena Cultraro all’uscita dalla chiesa Madre di Niscemi dove si sono svolti i funerali, tra gli applausi scroscianti delle migliaia di persone presenti.
Il papà di Lorena, Giuseppe Cultraro, ha voluto far sapere ai genitori dei tre ragazzi accusati dell’assassinio, di non gradire la loro presenza in chiesa ed ha ribadito ancora una volta di non essere disposto a perdonare.
AMICHE LORENA: PERDONO, NON TI ABBIAMO CAPITO
Subito dopo l’omelia sono intervenute a ricordare la figura di Lorena Cultraro le sue amiche e alcune compagne di scuola: "Oggi è un giorno importante, cara Lorena. Eri ragazzina con il diritto alla vita come ciascuno di noi. Ma questo diritto te lo hanno negato. Noi forse non ti abbiamo capito. Perdonaci". Un’altra testimonianza: "la tua morte non è stata inutile, sarà un seme di verità che germoglierà tra noi". Un’altra ragazza ha detto: "oggi, dopo la tua scomparsa, nessuno di noi si sente più sicuro. Abbiamo paura per quello che ci potrà accadere domani. Ti ringraziamo Lorena. Tu ci hai fatto capire tante cose". Il parroco ha ringraziato le ragazze e salutato i "giovani che oggi non ci sono più a Niscemi perché vittime delle varie forme di violenza".
Gli ultimi a rendere l’estremo saluto a Lorena, a conclusione della cerimonia religiosa, sono stati il preside dell’Istituto tecnico commerciale frequentato dalla ragazza, Fernando Cannizzo, e il sinmdaco di Niscemi Giovanni Di Martino, che a nome della città ha chiesto "perdono". Il preside ha utilizzato parole come sgomento, pietà, rispetto: "Sgomento - ha spiegato - come sentimento presente nell’animo di ciascuno di noi in questi giorni, ma che si associa alla pietà. Ho visto in casa di Lorena i suoi genitori abbracciati come bambini smarriti. Infine il rispetto che deve essere soprattutto il rispetto per la vita".Il sindaco ha parlato di "giorni terribili", ma ha sottolineato anche la "solidarietà ricevuta da ogni parte d’Italia" ed infine si è rivolto direttamente alla ragazza uccisa con accenti commossi: "Mia cara Lorena, a nome della città, a nome di tutti noi ti chiedo perdono. Non siamo stati capaci di interpretare il tuo disagio, di raccogliere il tuo appello, il grido d’aiuto e di dolore che da te giungeva"."Da domani - ha aggiunto Di Martino - nel rispetto del tuo nome e della tua dignità chiamerò a raccolta le componenti attive e sane di questa città per avviare ogni iniziativa capace di dare risposte e soluzioni al disagio giovanile e ai bisogni di ragazzi come te". Il sindaco ha concluso com un "appello alle istituzioni" annunciando che chiederà al presidente della repubblica "di venire a Niscemi per avere il suo aiuto e il suo sostegno".
Folla alle esequie della ragazza uccisa da tre adolescenti
Uno striscione dei compagni di scuola: "Sarai sempre con noi"
Migliaia ai funerali di Lorena
Il papà: "No ai genitori in chiesa"
Negata la presenza ai famigliari dei tre giovani assassini
Le amiche la ricordano: "Non ti abbiamo capita, perdonaci"
NISCEMI (Caltanissetta) - Da un balcone che affaccia sulla piazza della chiesa di Niscemi è sceso un lenzuolo. Sopra c’è una lunga frase. Ha un titolo: "E’ nata una stella". E comincia così: "Questo pensiero va a una farfalla violata, ferita, negata alla vita da tre assassini freddi e spietati". I compagni di classe di Lorena, che aprono il corteo funebre di circa mille persone, sorreggono uno striscione: "Nel cielo c’è un altro angelo, Lorena sarai sempre con noi".
