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I giornali politici devono avere un vicedirettore giornalista

Anche per le pubblicazioni di carattere politico, serve un iscritto all’Ordine
giovedì 10 febbraio 2005.
 

Giornali politici: c’è l’obbligo di nominare un vicedirettore responsabile iscritto nell’Albo

SENTENZA n. 2/1971 LA CORTE COSTITUZIONALE ha pronunciato la seguente SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1969 dal pretore di Catania nel procedimento penale a carico di Mignemi Giuseppe, iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969.

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 novembre 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con provvedimento del 15 settembre 1967 il Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, accertato che il periodico politico "Il nuovo partito popolare" era rimasto privo di vice direttore responsabile, dispose la cancellazione dall’elenco dei pubblicisti di Giuseppe Mignemi, già iscrittovi a titolo provvisorio, nella sua qualità di direttore, ai sensi dell’art. 47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69. Di conseguenza il tribunale di Catania, in applicazione dell’art. 5, n. 3, della legge sulla stampa (8 febbraio 1948, n. 47), revocò la registrazione del periodico.

In un procedimento penale a carico del Mignemi, imputato del reato previsto dall’art. 16, comma primo, di quest’ultima legge per aver continuato nella pubblicazione del foglio, il pretore di Catania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma terzo, della legge n. 69 del 1963, in forza del quale l’iscrizione provvisoria, nell’elenco dei pubblicisti, del direttore di una pubblicazione periodica che sia organo di partiti o movimenti politici viene subordinata alla contemporanea nomina di un vice direttore già iscritto nel predetto elenco.

L’ordinanza di rimessione - emessa il 4 febbraio 1969 - giustifica la rilevanza della questione con l’osservazione che il suo accoglimento provocherebbe l’illegittimità del provvedimento di revoca della registrazione, la sua disapplicazione e la conseguente assoluzione dell’imputato.

Quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità, il giudice a quo, ricordati i principi affermati da questa Corte nelle sentenze n. 11 e n. 98 del 1968, mette in evidenza il carattere peculiare di uno stampato periodico "edito, diretto e quasi integralmente redatto da una sola persona, che, volendo divulgare con una certa periodicità giudizi, opinioni ed intenzioni politiche, si serve del giornale per richiamare l’attenzione della collettività su essi". Rilevato che questo tipo di stampato, nonostante le sue particolari caratteristiche, è tuttavia considerato "giornale" dalla legge e viene assoggettato alla relativa disciplina, il pretore osserva che la condizione posta dalla disposizione impugnata viola il principio di eguaglianza, giacché mette le persone meno abbienti in uno stato di inferiorità tale da imporre perfino la rinuncia a dar vita allo stampato, e viola altresì l’art. 21 della Costituzione, perché di fatto, anche in considerazione della difficoltà di trovare un giornalista disposto a correre i rischi di una campagna di critica, si traduce in un divieto: divieto illegittimo quando, come nel caso degli stampati di cui si tratta, mancano quelle giustificazioni che la Corte ebbe a mettere in evidenza a proposito dell’impresa giornalistica.

Il pretore si dà carico del pericolo che una nuova formulazione dell’art. 47, quale risulterebbe a seguito dell’accoglimento della questione, potrebbe consentire una facile elusione della legge, ma osserva che il legislatore potrebbe intervenire con adeguate misure. Ad ogni modo a suo avviso è certo che nel conflitto fra due interessi deve prevalere quello che sta a base del diritto di ogni individuo di divulgare il proprio pensiero a mezzo del giornale: nel complesso della nostra legislazione l’interesse del giornalista è sufficientemente protetto e la disposizione impugnata si limita a consolidare la sua protezione; ma di fronte a questa limitata finalità non può non darsi prevalenza al bene tutelato dalla norma costituzionale di raffronto.

Sulla base di tali considerazioni il giudice a quo conclude che non manifestamente infondata è la denunzia del citato art. 47 "in quanto questo impone, anche se a fini di tutela costituzionale dell’attività dei giornalisti professionisti, delle limitazioni alla pubblicazione di una determinata categoria di periodici".

2. - Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato - costituitasi con atto 8 giugno 1969 in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri - la questione non è fondata: essa, in effetti, non proporrebbe un tema nuovo rispetto a quelli esaminati nelle precedenti decisioni in materia.

La difesa dello Stato si riporta ai principi affermati da questa Corte nelle sentenze n. 11 e 98 del 1968 ed osserva che il cittadino il quale voglia esprimere le sue idee a mezzo della stampa può liberamente collaborare ad un periodico edito da altri o pubblicare una monografia eventualmente da lui stesso edita: chè se, invece, vorrà dar vita ad uno stampato periodico, egli eserciterà tale diritto non come un soggetto comune, sibbene come soggetto professionalmente qualificato, e per questo caso ricorrono tutte le ragioni che la Corte già ritenne idonee a giustificare la necessità dell’ausilio di un pubblicista. Richiamato, a proposito della pretesa violazione dell’art. 21 della Costituzione, il principio secondo il quale ogni diritto di libertà non implica la garanzia di tutte le possibili forme del suo esercizio ed è quindi compatibile con i limiti che non si risolvano in una pratica sua soppressione o grave compromissione, l’Avvocatura esclude, altresì, che la disposizione denunziata violi il principio di eguaglianza: la situazione di chi vuole esprimere il proprio pensiero collaborando ad un giornale esistente è obiettivamente diversa dalla situazione di chi vuol farsi editore di un periodico; nel secondo caso gli sforzi finanziari sono nella natura delle cose; l’imposizione dell’onere dell’ausilio di un pubblicista è imprescindibile in relazione all’attività di cui si tratta, in base ad un apprezzamento discrezionale del legislatore che, secondo la costante interpretazione dell’art. 3 della Costituzione, deve essere riconosciuto pienamente legittimo.

3. - Nell’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato ha insistito nelle sue tesi e conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Ai sensi del terzo comma dell’art. 47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 - nel testo quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale pronunciata da questa Corte con sentenza n. 98 del 1968 -, la legittimità dell’affidamento della direzione di un giornale che sia organo di partiti o movimenti politici o di movimenti sindacali a persona non iscritta nell’albo dei giornalisti e l’iscrizione provvisoria del direttore nell’albo stesso vengono subordinate alla contemporanea nomina a vice direttore responsabile di un giornalista iscritto nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti.

Questa disposizione, come risulta dalla complessa motivazione dell’ordinanza di rimessione, viene denunziata dal pretore di Catania, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, non nella sua interezza, ma solo nella parte in cui essa si riferisce ad "una determinata categoria di periodici": più precisamente a quei periodici che il pretore definisce "a carattere ideologico" e che siano editi e diretti dalla stessa persona. Proprio in relazione a siffatta categoria verrebbero meno, ad avviso dei giudice a quo, quelle ragioni di giustificazione della legge che la Corte mise in luce nelle sentenze nn. 11 e 98 del 1968, sicché l’onere che la disposizione impugnata impone a chi voglia dar vita ad un periodico del tipo descritto si risolverebbe in una illegittima menomazione dei diritto di manifestare il proprio pensiero a mezzo della stampa (art. 21 Cost.) ed in una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): di quest’ultimo, si precisa, sotto il profilo della discriminazione, che a causa del peso economico di quell’onere si determinerebbe fra i soggetti, secondo che questi siano abbienti o non abbienti.

2. - Partendo dai principi enunciati dalla Corte nelle due precedenti decisioni - e che non vengono rimessi in discussione dall’attuale ordinanza, tutta motivata sulla peculiarità del particolare tipo di periodico in relazione al quale la questione viene proposta e delimitata - si deve escludere che la disposizione in esame comprometta la libertà riconosciuta e garantita dall’art. 21 della Costituzione.