Non si trovano più la parole per la rabbia e il dolore per la morte di Lorena, la ragazza di 14 anni uccisa da un branco di coetani che già che c’erano l’hanno anche buttata in un pozzo. Le urla verrano fuori dopo, semmai. E allora Niscemi affida la sua disperazione a lenzuoli e striscioni per l’ultimo saluto alla piccola Lorena. Giuseppe Cultraro, il papà, pone solo una condizione: "Non vogliamo in chiesa i genitori dei tre minori che hanno ucciso mia figlia".
Nella chiesa madre, in piazza del municipio, dove si celebra il funerale, ci sono moltissime persone e tante corone di fiori, tutte bianche: arrivano dai vigili del fuoco, di cui fa parte il papà di Lorena, dall’Istituto tecnico commerciale di Niscemi, frequentato dalla ragazza, e poi il liceo scientifico Leonardo da Vinci e tanti altri enti e istituzioni.
E’ arrivato anche un messaggio del Presidente del Senato Renato Schifani che scrive: "E’ stata stroncata la vita di una ragazza, poco più che bambina, colpita da una cieca violenza che le nostre coscienze faticano a concepire".
Nell’omelia il parroco, don Lino Mallia, ha invitato i giovani a "non vivere da parassiti". "Non accontentatevi di essere così e così" ha detto. "Io da giovane pensavo di vivere da eroe. Non c’è stata l’occasione. A voi dico siate eroi audaci e forti. Forti per andare contro corrente per dissociarvi dai vili e qualunquisti per non accettare compromessi per non arrendersi per non lasciarsi trascinare da tendenze che intruppano nella massa come pecore ammucchiate. Siate forti per non essere alimentati delle stesse porcherie di cui si alimentano i porci, per non vivere da parassiti".
La nonna di Lorena ha avuto un mancamento. E’ forte la commozione della gente che è venuta a salutare la ragazza e non riesce a spiegarsi come qualcosa di così brutale e insensato possa essere successo così vicino. Le amiche hanno ricordato Lorena dopo il parroco: "Noi forse non ti abbiamo capito. Perdonaci", hanno detto. Un’altra testimonianza: "La tua morte non è stata inutile, sarà un seme di verità che germoglierà tra noi". Un’altra ragazza ha detto ancora: "Oggi, dopo la tua scomparsa, nessuno di noi si sente più sicuro. Abbiamo paura per quello che ci potrà accadere domani. Ti ringraziamo Lorena. Tu ci hai fatto capire tante cose". Poco dopo, la bara bianca è uscita dalla chiesa, scortata da un lungo applauso.
* la Repubblica, 17 maggio 2008.
EDITORIALE
PER LORENA
di Maria G. Di Rienzo
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per questo intervento. *
IL 17 maggio si manifesta a Verona ricordando il recente assassinio di Nicola Tommasoli. La mia casella di posta elettronica e’ piena di messaggi che me lo ricordano.
Per Lorena Cultraro, quattordicenne uccisa, bruciata, gettata in un pozzo, non mi arriveranno comunicati e inviti. Non ci sara’ una manifestazione nazionale per Lorena promossa dai partiti della sinistra. Nessuno scrivera’ un appello dal titolo "Lorena siamo tutti noi". Nessuno si sentira’ fieramente antifascista e percio’ orripilato per la sorte di Lorena. E infatti che c’entra?
Ci sono troppi fattori diversi. I tre assassini sono minorenni, hanno alle spalle famiglie da tutelare, e poi esprimevano a loro modo dei bisogni, e c’e’ da fare il conto con la loro "diversa" cultura, no?
Hanno pianificato l’omicidio, hanno pianificato l’occultamento del cadavere, ma erano evidentemente in preda a raptus: "abbiamo perso la testa", hanno dichiarato. E poi, maggior differenza di tutte, il cadavere di Niscemi e’ di sesso femminile. Quindi, come ben dicono le tacche sui calci delle pistole di John Wayne, sono cadaveri che "don’t count", le donne non si contano, valgono meno e tutti sappiamo che valgono meno, percio’ a che pro agitarsi tanto? Sara’ stata consenziente. Un po’ se l’e’ voluta. Non avrebbe dovuto... (e qui metteteci quel che vi pare: uscire da sola, innamorarsi, avere amici). E’ colpa sua.
Percio’ i tre fascistelli assassini, che tali sono perche’ imbevuti di ideologia patriarcale, non riceveranno le manifestazioni di sdegno di nessun eminente politico e gli opinionisti sdottoreranno di psicologia e pulsioni, e qualche testa di rapa proporra’ ancora che le femmine escano di casa indossando un collare da cane (al polso) con messaggino d’aiuto incorporato, o che non dimentichino lo spray al peperoncino, o che si impegnino in corsi d’autodifesa i quali insegnano come si cacciano le dita negli occhi ad un altro essere umano, ma niente sul tuo valore e sulla stima che fai di te stessa. E meno che mai su cosa fare quando ami il tuo assassino.
La prossima Lorena ricevera’ tutti questi messaggi: che la morte della sua coetanea non conta nulla per nessuno, che quindi gli adulti sono ancora piu’ falsi e ipocriti di quanto pensava e non si puo’ assolutamente contare su di loro quando si e’ nei guai; che le donne sono vittime predestinate e se manifestano segni di indipendenza e intraprendenza devono essere severamente punite; che la sessualita’, per le donne, e’ morte. Poi la prossima Lorena verra’ assassinata, ed io leggero’ a commento eruditi articoli sugli effetti dei videogiochi sulla psiche giovanile. Le mani dei "piccoli" omicidi verranno impunemente armate di nuovo, e di nuovo, dall’indifferenza, dalla misoginia e dal machismo. Ma alla sinistra i "femminicidi" interessano, quando interessano, solo se si danno a Ciudad Juarez. E alla destra solo se gli assassini sono romeni.
Tratto da
Notizie minime de
La nonviolenza è in cammino
proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo,
tel. 0761353532,
e-mail: nbawac@tin.it
Arretrati in:
http://lists.peacelink.it/
Numero 457 del 16 maggio 2008
* Il Dialogo, Venerdì, 16 maggio 2008
Niscemi, necessario un lavoro di rieducazione
di Luigi Cancrini *
I ragazzi di Niscemi che hanno confessato di aver ucciso e gettato in un pozzo la loro compagna di 14 anni non sono troppo giovani per aver compiuto da soli un gesto così atroce? È possibile che siano arrivati a tanto? La loro è una patologia? La psichiatria ha una risposta per un caso come il loro se le cose sono andate così? Che cosa proporresti di fare, in un caso analogo?
Franco S.
Possibile sì perché è accaduto: anche se è difficile ammetterlo. Che la condotta di questi tre ragazzi sia stata patologica, ugualmente, mi sembra fuori di dubbio. Sul che fare con loro, sulle origini e sul possibile decorso di una patologia come questa oggi, le ricerche fatte nel corso di questi ultimi trent’anni propongono la possibilità, invece, di dire qualcosa in più di quello che si dice nei "normali" talk show televisivi. Su tre punti fondamentali.
Il primo di questi punti, a lungo controverso, riguarda l’origine non genetica dei comportamenti legati all’antisocialità e, più in generale, ai disturbi di personalità. Siamo lontani, oggi, dalle ipotesi di Lombroso che collegava all’eredità e alle caratteristiche somatiche dell’individuo la sua tendenza a commettere dei delitti. C’è una letteratura ampia e concorde (consultare il bellissimo libro a cura di J.F.Clarkin e M.F.Lenzenweger "I Disturbi di Personalità", Cortina Editore) a dimostrare che quelle legate all’eredità sono alcune caratteristiche normali del temperamento (quelle che ci fanno normalmente diversi l’uno dall’altro contribuendo, come i lineamenti del volto, a darci una fisionomia psicologica particolare), non gli aspetti patologici (come in questo caso) del carattere e della personalità. Le origini di questi aspetti patologici vanno ricercate, infatti, nella storia personale dell’individuo.