Giova ricordare che nella sentenza n. 98 del 1968, in sede di valutazione della legittimità dell’obbligo di nominare il direttore ed il vice direttore responsabile dei comuni quotidiani e periodici fra gli iscritti nell’albo, la Corte affermò che la funzione dell’Ordine, già nella precedente decisione n. 11 riconosciuta positivamente apprezzabile proprio sul piano dell’art. 21 della Costituzione, sarebbe frustrata ove i poteri direttivi di un giornale potessero essere affidati ad un soggetto non iscritto in uno degli elenchi dei pubblicisti o dei professionisti. Ed è di particolare importanza che la questione, allora concernente l’art. 46 della legge, venne esaminata non solo con riferimento alla libertà del giornalista, ma anche sotto il diverso profilo della "libertà di chi voglia dar vita ad un giornale".

Le stesse ragioni non possono non valere per l’art. 47 della legge - che stabilisce un regime di favore per una particolare categoria di giornali - e, più specificamente, per il caso ora prospettato dal pretore di Catania.

Deve esser tenuto presente, anzitutto, che l’obbligo della registrazione e la preventiva nomina di un vice direttore responsabile riguardano esclusivamente i giornali quotidiani o periodici (L. 8 febbraio 1948, n. 47), sicchè la legge non pone ostacolo alcuno a che il soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici. Chè se, invece, l’interessato voglia dar vita ad un vero e proprio periodico, non è dato di vedere perché questo, a causa di particolari caratteristiche, possa sottrarsi ad una disciplina che è stata riconosciuta costituzionalmente valida per ogni tipo di giornale. Essendo del tutto evidente che, ai fini che qui interessano, nessun rilievo possono avere il cosiddetto contenuto ideologico del periodico e la finalità "di denuncia e di critica" che il soggetto si propone di perseguire, tutto si riduce a vedere se quando editore e direttore di uno dei giornali considerati dall’art. 47 si identificano nella stessa persona vengano a mancare quelle giustificazioni costituzionali che la Corte individuò nella precedente occasione. Ma a siffatto quesito deve darsi risposta negativa sulla base della considerazione che l’esigenza della vigilanza dell’Ordine sussiste anche quando l’editore assuma la direzione del giornale e, trattandosi di periodico di partito o movimento politico o sindacale, acquisti perciò titolo all’iscrizione provvisoria nell’albo: essendo in questo caso la responsabilità sua limitata agli obblighi imposti dalle leggi civili e penali (art. 47, ultimo comma), occorre che egli sia affiancato da un giornalista che, iscritto nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti, risponda disciplinarmente "per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui dipendono" (sent. n. 98 del 1968). Peraltro la concentrazione nelle stesse mani del potere editoriale e del potere di direzione non vale ad escludere, certo, la necessità della vigilanza dell’Ordine, che non è predisposta, come mostra di ritenere il giudice a quo, a tutela della sola libertà dei singoli giornalisti, ma è strumento, sia pur mediato, di garanzia dell’interesse generale sottostante al diritto riconosciuto dall’art. 21 della Costituzione.

3. - La questione è infondata anche in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

Conformemente ai principi desumibili dai precedenti giurisprudenziali di questa Corte, le norme che per lo svolgimento di determinate attività impongano oneri (direttamente o, come nel caso in esame, indirettamente) patrimoniali e che, nella loro applicazione, inevitabilmente comportano un peso maggiore o minore secondo le capacità economiche dei singoli soggetti, sono costituzionalmente illegittime, ove incidano sull’esercizio di diritti costituzionalmente protetti, solo allorché esse non siano rivolte alla tutela di interessi rilevanti sui piano costituzionale (tale, ad es., era il caso della c.d. cautio pro expensis, dichiarata iliegittima con sent. n. 67 del 1960). Ora, nella specie, le ragioni che giustificano la disposizione in riferimento all’art. 21 della Costituzione dimostrano che l’obbligo di nominare un vice direttore responsabile fra gli iscritti nell’albo - e la cui osservanza può, certo, comportare un aggravio di spese - è strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a chiunque voglia dar vita ad un giornale, non può essere considerata fonte di discriminazioni non consentite dall’art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’"ordinamento della professione di giornalista", sollevata dall’ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 1971.

Dal sito dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

www.odg.mi.it

Ringraziamo il Presidente, Prof. Franco Abruzzo


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