È nei contesti interpersonali familiari e sociali in cui il bambino viene cresciuto ed in cui l’adolescente delinea una sua autonomia ed identità che si definiscono, infatti, l’orientamento, la forza e la flessibilità di quello che sarà poi il senso morale dell’adulto. Sono le esperienze vissute nel corso di una infanzia negata o di una adolescenza sbagliata quelle su cui si struttura quel tipo di segnaletica interna cui ci riferiamo tutti parlando di coscienza: come ben indicato già negli anni 30 e 40 dai primi allievi di Freud (dalla figlia Anna, in particolare, e da August Aichorn) e come dimostrato anche sperimentalmente, oggi, da studi come quelli di Otto Kernberg, di Lorna Smith Bejiamin e di tanti altri che si sono occupati di questo problema.
Ma come confermato quotidianamente, soprattutto, dalle esperienze di chi si confronta da una parte con i bambini abusati, maltrattati o gravemente trascurati e, dall’altra, con le persone che soffrono di disturbi gravi di personalità (e oggi, in particolare, di alcolisti, tossicodipendenti e autori di reati contro la persona): proponendo (io lo faccio di continuo insegnando ai più giovani e scrivendo: occupandomi ad esempio di Oceano Borderline, Cortina Editore) che il modo migliore di occuparsi del bambino che soffre è quello di immaginare l’adulto che ne verrebbe fuori se non si intervenisse terapeuticamente e che il modo migliore di occuparsi del giovane o dell’adulto che propone questo tipo di comportamenti patologici è quello di immaginare il bambino spaventato e infelice che si nasconde dietro di loro.
Il secondo di questi punti, altrettanto e forse più importante, è quello che riguarda la reversibilità di queste condizioni. Una reversibilità nota già da tempo per quello che riguarda gli adolescenti per cui i manuali diagnostici sconsigliano di porre diagnosi definitive ben sapendo la facilità con cui, in una età compresa più o meno fra i 12 ed i 20 anni, si esce e si entra dalla patologia in rapporto al mutare dei contesti e delle esperienze vissute. Una reversibilità scientificamente ben dimostrata (lo studio longitudinale di Toronto in Canada su 640 ragazzi con problemi seguiti dai 13 ai 18 anni) che rende un po’ ridicola e comunque desueta la convinzione di genitori, educatori, uomini di legge e (purtroppo) psichiatri convinti dell’origine congenita della "cattiveria" e della "devianza" abituati a vedere, nelle condotte patologiche di un ragazzo o di una ragazza, come la prova evidente di una sua immutabile patologia: come accade, ancora, ai figli di tante famiglie "normali" ma come accade oggi in modo drammatico nel caso delle adozioni che vanno male. Ma una reversibilità dimostrata, oggi, anche a proposito degli adulti dove le ricerche longitudinali (quelle, costose e difficili, che seguono per anni il decorso di un certo disturbo) propongono l’idea per cui i disturbi di personalità, gravi al punto da aver richiesto dei ricoveri psichiatrici, scompaiono in una percentuale di casi vicina al 50% dopo 4 anni ed in una percentuale di casi superiore al 70% se li si valuta a distanza di sei anni. Aprendo prospettive straordinarie alla possibilità di utilizzare degli interventi terapeutici efficaci, soprattutto se di livello psicoterapeutico, in situazioni di devianza carceraria o psichiatrica considerata da molti "esperti" (e da molto "senso comune") come senza speranza.
Il terzo di questi punti, particolarmente importante qui, nel caso dei tre ragazzi di Niscemi, è quello legato alla gravità del reato che hanno commesso. L’equivoco da dissipare subito è quello per cui le finestre aperte da una riflessione psicoterapeutica sulle esperienze traumatiche, lontane o vicine, di chi ha commesso un reato, sono l’espressione di una tendenza alla giustificazione retrospettiva di tale reato.
Tutto al contrario, chi si occupa di psicoterapia di casi come questi deve partire sempre dall’idea per cui i meccanismi difensivi basati sulla negazione e sulla autogiustificazione ("non sono stato io", "non volevo", "la colpa è di chi mi ha provocato o di chi non mi ha insegnato cose giuste") sono ostacoli fra i più importanti sulla strada del cambiamento. Mettere a fuoco nella propria mente e nel proprio cuore l’altro e la gravità del danno che gli si è procurato è doloroso ma fondamentale nel processo di elaborazione del lutto che l’autore di un reato grave è, che se ne renda conto o no, deve vivere fino in fondo se è arrivato a colpire o ad uccide: un lutto legato alla perdita di una immagine non più recuperabile del Sé.
In un caso così, quello che si dovrà fare (e si può fare: il nostro sistema penale minorile funziona spesso ad un buon livello) è un lavoro di rieducazione portato avanti da persone con competenze psicoterapeutiche sviluppato all’interno di luoghi adatti (il carcere minorile prima e la Comunità dopo): coniugando la pena collegata alla perdita temporanea della libertà ad un aiuto centrato sulla riattivazione delle parti sane di questi poveri ragazzi. Sapendo che il delitto che hanno commesso li segnerà per sempre ma sapendo anche che questo non impedirà loro di ritrovare sé stessi ed il loro progetto di vita.
* l’Unità, 19.05.2008
EDITORIALE.
MARIA G. DI RIENZO: PREFERISCO I LUPI *
Ecco che e’ arrivata. La "prossima Lorena" di cui scrivevo la settimana scorsa. Questa non l’hanno uccisa, e’ viva, se si puo’ chiamare vita quella di una quattordicenne italiana violentata per un anno da almeno ventitre’ baldi giovanotti italiani (gli indagati erano inizialmente un’ottantina), che la ricattavano tramite un filmato. Sottolineo la nazionalita’ a scopo terapeutico: se ce n’era uno solo di straniero, in mezzo alla folla degli stupratori, si sarebbe scatenato l’uragano.
I maestri pensatori nostrani si stanno stracciando le vesti sul "deserto morale della gioventu’", come se non fosse il riflesso, la conseguenza e l’imitazione dell’abisso immorale degli adulti. Quasi tutti i violentatori si sono discolpati di fronte ai carabinieri dicendo che "Lei ci stava". E certo. La sequenza e’: lusingala, minacciala, filmala, ricattala. Poi ci sta. La mafia non si comporta mica diversamente, e in Italia se ti condannano per mafia la pena e’ un seggio parlamentare.
La ragazzina a scuola e’ stata bocciata, non ha amici, e’ alternativamente anoressica o bulimica. Era diventata lo zimbello dei giovani del suo paese: dicevano che era affetta da Aids e che bastava uno squillo di telefono per averla, che sessualmente era disponibile a qualsiasi cosa e di sua spontanea volonta’. Dov’erano gli adulti? I genitori, gli educatori, gli insegnanti? Ci "stavano" anche loro? Volete farmi credere che si puo’ stuprare in gruppo una bambina per un anno intero, diffamarla per l’intero paese e ridurla psichicamente ad una larva senza che nessuno sappia, nessuno capisca, nessuno sospetti?
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Ecco che e’ arrivata, un altro file nella mia cartella: quando mi decidero’ a scrivere il distillato di questa cantina di veleni mi esplodera’ il cuore. Pero’ dovro’ farlo, perche’ anche questa "Lorena" sparira’ dalla carta stampata, e dalla memoria collettiva, nel giro di pochissimo tempo. Non ne sapremo piu’ nulla, perche’ non sara’ piu’ utile a qualcuno saperne qualcosa. Si denunciano quattro stupri al giorno, nel Belpaese (e quindi la cifra e’ assai probabilmente piu’ alta), ma a tenere la prima pagina sono quelli che comodano in periodo elettorale o per propaganda politica.
Allora ascoltatemi, amici e amiche di progressista indole, che sobbalzate alla parola "femminismo", che vivete nell’era fantastica del post-patriarcato, che scrivete articoli sulla sconfinata liberta’ delle veline e delle velate, che analizzate il raptus e il deserto morale della gioventu’: non potete chiamarvene fuori in questo modo. La guerra mondiale contro le donne ha un fronte nel vostro paese, e la guerra va fermata. Se siete solo minimamente conseguenti con le belle parole che riempiono i vostri testi e le vostre bocche, usate gli uni e le altre per protestare.
Protestate contro quella cultura che inonda i giovani maschi dei principi di dominio e violenza, e che esalta i delinquenti come furbi. Protestate contro quella cultura del venditi-e-compra che seduce ambo i sessi. Smettete di essere complici passivi dei discorsi sessisti che udite e delle molestie di cui siete testimoni. Se avete accesso ai media, usatelo per dissentire. In quante dobbiamo morire ancora, fisicamente o emotivamente, prima che la cosa vi faccia orrore?
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E ascoltatemi, ragazzi: lo stupro non e’ sesso. Farlo con altri dieci che ti guardano mentre aspettano il loro turno, su una ragazzina ricattata, non e’ sesso, e’ roba da sfigati. Non e’ da "veri uomini", e’ da "veri vigliacchi".
Lo stupro e’ la parodia del sesso che la violenza vi da’, ed e’ un surrogato infame. Non avete neppure idea di quanto sia delizioso scoprirsi a vicenda, proteggersi a vicenda, rispettarsi a vicenda, provare tenerezza l’uno per l’altra e viceversa, inventare, sperimentare, "pazziare" in un letto o su un divano con qualcuno che ci desidera, ci considera, ci vuole bene. Non ve la menero’ sull’amore: so anch’io che puo’ essere disgiunto dal desiderio, ma so altrettanto bene che se non rispetti ed impari a conoscere il corpo stretto al tuo la soddisfazione che ne ricavi puoi averla da solo, maggiorata, in bagno, e so pure che quando sei innamorato di qualcuna/o la cosa ti riesce cinquemila volte meglio. Ascoltate anche questo: le ragazze non sono venute al mondo per compiacervi. Non vi appartengono, non sono spoglia di guerra o bottino di conquista. Voi non siete venuti al mondo per compiacerle, stesso discorso. Voi e loro condividete uno status giuridico che garantisce i vostri diritti umani. Cio’ significa che voi e loro condividete il diritto, poiche’ entrambi siete esseri umani, a non essere stuprati, battuti, umiliati e cosi’ via. Non ci sono persone che diventano "cose" in base ad una loro caratteristica, e questo vale per le femmine, per i maschi, per quelle di tredici anni, per quelli di diciassette, per quelli con gli occhiali, per quelle con le orecchie a sventola, per quelle che parlano un’altra lingua e per quelli che sono arrivati qui da un altro paese.
Non e’ difficile da capire, vero? Perche’ dovete sapere ancora una cosa: non siete immuni alla violenza sessuale. Ma nel caso non sara’ una donna a forzarvi, sara’ un altro uomo. E’ di oggi (21 maggio 2008) la notizia che nella mia citta’ un coetaneo della ragazzina del lucchese e’ stato stuprato da un vicino di casa. Quest’uomo ha potuto farlo grazie ad una gerarchia valoriale che anche voi tendete a perpetuare, quella che avete appreso dagli adulti, quella che vedete in televisione, quella che vi propongono ossessivamente pubblicita’ e video eccetera. Il maschio dominante, il cui unico potere e’ quello di costringere con la violenza gli altri e le altre a far quello che vuole lui. E dopo che l’hai simbolicamente uccisa con lo stupro, la tua vittima, cosa ti resta? Potrebbe parlare, darti fastidi, forse bisogna aumentare la dose di violenza, picchiarla di piu’, infine ammazzarla davvero. Bel seduttore, bel dongiovanni, proprio "figo". Voi vi vantate di essere diversi, non volete che la vostra vita sia controllata, vi credete autonomi: allora perche’ non avete uno scatto di orgoglio e non rigettate tutta l’immondizia di cui vi ingozzano? Avete paura del giudizio dei vostri amici? Chi vi organizza nel cosiddetto "branco" non e’ un amico, e’ un farabutto che vi voltera’ le spalle non appena sgarrerete per volonta’ o necessita’, e che se per salvarsi dovra’ pugnalarvi alla schiena lo fara’ senza rimorso. Gerarchia, ragazzi. Dominio. Chi sta sotto conta fin tanto che serve ed esattamente nella misura in cui serve.
Immagino che possa esserci un brivido di piacere nel sentirsi assimilati ad un gruppo di lupi che cacciano insieme, ma se l’esercizio della violenza e’ l’unico piacere che riuscite ad avere i vostri sensi sono gia’ morti per tre quarti. Vi diro’, bisognerebbe conoscerli meglio, i lupi. Credo si offenderebbero ad essere equiparati ad un club di stupratori. Innanzitutto, cacciano per mangiare e non per accoppiarsi. Derivano il loro "rango" da quello delle loro madri: tanto che un capo puo’ essere cieco da un occhio o zoppo, non dev’essere necessariamente il piu’ dotato a livello fisico. E qual e’ il ruolo di questo capo, infine? Proteggere. Attirare i pericoli lontano dal branco, sacrificandosi se necessario. Senza offesa, lo preferisco ad un violentatore. Se mai dovesse attaccarmi lo fara’ per fame o per difesa, e mai per libidine di servilismo ai dettami di una societa’ che distrugge voi ragazzi nel mentre vi incita a distruggere altre ed altri esseri umani.
* NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 463 del 22 maggio 2008
Ansa» 2008-11-11 16:14
DELITTO DI NISCEMI: CONDANNATI A 20 ANNI I TRE IMPUTATI
CATANIA - Il Gup di Catania, Alessandra Chierego, ha condannato a vent’anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici i tre minorenni imputati per l’omicidio di Lorena Cultraro, la quattordicenne scomparsa da casa il 30 aprile scorso, il cui cadavere fu ritrovato il 13 maggio in una cisterna nelle campagne di Contrada Giummarra di Niscemi (Caltanissetta). I tre imputati sono rei confessi del delitto, ma hanno sempre negato di avere violentato Lorena e la premeditazione dell’omicidio.
SENTENZA TRA LE LACRIME E MALESSERE DEGLI IMPUTATI I tre minorenni condannati hanno accolto la sentenza del Gup per i minorenni di Catania "malissimo, in lacrime e con profondo sconforto" e sono stati colti "da un comprensibile malessere". Lo rivelano i due legali che li difendono, gli avvocati Francesco Spataro e Mirko Ragusa. "Vent’anni di reclusione per un minorenne - sottolinea l’avvocato Spataro - rappresentano la fine di una vita, la distruzione dei progetti futuri che vengono a cadere". "I ragazzi - ha aggiunto il penalista - avevano già capito quello che avevano fatto ed erano pentiti. Sfido chiunque a non pentirsi davanti a una contestazione così di un grave di un fatto commesso e ampiamente confessato dai ragazzi". "Noi - aggiunge l’avvocato Ragusa - li avevano messi di fronte alla possibilità che ci fosse una condanna dura: è ed è arrivata con il massimo della pena. Hanno accolto la sentenza in lacrime capendo oggi ancora di più la gravità del delitto commesso". I due penalisti non si pronunciano su un ricorso: "valuteremo - spiegano - dopo avere letto le motivazioni".
LEGALE, I GENITORI DI LORENA VOLEVANO L’ERGASTOLO - I genitori di Lorena Cultraro avrebbero voluto "la condanna all’ergastolo" per i tre minorenni accusati per la morte della figlia. Lo rivela il legale di famiglia, l’avvocato Carmelo Pitrolo, che ha comunicato loro la sentenza al telefono e spiegato che "quello ottenuto è il massimo della pena". "I processi ai minorenni - spiega il penalista - non prevedono una condanna superiore ai 30 anni di reclusione e la scelta del ricorso al rito abbreviato l’ha ridotta a 20 anni. Quella comminata dal Tribunale per i minorenni di Catania è la pena massima prevista dal codice".
IL PADRE, DOVEVANO MARCIRE IN CARCERE - "Vent’anni di carcere per quei ’mostri’ per me non sono niente, perché mia figlia non me la ridà nessuno: io volevo l’ergastolo per loro". Così Giuseppe Cultraro conferma, come anticipato al suo legale, la sua valutazione sulla condanna comminata ai tre minorenni per la morte di sua figlia Lorena. "Quei ’mostri’ - aggiunge Cultraro - dovrebbero marcire in carcere per tutta la vita. La verità è che in Italia non c’é giustizia. Vent’anni di reclusione per quello che hanno fatto non sono niente: è come se fossero stati condannati non per avere assassinato una ragazza di 14 anni ma un animale".